Un padre, tra sensi di colpa e oblio
L’editrice Giuntina aveva già pescato qualche anno fa uno scrittore brasiliano, discendente di una dinastia di ebrei dell’Europa orientale, Ronaldo Wrobel, autore di un romanzo splendido, “Traducendo Hannah”, gemma del catalogo della casa fiorentina. Adesso il miracolo si… ripete. Il brasiliano Bernardo Kucinski, giornalista, saggista, docente universitario, già consigliere dell’ex presidente Lula, ha scritto un romanzo stupefacente, che merita di trovare un pubblico di lettori appassionati, “K. o la figlia desaparecida” (175 pagine, 15 euro), pubblicato da Giuntina, nella traduzione di Vincenzo Barca.
Gli avi polacchi di
Kucinski lascerebbero immaginare ricordi di shetel e brandelli di Shoah, che
pure non mancano, ma le sue pagine scandagliano colpe analoghe a quelle dello
sterminio nazista, ovvero delitti e orrori della dittatura militare brasiliana
(quella di Ernesto Geisel), vissuti nella San Paolo dei “desaparecidos” in cui si
muove K, studioso di letteratura e della lingua yiddish, padre dell’autore,
alla ricerca della figlia Ana Rosa, assistente alla facoltà di Chimica, e del
marito, militanti politici dell’opposizione e della lotta clandestina, scomparsi
misteriosamente. Per K. la sparizione della figlia più amata è la continuazione
della Shoah, che racconta in pagine magistrali e grottesche.
È un viaggio, quello
di K. (che s’avvale anche di voci diverse in alcuni capitoli), fra torture e
atrocità, fra sensi di colpa (intrecciato in lui, quello d’essere sfuggito ai
nazisti e d’essere sopravvissuto alla figlia), vigliaccherie, arrugginiti
ingranaggi della burocrazia e oblio, quello collettivo che, purtroppo spesso,
tutto dimentica, pacifica e appiana, ad esempio al termine di una dittatura,
anche la più efferata. E quella brasiliana è solo un esempio di quanto accadde
anche in altri Stati dell’America Latina: gente inghiottita nel nulla e attorno
zero solidarietà, molte ipocrisie, falsità, illusioni, piste morte, spesso
tante belle parole e, soprattutto, zero fatti e nessun corpo da seppellire. Il
libro autobiografico di Kucinski – affidabile, ma pieno d’immaginazione, come
sono tutte le memorie che diventano romanzo – è una dolorosa ricerca che viene
a capo di nulla, se non del vuoto assoluto nel cuore di chi resta senza i
propri cari e senza avere nemmeno una lapide su cui piangere.
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