Un bambino su dieci è vittima del lavoro minorile

Società | 21 giugno 2022
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La giornata contro lo sfruttamento del lavoro minorile ha messo in luce, ancora una volta, un quadro che desta certamente preoccupazione. Si sono infatti puntati i riflettori sui milioni di bambini e di adolescenti a cui viene sottratta l’infanzia, costretti a lasciare la scuola e a privarsi dell’opportunità di costruirsi un futuro.
La ricerca della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro “Il lavoro minorile in Italia”, pubblicata nel 2021, stima che ben 2,4 milioni di occupati in età 16-64 anni hanno iniziato a lavorare prima dei 16 anni, ovvero complessivamente il 10,7% degli occupati nel 2020. Un fenomeno che è lievemente più diffuso nelle regioni del Nord Italia e con più di 230mila occupati (4,7%) con meno di 35 anni che dichiarano di aver svolto una qualsiasi forma di lavoro retribuita già prima dei 16 anni. Nel 2019, l’Ispettorato del Lavoro ha accertato solo 243 casi di occupazione irregolare e illecita di minori di età inferiore ai 16 anni, un dato sceso a 127 l’anno successivo date le alterazioni dello scenario causate dalla pandemia da Covid-19. Secondo l’Unicef, i bambini sono stati più duramente colpiti dalle conseguenze socioeconomiche del COVID-19: essa stima infatti che 100milioni di bambini in più siano caduti in povertà dall’inizio della pandemia. Con l’aumento del tasso di povertà infantile, aumenta anche il rischio di lavoro minorile. Per la prima volta dal 2000 il numero di bambini coinvolti nel lavoro minorile è aumentato fino a raggiungere circa 1 bambino su 10 nel mondo. Circa la metà di questi bambini è impegnata in lavori pericolosi che possono causare danni fisici ed emotivi. Nel 2020, rispetto al 2016, c’erano 16,8milioni di bambini di età compresa tra i 5 e gli 11 anni in più coinvolti nel lavoro minorile. Esso infatti viola il diritto di ogni bambino a essere un bambino e crescere libero da sfruttamento, da abuso e da violenza. Compromette anche l’istruzione dei bambini e limita le loro opportunità future, rafforzando i cicli di povertà.
Secondo l’indagine sul lavoro minorile “Gameover” svolta in Italia nel 2013, condotta da Save the Children e da Associazione Bruno Trentin (ora Fondazione Di Vittorio), i minori tra i 7 e i 15 anni coinvolti nel fenomeno erano 340.000, quasi il 7% della popolazione in età. Tra questi, circa 28mila 14-15enni erano coinvolti in lavori pericolosi per la loro salute, sicurezza o integrità morale, lavorando di notte o in modo continuativo, con il rischio reale di compromettere gli studi, non avere neanche un piccolo spazio per il divertimento o mancare del riposo necessario, una condizione che si ripercuote negativamente sulle loro prospettive formative, professionali e sociali. Il lavoro minorile è spesso causa o effetto del fenomeno della dispersione scolastica, un nodo critico dell’Italia, dove la quota dei giovani 18-24enni che escono dal sistema di istruzione e formazione senza aver conseguito un diploma o una qualifica, i cosiddetti Early Leavers from Education and Training nel 2020 è pari al 13,1%: più di mezzo milione di giovani che rischiano l’esclusione o un debole inserimento in un mercato del lavoro precario e non qualificante. Anche il numero di ragazzi e ragazze NEET, ovvero coloro tra i 15 e 29 anni fuori da percorsi di istruzione, formazione e lavoro, si attesta al di sopra dei 2 milioni, il 23,3%, tra le percentuali più alte in Europa.
Secondo l’Unicef la strada migliore per prevenire il lavoro minorile è quella di investire in programmi di protezione sociale che possano aiutare le famiglie a superare le crisi. Per la maggior parte delle famiglie che affrontano crisi economica e instabilità, far lavorare un bambino è l’ultima scelta che viene fatta solo quando non ci sono altre possibilità di sopravvivenza. Queste famiglie hanno bisogno di un supporto diretto per aiutarle a superare le difficoltà senza dovere far lavorare i bambini. I programmi di protezione sociale sono una chiave per ridurre le vulnerabilità che rendono il lavoro minorile l’unica possibilità. Solo 1 bambino su 4 tuttavia ha accesso a sussidi per l’infanzia e familiari. Anche se i sussidi per i bambini e le famiglie sono essenziali, ma rappresentano solo una parte della soluzione. “Abbiamo bisogno- ha detto Catherine Russell, Direttore generale dell’UNICEF- di costruire una forza lavoro forte per la protezione dell’infanzia, in grado di fornire un sostegno diretto ai bambini e alle famiglie. È necessario mobilitare e rendere prioritarie le risorse nazionali per la protezione sociale, nonché aumentare l’assistenza allo sviluppo per combattere il lavoro minorile in tutte le sue forme. Non dovremmo mai accettare il lavoro minorile come inevitabile”.
L’obiettivo 8.7 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite richiama alla necessità di intraprendere azioni ed adottare misure per eliminare le peggiori forme di lavoro minorile entro il 2025. Nel 2021, anno internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile, l’ILO ha lanciato insieme ai suoi partner, tra cui Save the Children, l’Alleanza 8.7, un’iniziativa mondiale tra Stati membri, parti sociali, imprese, la società civile e le organizzazioni regionali e internazionali per porre fine al lavoro minorile, al lavoro forzato, alla schiavitù moderna e alla tratta degli esseri umani.
Melania Federico


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