Un anno in pandemia: conseguenze letali sull’istruzione
Sono in media 74 - secondo la fotografia scattata da Save the Children- i giorni di istruzione che i bambini e gli adolescenti di tutto il mondo hanno perso a un anno dall’inizio della pandemia di COVID-19. A livello globale, tra il 16 febbraio 2020 e il 2 febbraio 2021, si stima che 112 miliardi di giorni di istruzione siano stati persi complessivamente e che siano stati i bambini più poveri del mondo a essere colpiti in modo sproporzionato. Una nuova analisi, condotta a livello internazionale dall’Organizzazione sui dati di 194 Paesi e diverse regioni, mostra che i minori in America Latina, nei Caraibi e nell’Asia meridionale hanno perso quasi il triplo dell’istruzione dei coetanei dell’Europa occidentale. “Quasi un anno dopo la dichiarazione ufficiale della pandemia globale- ha dichiarato Daniela Fatarella, Direttrice Generale di Save the Children Italia- centinaia di milioni di bambini e adolescenti rimangono fuori dalla scuola. La più grande emergenza educativa della storia ha ampliato il divario tra i Paesi e all’interno dei Paesi stessi, come quello tra le famiglie più ricche e quelle più povere, tra i bambini che abitano nelle aree urbane e quelle rurali, tra i rifugiati o sfollati e le popolazioni ospitanti, tra i minori con disabilità e quelli senza. È necessario agire in modo strutturato e globale, per garantire che non siano i più piccoli a pagare il prezzo di questa pandemia”.
Ad
un anno dal primo lockdown generale, Save the Children ha analizzato i dati
rispetto alla frequenza in presenza degli alunni delle scuole di ogni ordine e
grado. L’analisi
ha preso in considerazione 8 capoluoghi di provincia. Nel corrente anno
scolastico, da settembre 2020 a fine febbraio 2021, i bambini delle scuole dell’infanzia
a Bari, per esempio, hanno potuto frequentare di persona 48 giorni sui 107
previsti, contro i loro coetanei di Milano che sono stati in aula tutti i 112
giorni in calendario. Gli studenti delle scuole secondarie di primo grado a
Napoli sono andati a scuola 42 giorni su 97, quelli di Palermo 95,5, mentre
quelli di Roma sono stati in presenza per tutti i 108 giorni previsti. Per
quanto riguarda le scuole secondarie di secondo grado, i ragazzi e le ragazze
di Reggio Calabria hanno potuto partecipare di persona alle lezioni in aula per
35,5 giorni contro i 97 del calendario, quelli di Palermo 61,5, mentre i loro
coetanei di Firenze sono andati a scuola 75,1 giorni su 106. La pandemia che lo
scorso anno ha costretto gli studenti a interrompere bruscamente la loro
presenza a scuola tre mesi prima della conclusione dell’anno scolastico e ha duramente segnato
anche nel 2020/2021 la loro possibilità di frequentare le aule scolastiche. I
dati evidenziano forti differenze fra le città, legate all’andamento del rischio di contagio così
come alle differenti scelte amministrative. I numeri rilevati si riferiscono
alle giornate scolastiche vissute in presenza, evidenziando quei territori dove
gli studenti hanno fruito di periodi più lunghi di didattica a distanza, con le
difficoltà che questo ha comportato in termini di accessibilità e per la
perdita di opportunità relazionali dirette tra pari e con i docenti.
“Sappiamo
bene quanto le diseguaglianze territoriali abbiano condizionato in Italia, già prima
della pandemia, la povertà educativa dei bambini, delle bambine e dei ragazzi –
ha dichiarato Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save
the Children - a causa di gravi divari nella offerta di servizi per la prima
infanzia, tempo pieno, mense, servizi educativi extrascolastici. Ora anche il
numero di giorni in cui le scuole, dall’infanzia alle superiori, hanno
garantito l’apertura
nel corso della seconda ondata Covid mostra una fotografia dell’Italia
fortemente diseguale, e rivela come proprio alcune tra le regioni
particolarmente colpite dalla dispersione scolastica già prima della pandemia
siano quelle in cui si è assicurato il minor tempo scuola in presenza per i
bambini e i ragazzi. Il rischio è dunque quello di un ulteriore ampliamento
delle diseguaglianze educative”.
Diversi
studi internazionali hanno rilevato la gravità della perdita di apprendimento
causata dalla chiusura delle scuole e il rischio concreto, in assenza di
interventi mirati, di una perdita secca di 0,6 anni di scuola e di un aumento
fino al 25% della quota di bambini della scuola secondaria inferiore al di
sotto del livello minimo competenze. Le perdite- secondo quanto riportato
nell’articolo la Simulating the
potential impacts of Covid-19 school closures on schooling and learning
outcomes: a set of global estimates
della World Bank
Group Education- sono maggiori tra gli studenti
provenienti da famiglie meno istruite, a conferma delle preoccupazioni per l’iniquità dell’impatto della pandemia sui bambini e sulle
famiglie. L’Ocse
e la Banca Mondiale- secondo quanto riportato dall’articolo The Economic Impacts of Learning
Losses, Eric A. Hanushek Ludger Woessmann, del
settembre 2020- hanno stimato gli effetti economici di questa perdita di
apprendimento, valutando che l’impatto economico condurrà a una contrazione del
PIL dei Paesi in media dell’1,5% nel resto del secolo.
La
chiusura delle scuole è iniziata nel febbraio 2020, l’11 marzo è stata
dichiarata la pandemia, spingendo il 91% degli studenti del mondo ad
abbandonare le aule nel mezzo dell’anno scolastico. A livello globale, la
differenza nei giorni di istruzione persi dai bambini e ragazzi che vivono
nelle diverse aree geografiche diventa drammaticamente chiara: in America
Latina, nei Caraibi e in Asia meridionale, i minori hanno trascorso 110 giorni
senza alcuna istruzione, in Medio Oriente 80 giorni, nell'Africa subsahariana
69, nell'Asia orientale e nel Pacifico 47, in Europa e nell’Asia centrale 45
giorni, in Europa occidentale 38. Altro dato da tenere in considerazione è che
oltre alla perdita di apprendimento, i bambini e gli adolescenti che non vanno
a scuola sono esposti a un rischio maggiore di lavoro minorile, matrimoni
precoci e altre forme di abuso e hanno maggiori probabilità di essere intrappolati
in un ciclo di povertà per le generazioni a venire. Si stima che la pandemia
globale spingerà altri 2,5 milioni di ragazze al matrimonio precoce entro il
2025.
Secondo
quanto riportato da diversi studi, ci sono state enormi discrepanze
nell’accesso all’apprendimento anche nelle nazioni più ricche durante la
pandemia. Gli studenti negli Stati Uniti, ad esempio, sono più disconnessi da
Internet rispetto agli studenti di altri Paesi ad alto reddito, il che
probabilmente ha influito sul loro accesso all’apprendimento remoto. Solo due
Paesi dell’UE hanno livelli di accesso a Internet inferiori rispetto agli Stati
Uniti: Bulgaria e Romania. All’inizio della pandemia, oltre 15 milioni di
studenti, dall’asilo alle superiori delle scuole pubbliche statunitensi, non
avevano Internet adeguato per l’apprendimento a distanza a casa. Circa 9
milioni di questi studenti vivono in famiglie senza connessione né dispositivi adeguati per
l’apprendimento a distanza. Un altro milione di utenti ha una connessione
adeguata ma nessun dispositivo. Anche altri Paesi più ricchi hanno lottato per
fornire uguali alternative online per l’apprendimento scolastico. In Norvegia,
mentre quasi tutti i giovani tra i 9 e i 18 anni hanno accesso a uno
smartphone, il 30% non ha accesso a un PC a casa. Nei Paesi Bassi, un bambino
su cinque non ha un PC o un tablet per l’apprendimento da remoto.
Melania Federico
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