Trivelle sì, trivelle no: italiani alle urne il 17 aprile
Trivelle
sì, trivelle no. Cittadini italiani chiamati alle urne per esprimersi sul
seguente quesito referendario: “Volete voi che sia abrogato l'art. 6, comma
17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, "Norme
in materia ambientale", come sostituito dal comma 239 dell' art. 1 della
legge 28 dicembre 2015, n. 208 "Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)", limitatamente alle seguenti parole: "per
la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di
sicurezza e di salvaguardia ambientale”?”.
Il 17 aprile non si vota per dare o non dare il via libera alle ricerche
petrolifere nei nostri mari: si vota per rinnovare o non rinnovare “sine die” le concessioni esistenti entro le 12 miglia marine, sulle
piattaforme già esistenti. Ad essere in gioco, secondo i dati forniti da
Assomineraria, è il futuro di 64 piattaforme sulle 119 dei mari italiani. Se
vince il no, i giacimenti dove “pescano” quelle 64
piattaforme verranno sfruttati fino a esaurimento; se invece vince il “sì”, gli
impianti verranno chiusi in anticipo, alla scadenza delle concessioni. Ad
esempio la Vega della Edison a Pozzallo, attiva dal 1987, se vincono i «sì» verrà chiusa e smontata nel 2022.
I
promotori del referendum chiedono di cancellare la norma che consente alle
società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le
12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Nonostante,
infatti, le società petrolifere non possano più richiedere
per il futuro nuove concessioni per estrarre in mare entro le 12 miglia, le
ricerche e le attività petrolifere già in corso non avrebbero più scadenza certa. La legge in
materia, infatti, prevedeva che le concessioni di coltivazione avessero una
durata trentennale (prorogabile attraverso apposita richiesta per periodi di
ulteriori 5 o 10 anni) e i permessi di ricerca una durata di 6 anni (con
massimo due proroghe consentite di 3 anni ciascuna). Con questa variazione alla
legge di Stabilità 2016 (che modifica il decreto legislativo 152/2016) i
titoli già rilasciati entro le 12 miglia dalla costa (e soltanto
questi) non hanno più scadenza. Tutti gli altri titoli rilasciati (quelli cioè
oltre le 12 miglia marine), possono avere durata di 30 anni nel caso di
concessione di coltivazione e di 6 anni nel caso di permessi di ricerca, in
base a un altro emendamento del governo alla legge di Stabilità 2016 (che modifica il comma 5 dell’articolo
38 del Decreto Sblocca Italia).
Nel
mare italiano, entro le 12 miglia, ci sono ad oggi 35 concessioni di estrazione
di idrocarburi (coltivazione). Tre di queste sono inattive, una è in sospeso
fino alla fine del 2016 (è quella di Ombrina Mare, al largo delle coste
abruzzesi), cinque erano non produttive nel 2015. Le altre 26 concessioni, che
sono produttive, sono distribuite tra il mare Adriatico, il mar Ionio e il
canale di Sicilia, per un totale di 79 piattaforme e 463 pozzi. Queste
piattaforme, soggette a referendum, oggi producono il 27% del totale del gas e
il 9% del greggio estratti in Italia (il petrolio viene estratto nell’ambito di 4 concessioni dislocate tra Adriatico centrale -
di fronte a Marche e Abruzzo - e nel Canale di Sicilia). La loro produzione nel
2015 è stata di 542.881 tonnellate di petrolio e 1,84 miliardi di Smc (Standar
metri cubi) di gas. Secondo i dati forniti da Legambiente i consumi di petrolio
in Italia nel 2014 sono stati di circa 57,3 milioni di tep (ovvero milioni di
tonnellate). Quindi l’incidenza della produzione delle
piattaforme a mare entro le 12 miglia è stata di meno dell’1%
rispetto al fabbisogno nazionale (0,95%). Per il gas, i consumi nel 2014 sono
stati di 50,7 milioni di tep corrispondenti a 62 miliardi di Smc; l’incidenza della produzione di gas dalle piattaforme entro
le 12 miglia è stata del 3% del fabbisogno nazionale. Dato che l’attuale normativa fa salvi tutti i titoli abilitativi già rilasciati e ancora vigenti, rientrano in questa categoria
anche i permessi di ricerca presenti nell’area entro le 12 miglia marine. Sono
nove, per un’estensione di 2.488 kmq. Quattro si trovano nell’alto Adriatico (3 sono attualmente sospesi in attesa di
apposito decreto VIA che certifichi la non sussistenza di rischi apprezzabili
di subsidenza; 1 risulta attivo con scadenza nel 2018); altri 2 permessi di
ricerca ricadono nell’Adriatico centrale di fronte alle
coste abruzzesi e sono momentaneamente sospesi; un permesso di ricerca si trova
nella porzione meridionale della Sicilia, tra Pachino e Pozzallo, ed è
attualmente sospeso; un altro permesso ricade di fronte la costa di Sibari e la
data di scadenza è nel 2020; l’ultimo permesso ricade a largo dell’isola di Pantelleria ed è sospeso per problemi tecnici. E’ importante sottolineare che i dati forniti dall’Ufficio minerario per gli idrocarburi e le georisorse del
Ministero delle Sviluppo Economico, e da Assomineraria, stimano riserve certe
sotto i fondali italiani che sarebbero sufficienti (nel caso dovessimo contare
solo su di esse) a soddisfare il fabbisogno di petrolio per sole 7 settimane e
quello di gas per appena 6 mesi.
Il
Comitato No Triv sostiene che la questione è più complessa e che un eventuale “no”
al referendum potrebbe dare via libera a nuove perforazioni anche vicino alle
coste. I favorevoli alle trivellazioni segnalano invece che nei mari italiani
si trova molto gas e poco petrolio e che anche nel peggiore dei casi un
ipotetico incidente a una piattaforma non causerebbe grandi perdite di greggio
in acqua. Alcune risorse sfruttabili ci sono nel nostro Paese, e poter disporre
di una certa produzione nazionale di petrolio e di gas, sarebbe anche
importante come riserva strategica, nel caso che una grave crisi internazionale
interrompesse le forniture dall'estero. La Strategia energetica nazionale (Sen)
vuole più che raddoppiare entro il 2020 l'estrazione di idrocarburi in Italia,
fino a 24 milioni di tonnellate all' anno. Si ipotizzano investimenti per 15
miliardi, con 25 mila nuovi posti di lavoro e un risparmio sulla fattura
energetica nazionale di 5 miliardi all' anno. Poi ci sarebbe un miliardo extra
di introiti fiscali annui.
“In
Italia - spiega Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia- c’è una
dorsale del petrolio e del gas che parte da Novara e poi si distende lungo
l'Appennino fino in fondo alla Calabria e prosegue in Sicilia. Nel Mare
Adriatico c'è una dorsale parallela offshore, da Chioggia al Gargano. In un
secolo e mezzo in Italia sono stati perforati 7 mila pozzi, di cui 800 ancora
attivi, e gli incidenti sono stati rarissimi. Persino alle isole Tremiti c'è un
pozzo attivo dal 1962 senza danni per l'ambiente. La produzione italiana si può
raddoppiare perforando dove già si sa che gli idrocarburi ci sono”.
Posizione opposta quella degli ambientalisti: “Non abbiamo abbastanza tempo a
disposizione – dice Gianfranco Zanna, presidente regionale di Legambiente
Sicilia – per spiegare che tutto il petrolio presente sotto il mare italiano
basterebbe al nostro Paese per sole 7 settimane, mentre già oggi
produciamo più del 40 per cento di energia da fonti rinnovabili. Se vogliamo
definitivamente mettere al riparo i nostri mari dalle attività petrolifere occorre votare SI, perché in questo modo le
attività petrolifere entro le 12 miglia andranno progressivamente a
cessare, secondo la scadenza “naturale”
fissata al momento del rilascio delle concessioni”.
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