Triangle, la difficile vita dell'operaia
Costruendo su un parallelismo supportato da un montaggio per contrasto e da una sofisticata scelta linguistica (immagini sdoppiate di un New York degli inizi ‘900 per riprodurne, con filmati di repertorio, la vertiginosa verticalità architettonica e l’originale formato quadrato dei primi documenti visivi, alienanti catene di montaggio mostrate congiuntamente ad una sorta di “sinfonia delle macchine”, scene di vita quotidiana…) Costanza Quatriglio riprende la doppia tragedia della fabbrica americana di tessuti “Triangle”, avvenuta nel 1911 (dove in un incendio morirono circa 150 operaie) e quella verificatasi cento anni dopo a Barletta nel 2011 per il crollo di un edificio (cinque morti, quattro dei quali lavoratrici a cottimo).
Attraverso testimonianze verbali e scritte del tempo (dopo la tragedia newyorkese, anche sulla scorta delle manifestazioni operaie, le condizioni di lavoro cominciarono a mutare in meglio), quindi in particolare quella d’una lavoratrice sopravvissuta alla sciagura di Barletta, Quatriglio “scava” - ma limitandosi ad “ascoltare” (parole della stessa regista) - sui dubbi e gli interrogativi esistenziali dell’operaia superstite ma altresì sulle ragioni d’una accettazione consapevole e della dignitosa difesa da parte della stessa di condizioni di lavoro comunemente ritenute inaccettabili (cottimo privo di contribuiti, familiarità con il “padrone” paternalisticamente visto come componente d’una “famiglia”, in quanto egli stesso lavoratore e non semplice sorvegliante). Il docufilm finisce così per invertire in soggettiva consolidati impianti ideologici, fornendo uno spaccato inedito e problematico d’una realtà spesso troppo semplicisticamente appiattita in schemi preconcetti.
Una coraggiosa ricerca di “oggettività” che valorizza l’opera dell’ormai pluripremiata Quatriglio (vincitrice lo scorso anno al TorinoFilmFest del premio “Cipputi”) la cui filmografia - ricca anche d’un suggestivo e intenso lungometraggio (“L’isola”, 2003) - con quest’ultimo “Triangle”, prodotto dal LUCE e miracolosamente filtrato nelle sale, conferma le non comuni doti d’osservazione, la maturità tecnica ed estetica, della regista palermitana che scandagliando fondamenti e ragioni del vivere contemporaneo (organizzazione del lavoro e diritti dei lavoratori in testa) pone inquietanti ed irrisolti interrogativi, non troppo dissimili dalla pasoliniana denuncia d’una civiltà sbagliata culminante nella sconfortante (ma profetica) distinzione tra sviluppo e progresso.
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