Un origami a forma di rana per salvarsi dal torpore

Cultura | 8 giugno 2016
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Di Hakan Günday si potrebbe scrivere quello che Philip Roth, in uno dei suoi libri più belli e meno conosciuti, ha scritto di Primo Levi: «La sua prontezza di riflessi è quasi palpabile, la perspicacia vibra dentro di lui come una piccola fiammella interiore». L’editore Marcos y Marcos ha avuto il merito di dare una voce italiana (tecnicamente quella del traduttore Fulvio Bertuccelli, messinese) a questo lucidissimo intellettuale turco che non ha paura di scrivere nemmeno una virgola. Scrittore politico (e profetico), ma mai noioso, in Italia s’è fatto apprezzare prima per “A con Zeta” – storia parallela delle solitudini di un ragazzino e di una ragazzina in fuga da ottusità, ignoranza, fondamentalismi e assenza di sentimenti – e adesso con “Ancóra” (492 pagine, 18 euro), romanzo non si sa se più crudele o più attuale, non semplici pugni allo stomaco, ma cazzotti scagliati da un boxeur.

Günday, nel suo tour italiano, è passato anche da Palermo (alla libreria “Modusvivendi”), dove appassionatamente ha spiegato la propria idea di letteratura, il contrario di restare in silenzio. Lui di certo – che ha parlato di Malaparte e Celine come riferimenti per scrivere questo romanzo – non sta in silenzio. Non ha esitato a dire che «in Turchia s’è perso il valore d’essere umani e che va ritrovato in fretta» e che «Non siamo obbligati a scegliere fra est e ovest, sono solo direzioni. Mettiamole tutte assieme e troveremo la terra».

Idee che si ritrovano fra le pagine di “Ancòra”, nel suo piccolo protagonista Gazâ, orfano di madre, nove anni, che passa la vita a subire violenze e a restituirle, a capire chi è, avviato dal padre Ahad al suo stesso mestiere, quello di trafficante di migranti dopo essere stato giovane guardiano di clandestini nascosti in una cisterna. Come amuleto a cui aggrapparsi nei momenti difficili, come voce della coscienza, Gazâ ha un origami a forma di rana, regalo di Cuma, clandestino afgano, morto per indolenza e negligenza (la mancata accensione di un ventilatore in un camion) dello stesso Gazâ, chiamato implacabilmente a scegliere, come ognuno di noi. Noi – cittadini, lettori, uomini – dobbiamo decidere se restare impassibili o svegliarci dal torpore, dinanzi alle tragedie che ci deflagrano attorno. Il male non è un gioco, né una condanna irreversibile, ma la redenzione non ha nulla di edulcorato. E, a un certo punto, Gazâ si trova vivo per miracoli, sommerso, quasi soffocato, da un diluvio di cadaveri.

 di Salvatore Lo Iacono

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