Tutti gli scoop del comunista Pio La Torre
Estate
del 1954, un giovanissimo Pio La Torre prende la parola a Palazzo
delle Aquile e sferra un attacco violento ai padroni della città,
smaschera la speculazione edilizia che favorisce mafiosi e
proprietari terrieri benedetti da Sua Eminenza il cardinale Ernesto
Ruffini, mette sott' accusa sindaco e assessori che non vogliono il
piano regolatore. Due giorni dopo cerca la sua relazione negli uffici
della segreteria generale del Comune e non la trova, non c' è più.
Qualcuno l' ha sottratta e nascosta. Così il 17, il 18 e il 19
settembre l' Unità della Sicilia pubblica tre articoli a firma di
Pio La Torre dal titolo "Corruzione e disordine al Comune di
Palermo".
Questo
rapporto, un incrocio fra la denuncia politica e l' inchiesta
giornalistica, è uno dei 1644 paragrafi di una raccolta che è la
bibliografia degli scritti - discorsi, interrogazioni parlamentari,
disegni di legge, documenti, saggi - di un testimone della nostra
storia repubblicana, un grande italiano che non è stato solo un
nemico delle mafie ma un «costruttore di democrazia».
Studio
appassionato e profondo curato da Francesco Tornatore (che del
Partito comunista è stato dirigente), e che in oltre trent' anni di
battaglie ricostruisce il pensiero di uno dei capi del Pci, dal
secondo dopoguerra siciliano segnato da rigurgiti indipendentisti
sino alla stagione dei delitti eccellenti e del «terrorismo
mafioso». Questa definizione - «terrorismo mafioso» - si scopre
che l' ha usata per la prima volta proprio La Torre nel lontanissimo
1966, quando per colpa di un' imprenditoria rapace una grande frana
tirò giù un pezzo di Agrigento. Costruivano i palazzi sull'
argilla, boss e politica andavano a braccetto «in un sistema di
potere poggiato sul terrorismo mafioso ».
Tutto
quello che c' è da sapere su una vita politica e intellettuale è
nei capitoli di Ecco perché, cinquecentododici pagine pubblicate
dall' Istituto poligrafico europeo per la collana dell' Istituto
Gramsci siciliano, una prefazione dello storico Salvatore Nicosia e
poi una sterminata elencazione di luoghi dove rintracciare
praticamente tutti gli atti pubblici di un capopopolo che ha vissuto
fra Palermo e Roma, fra i casolari della Madonie e le aule di
Montecitorio. Ogni voce del volume è accompagnata da un breve
riassunto che ne spiega il contenuto, la prima è del 1946 e l'
ultima del 1982. Che è l' anno dell' uccisione di Pio La Torre.
La
bibliografia parte dall' occupazione delle terre e finisce nella
Palermo mattatoio dei primi Anni Ottanta, attraversando la giungla di
cemento che hanno voluto Lima e Gioia e Ciancimino, fermandosi a
Comiso dove gli americani avrebbero voluto installare missili a
testata nucleare da puntare contro Mosca.
Nelle
pagine di Ecco perché c' è anche qualche scoop. Uno è su Gladio,
con La Torre che dell' organizzazione paramilitare clandestina sente
l' odore molto prima di quando ne saremmo venuti ufficialmente a
conoscenza. Un altro è sul banchiere Michele Sindona, dato presente
già nel 1965 a un summit di mafia a Palermo.
Dagli
archivi del Pci e da quelli suoi personali affiora una «personalità
politica complessa e straordinaria» e, nelle carte, insieme si
ritrova un deposito di passaggi significativi delle vicende
italiane.
La
parola mafia compare in un suo scritto per la prima volta nel 1950. E
non sarà mai più cancellata. Il 1950 è anche l' anno delle ultime
scorribande di Salvatore Giuliano, assalti a caserme e a camere di
lavoro, massacri di carabinieri e sindacalisti. Nel ventennale della
strage di Portella della Ginestra, siamo già nel 1967, La Torre
dichiarerà al quotidiano L' Ora: «Per quella carneficina i mandanti
sono da cercare anche nella Cia». È un' altra delle sue intuizioni,
almeno trent' anni prima delle ricostruzioni - fondate su
documentazione - degli storici Giuseppe Casarrubea e Francesco
Renda.
È
sempre il 1950 quando il dirigente del Pci è alla testa dei
contadini che invadono i latifondi dei conti e dei baroni, e al feudo
Santa Maria del Bosco viene arrestato per resistenza a pubblico
ufficiale. Passa un anno e mezzo all' Ucciardone, il 25 febbraio del
1951 dalla sua cella scrive una lettera a Paolo Bufalini: «Anche noi
che siamo in carcere contribuiamo alla rinascita della
Sicilia».
Assolto,
torna in libertà e viene eletto consigliere comunale, dal 1952 al
1960. Sono gli anni del "sacco", i boss trasferiscono i
loro affari dalla campagna in città, Palermo volta le spalle al
mare, in ogni strada c' è un cantiere. Capolista della Democrazia
cristiana è Salvo Lima, l' uomo che sarà in futuro il più fedele
alleato di Giulio Andreotti. Per descrivere le relazioni fra mafia e
pubblici poteri a Palermo, Pio La Torre utilizza il termine
«compenetrazione», in alcune circostanze è la Dc che «appoggia la
mafia» e in altre è la mafia che «appoggia la Dc». Un' analisi
con sintesi finale: «La mafia è un fenomeno di classi dirigenti ».
Ma quasi un quarto di secolo dopo e qualche centinaia di pagine più
in là di Ecco perché, il Pio La Torre politico riserva una
sorpresa. Fa «autocritica » sulle posizioni del suo Pci nei
confronti dei "giovani turchi" - così chiamavano Gioia e
Lima e Ciancimino - una trimurti che all' inizio appariva come
rinnovatrice e che prese il potere nella Dc «anche grazie alle lotte
del partito contro cricche ripugnanti di affaristi
monarchico-clericali ».
C'
è sempre un filo che s' intreccia fra Palermo e Roma e poi ancora
fra Roma e Palermo. Nel 1976 La Torre è in Parlamento ed è il primo
firmatario della relazione di minoranza della commissione antimafia:
un documento che farà storia.
Al
suo fianco, eletto come indipendente nelle liste del Pci, Cesare
Terranova, il magistrato che aveva stanato i Corleonesi e che dai
Corleonesi qualche anno dopo sarà ucciso.
L'
attacco mafioso allo Stato è già cominciato e, nel 1980, è ancora
primo firmatario della proposta di legge che introduce il reato di
"associazione di tipo mafioso" nel codice penale. Alla
stesura del testo collaborano due giovani giudici istruttori, uno si
chiama Giovanni Falcone e l' altro Paolo Borsellino. Scrive Francesco
Tornatore: «Grande merito di quest' uomo è la ricerca di una
definizione corretta di "mafia" da far condividere all'
intera opinione pubblica. Un' impresa enorme. È magnifico che abbia
trovato posto nella legge e nei vocabolari: a stabilire che esiste ed
è un reato».
È
sempre il 1980. Pio La Torre ricostruisce il falso rapimento di
Michele Sindona - in fuga l' estate prima dagli Usa e protetto in
Sicilia da Cosa Nostra - e in un atto parlamentare rivela: «Il
giovane Sindona nel 1965 era al summit internazionale della mafia a
Palermo».
Gennaio
1982, teatro Biondo, decimo congresso del Pci siciliano. Ricorda l'
assassinio, avvenuto due anni prima, del presidente della Regione
Piersanti Mattarella e parla della strategia della tensione: «Sino a
quando il ministero dell' Interno e i magistrati non avanzeranno
ipotesi serie, non si farà mai luce sulla catena degli omicidi
politici in Sicilia».
Sono
i suoi ultimi mesi di vita. Appena tornato sull' isola come
segretario del Pci siciliano, inizia la grande battaglia contro i
Cruise, i missili "da crociera" che dovevano difendere il
"mondo libero" dal comunismo. In un' interrogazione alla
Camera, chiede conto ai ministri della Difesa e dell' Interno di un'
esercitazione fra Palermo e Catania a protezione da un bombardamento
atomico «e delle finalità attribuite ai comitati civili e militari,
costituiti nell' ambito delle prefetture siciliane ». Fa intendere
di sapere qualcosa sull' esistenza di un corpo armato e segreto,
qualcosa che somiglia tanto alla Gladio.
Tre
settimane prima della sua morte, a Comiso sfilano in centomila per
protestare contro i Cruise. Poi, lui che per ventisette anni - dal
1949 al 1976, e ancora dal settembre 1981 fino a sette giorni prima
della sua morte - era finito sotto sorveglianza dell' intelligence
italiana come «agente sospetto di spionaggio a favore di un'
organizzazione politica asservita agli interessi dell' Unione
Sovietica» - all' improvviso non viene più pedinato. Un fantomatico
reparto "D" del servizio militare certifica che non è una
spia: "Dalla documentazione in nostro possesso, l' attività di
La Torre non appare come conseguente a mandato conferito da servizio
straniero". Il 30 aprile 1982 lo lasciano solo con i suoi
killer.
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