Tre pillole e un placebo
La scorsa settimana Pietro Ichino ha pubblicato sul suo blog alcune interessanti riflessioni sullo smart-working. Da allora sembra sia trascorsa un’era … digitale. Ciò perché, ed è quello che mi ha più colpito, vi è stato (o almeno a me è sembrato che ci sia stato) un radicale cambiamento di approccio alla tecnologia informatica, proprio da parte di chi non vi aveva familiarità né propensione.
Partirò dall’esempio virtuoso
della reazione mia Università (Palermo) alla sospensione della didattica, per
svolgere a partire da essa qualche riflessione sulla reazione al cataclisma
economico che il SARS-COVID-2 ha innescato; innescato, perché, purtroppo, la
spoletta la ha poi improvvidamente tirata via la sig.ra Lagarde.
Dopo il primo decreto che
disponeva la chiusura di tutte le istituzioni educative del Paese, in un primo
tempo da 22 febbraio al 15 marzo, siamo riusciti a posticipare l’inizio del
semestre didattico (stabilito al 2 marzo) di una sola settimana e abbiamo
iniziato regolarmente le lezioni e i ricevimenti in tele-didattica già il 9
marzo. Non era facile. E non era impossibile. Era amaro? Si. Abbiamo ingoiato.
Tanto che, pur con strumenti improvvisati (e che a molti di quali avvezzi a
tali tecnologie ha fatto storcere non poco il naso e non ci ha fatto lesinare
critiche), tutti siamo riusciti in un modo o nell’altro a “fare le lezioni”. E
i ricevimenti. E a celebrare le sedute laurea. E con la sorpresa di molti
perfino ad apprezzare i vantaggi che tale strumento potrà avere a regime.
Nessuno ha detto no. Nessuno ha detto io no, non posso, non ce la faccio. Non
posso imparare: sono vecchio. No. Nessuno. C’è stato anzi un fiorire di mail e
di chat in cui sono stati condivisi, per dirla in “gechese”, i bugs; ma
anche i tips and triks scoperti da ciascuno per risolvere i vari
problemi. Abbiano fatto da noi. Tutto dentro la comunità universitaria. E giù
una seconda pillola. Non c’erano apparati. Non quello umano non quello
tecnologico; eppure ce la stiamo facendo. Con strumenti di fortuna: terza
pillola. Una settimana. Una sola. Tutti poi abbiamo preso il placebo della
transitorietà. Ma eravamo ieri (e oggi siamo) consapevoli che tutto il semestre
accademico passerà così.
Ora, è a partire da questa
consapevolezza, esorcizzata con silenzio, consapevolezza che “la cosa” sarà
lunga e molto, posto che non aveva molto senso mettere in piedi cotale
ambaradan per una sola settimana (o anche un mese solo, si sarebbe potuto
pensare di recuperarlo in seguito se avessimo avuto certezza del fine
contenimento, me non ce la avevano e non la abbiamo), vorrei dire la mia sulla
tempestività della reazione politica all’emergenza economica. Sulla sua
necessità. E doverosità.
Ecco, vorrei solo proporre
sommessamente che lo Stato ci imitasse e prendesse tre pillole e un placebo.
Una pillola di Viagra. C’è una
parte dell’Italia, il sud, che (almeno fin ora) è meno colpita dall’epidemia di
Covid19. Ma che sarà molto più devastata dal virus economico. Eppure la
migliore condizione sanitaria dovrebbe essere usata come condizione di
riscatto. Non dico, come accade in queste ore, mentre scrivo, ricevendo i
malati lombardi negli ospedali della depressa Sicilia; questo è scontato
malgrado la scellerata regionalizzazione della sanità. Dico che le migliori
condizioni sanitarie dovrebbero essere usate per una ripartenza anticipata. Ma
occorre subito, oggi stesso, preparare i presupposti di domani. Con metafora
calcistica al sud devono essere assicurate le condizioni tattiche per lanciare
un contropiede nel match contro questo corona-virus. E la tattica la stabilisce
il mister. Il mister. Se qualcuno pensasse che sto per proporre le solite
misure straordinarie, il denaro a pioggia, il
chiudere un occhio (meglio due) si sbaglierebbe di grosso. E non perché
di misure straordinarie e di denaro a cateratte aperte (altro che pioggia) e
di, se non occhi chiusi, almeno di
occhiali adeguati, non ci sia bisogno. Altro che. Perché lo straordinario
richiede tempo e non ne abbiamo. Anche se la BCE non sembra accorgersene e
l’Europa fa lo struzzo o al più nicchia. L’emergenza sanitaria unita
all’emergenza economica fa l’emergenza sociale. E l’Europa è, come
causticamente disse decenni fa Giuseppe Federico Mancini, affetta da frigidità
sociale. E dunque, in attesa che
l’Europa “si faccia di Viagra” e così ami di incontrollata e indistinta
passione tutti i suoi europei, io penso all’ordinario. Perché l’ordinario si
può fare subito. Perché qui anche
l’ordinario è già straordinario. Talora è perfino prodigioso. Che lo Stato si
comporti dunque con i suoi creditori come pretende dai suoi debitori. Ecco
allora la seconda pillola.
Una pillola di dopamina. Pare che
la dopamina, che si usa nella cura del parkinsonismo, possa provare
prodigalità. Ora, la p.a., in ogni sua articolazione, è notoriamente un
“cattivo pagatore”. E come tutti i cattivi pagatori riesce a trovare mille e
una scusa per … pagare domani: come il barone Ottone Spinelli degli Ulivi detto
Zazà: – «ma oggi se è oggi e domani è domani sono due cose differenti, domani
ho detto domani ti pago e domani ti pago non rompere le scatole» (Signori si
nasce, Mario Mattoli 1960). Tutta la p.a. paghi i suoi debiti e li paghi
tutti e subito. Siano essi corrispettivi siano essi rimborsi. E per una volta,
il solve et repete, lo applichi a sé stessa. Se non ce la fa? Ecco
acquisti un quintale di dopamina e lo distribuisca ai suoi funzionari. Vieppiù
dove e quando l’economia è basata su di un grande committente. Quel committente
è la p.a. Anche molto del privato è para-privato. È in realtà un surrogato del
pubblico è un privato che ha un solo cliente e quel cliente è la p.a. Così la
p.a. non paga i suoi clienti, i suoi clienti non pagano i loro. I loro non
possono pagare i loro dipendenti, i loro dipendenti non comprano i servizi e
così via in una spirale viziosa e sempre
più vorticosa. Non c’è tempo. La p.a. fornisca la provvista di liquidità che ci
serve, come l’ossigeno. Intanto paghi – per una volta – oggi; domani è troppo
tardi. Domani, se necessario, restituiremo. Paghi e non chieda. Terza pillola.
Una pillola di riconoscenza. Per
lustri oltre le imposte sono stati pagati gli anticipi sulle imposte future.
Abbiamo pagato sul guadagnato e su quello che avremmo guadagnato. Se l’economia
cresce il guaio è piccolo, anche sopportabile; paghiamo prima e aiutiamo lo
Stato indebitato. Se l’economia arranca il guaio è grosso, ma nel breve periodo
resistibile. Se l’economia arretra il guaio è serio. Perché le imposte
diventano maggiori del ricavo effettivo. Allora anche qui è necessario Stato di
comporti da cittadino. Come i cittadini di cui è fatto: elimini (e non solo
sospenda) il pagamento degli anticipi sulle imposte. Li scomputi dal dovuto e
se di imposte da pagare ne rimangono allora attenda. Paziente. Aspetti domani.
Domani pagheremo. Ci creda. Accetti questo placebo. A volte funziona.
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