Un futuro senza clan nelle terre di don Diana

Società | 19 marzo 2015
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”Mi raccomando, glielo dica a Renzi". Mamma Jolanda, l' anziana madre di don Peppino Diana, il prete martire della camorra, dà la sua ambasciata davanti ai trenta studenti venuti a Casal di Principe da Milano per il loro progetto di università itinerante. Profumo di caffè per tutti, l' antica gentilezza contadina, il dialetto che fluisce come un fulmine. L' attuale presidente del Consiglio venne qui a trovarla e a rendere omaggio alla memoria del figlio non appena eletto segretario di partito; perché questa città è simbolo di "una priorità" del paese, e perché don Diana era anche lui uno scout. I presenti annuiscono.

 "Gli ho mandato messaggi, poi, ma non mi ha più risposto. C' è bisogno di lui, glielo dica".A Casal di Principe tira un' aria strana, tra la prudenza e l' euforia. Per carità non nominate più Gomorra. Il romanzo di Saviano ha avuto il merito della denuncia tonante. Ha acceso i riflettori del mondo su un clan che se l'è spassata tra sangue e complicità per quasi vent' anni. Ma qui è in corso qualcosa di profondo e che l' Italia non conosce. Si sta creando una nuova identità di popolo. Ciò che è stato resistenza alla camorra ora vuole diventare altro: il nuovo marchio del territorio, una nuova forma di società. "Queste sono le terre di don Peppe Diana". Non è retorica.

Chi sa riconoscere le atmosfere e gli stati d' animo, le parole e le persone, capisce al volo di essere finito dentro un passaggio d' epoca che va raccontato.MAGARI PARTENDO dal nuovo sindaco di Casal di Principe, Renato Natale, un simbolo storico della lotta alla camorra, sin dagli anni Ottanta . L' aula del consiglio comunale dove riceve gli studenti ha le foto del prete-profeta, don Peppe Diana, di cui oggi sarà ricordato l' anniversario dell' assassinio, il ventunesimo. Un autentico spartiacque nella storia e nella memoria collettiva. E ha anche la foto di Salvatore Nuvoletta, il ventenne carabiniere ucciso in pieno giorno dal clan di Schiavone e Bidognetti, venduto ai suoi assassini dal proprio maresciallo. Era il 1982.

Natale non dimentica e sogna di fare durante il nuovo mandato almeno un terzo di ciò che è necessario per portare la sua cittadina alla normalità. Sembra poco e invece sarà uno sforzo titanico. Senza soldi, con le strade piene di buche, un terzo delle abitazioni senza acqua, il novanta per cento senza i contatori. L' eredità di una delle forme di potere più brutali e rapaci che la storia nazionale ricordi. Di fronte ai quali c' erano resistenze organizzate, embrioni di società diverse.Per questo, Natale, medico di base anticamorrista, è stato eletto con il 65 per cento dei voti. "Ma so benissimo che se non riuscirò a dare risposte, quel consenso mi si rovescerà addosso".Sotto il municipio, nella via intitolata al "Dottor Coppola" una scritta rossa dà il segno della difficoltà: "La nostra mentalità si chiama omertà. A morte le spie".

Don Peppe Diana. Quel sangue di un giusto sembra davvero, come nella leggenda, avere fecondato una civiltà intera, averle dato un' anima collettiva. Valerio Taglione, presidente dell' associazione intitolata a don Peppe, racconta con orgoglio le tappe della rivolta. Noi vogliamo dare a questa terra un altro nome, per trasferirci dentro un' identità nuova anche nei fatti. Perché i fatti ci sono. Quelli giudiziari, certamente. I capi di un tempo, quelli che marciavano armati sui cofani delle auto in pieno giorno, se li ricorda bene il giornalista Raffaele Sardo, sono tutti dentro.

 Dai carabinieri si può andare a fare le denunce sapendo di essere aiutati. Ma anche a scuola. Il liceo Grisé a San Cipriano d' Aversa ha 850 studenti, tra scientifico, classico e linguistico. I ragazzi denunciano i guasti della camorra.L' assenza di posti dove divertirsi, dove trovarsi, città costruite famelicamente, come se i giovani non esistessero. Hanno fatto un giornalino, chiedono di sentirsi sostenuti. Perché nei luoghi dello spreco i soldi per l' istruzione mancano sempre. Scoppiano le aule e così l' anno venturo perderanno anche l' aula magna. "Dove discuteremo?", chiede una studentessa, "finirà questa possibilità di confrontarsi?"."Neanche per idea", irrompe una giovane professoressa, Emilia si chiama, ci accamperemo in corridoio e discuteremo lì".

Nessuno vuol perdere questa spinta magica che si avverte, si sente, perfino nell' ingannevole ritornello che già inizia a serpeggiare sul fatto che si stesse meglio quando si stava peggio. Quando c' era il comando ferreo della camorra, e non c' erano i furti dei rom, e non si spacciava droga per le strade. Brutto a sentirsi, specie da un ragazzo, ma è la conferma: "quando c' era la camorra".LA QUALE IN EFFETTI c' è, guai a sottovalutarlo. Nella cooperativa "Al di là dei sogni", ai confini con il Lazio, i ragazzi tributano una standing ovation di cinque minuti a Simmaco Perillo. Bella, trascinante, la sua narrazione. Specie quella della lotta per includere con successo nella cooperativa persone svantaggiate, anche provenienti dall' Ospedale psichiatrico giudiziario, magari definite "socialmente pericolose".

E della storia di Alberto Varone, il commerciante ucciso nel '91 perché rifiutava di cedere le sue attività ai clan, e di cui la famiglia ha dovuto fare trasferire i resti in un cimitero sconosciuto, per fuggire le persecuzioni successive della camorra. "Questa non è terra di camorra", urla Simmaco, "questa è la terra di Alberto Varone, glielo dobbiamo". Anche il vescovo fa nascere a Cellole un progetto della legalità, seguito da centinaia di fedeli in una sala strapiena. Ed è festa grande la sera, di canti, di balli, con gli ospiti, e di mozzarella e di falerno come solo avviene nel clima di gioia vera. "Noi non siamo più quella cosa". È il messaggio che arriva all' Italia da una lotta in pieno corso e che per la prima volta sembra poter vincere. Chi in questi anni è venuto qui per i riflettori, ci torni, respiri questa buona aria di democrazia da nessuno regalata, stringa la mano di Renato Natale, lo ringrazi e gli dia i soldi per vincere la sua sfida in nome dell' Italia.Nando dalla Chiesa

PARTE IL PROCESSO DI BEATIFICAZIONE PER DON GIUSEPPE DIANA Don Giuseppe Diana, il sacerdote di Casal di Principe ucciso dalla camorra 21 anni fa, potrebbe essere beatificato dalla Chiesa cattolica. Una petizione per avviare il processo canonico diocesano è stata presentata al vescovo competente per territorio, il pastore di Aversa, monsignor Angelo Spinillo, vicepresidente della Cei per il Mezzogiorno, dall'Agesci e dal Comitato Don Diana, che mette insieme decine di associazioni di volontariato e impegno civile locali e nazionali. 



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