Tradire è un po' morire, ma anche capire
Il Brasile letterario dev'essere ben più sterminato di quello geografico. E starci dietro non è affatto semplice. Di certo è quasi sempre garanzia di un'esperienza di lettura che resta dentro e sedimenta. Lispector e Abreu, Amado e Guiamares Rosa, Machado de Assis e Scliar, più di recente Wrobel e Ruffato, in questo senso, insegnano. Si fa fatica ad orientarsi – ma è un piacevole smarrimento – nella letteratura lusofona dell’America Latina ed Elvira Vigna è un altro tassello, una bussola che mancava negli scaffali delle nostre librerie. Le edizioni Gran Via colmano un vuoto, con la pubblicazione di “Niente da dire” (163 pagine, 14 euro) della scrittrice brasiliana – già giornalista, editrice, autrice per l’infanzia – tra le più amate nel proprio paese, con una carriera quasi trentennale alle spalle, ma fin qui sconosciuta in Italia.
La credibilità che ha questo romanzo, tradotto da Vincenzo Barca, non sta nella storia raccontata – una solida (apparentemente) trentennale relazione della classe media messo a rischio da un adulterio del marito con una donna più giovane di vent'anni – ma nel modo esplicito in cui è narrato (immerso non in uno scenario esotico, non nei luoghi comuni di Rio e San Paolo, quanto nella contemporaneità delle mail, degli sms, di Skype), un crollo in prima persona, la ridefinizione della vita e delle abitudini, il mettersi in discussione fra illusioni e disillusioni, senza perdere di vista umorismo e lucidità. Il triangolo è composto dalla narratrice senza nome, dal marito Paulo (coppia di traduttori, di certe lotte e certi ideali, vissuti insieme nel passato, e di siderale distanza nel presente) e dall'amante di lui, N, antagonista che della narratrice è perfetta antitesi, prorompente quanto la donna tradita è il prototipo di un'intellettuale impegnata. Si affastellano domande sulla vita di coppia e sulla libertà, su ciò che viene meno quando si tradisce: un inventario dell’amore nella mezza età e del dolore di spietata contemporaneità è “Niente da dire”, che scorre crudo e onesto fino in fondo. Ne vien fuori che tradire è un po' morire, ma è anche capire, maledettamente, gli altri e se stessi.
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