Tracolli politici ed emotivi nell'Ungheria che fu

Cultura | 26 agosto 2015
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Tracolli politici ed emotivi nell'Ungheria che fu

 

Il romanzo di raro nitore di Miklós Vajda, edito da Voland. Un ritratto della madre che solo negli Usa trovň pace e libertŕ

 

Pubblico e privato, voilŕ, dev'essere... autofiction. La sofferenza dell'Ungheria, dalla seconda guerra mondiale in poi (tra croci frecciate, comunismo e post-comunismo), e una madre e un figlio – la nobile Judit Csermovics e l'intellettuale Miklós Vajda – separati dalla storia. Con “Ritratto di madre, in cornice americana” (189 pagine, 15 euro), in italiano grazie alla traduttrice Andrea Rényi, la casa editrice Voland si regala e regala un nome che non stona in compagnia dei piů belli della letteratura magiara di oggi, Gyorgy Konrŕd, Peter Nŕdas, Péter Esterházy, Imre Kertész, Giorgio Pressburger (italiano e ungherese, limpidi e insuperati i suoi primi racconti). Di quella pasta dimostra d'esere Miklós Vajda, classe 1931, traduttore e saggista di lunghissimo corso, narratore in tarda etŕ, quasi ottuagenario, con un volume che intreccia inestricabilmente avvenimenti politici e vicende personali, e possiede uno stile di raro nitore.

Lo spartiacque fatale delle esistenze dell'autore e della madre č il 1956. Lei fugge negli Stati Uniti, necessitŕ personale di salvezza lui resta in patria, scelta civile, piů pubblica c he privata. Solo oltre mezzo secolo dopo Miklós Vajda proverŕ a comprenderla, a giustificarla e a condannarla per quella scelta di cui lei andava molto fiera, stabilirsi oltre Oceano, a costo di distaccarsi dagli affetti. Le guerre mondiali, le persecuzioni degli ebrei (ebreo era il marito Ödön Vajida, avvocato e consigliere economico degli Asburgo), i comunisti al potere fanno a pezzi di volta in volta velleitŕ aristocratiche, aspirazioni “imprenditoriali” (aveva aperto un bar) e voglia di restare della donna, a lungo protetta da una grande amica, l'attrice Gizi Bajor, icona d'Ungheria fino agli anni Cinquanta (in appendice al memoir ci sono alcune lettere della Bajor, che intercede presso i dittatori comunisti).

Il lettore la ritrova in America, porto sicuro dove s'č stabilita, preferendo inseguire lě la libertŕ e la rinascita personale; pochi significativi incontri, prima negli Stati Uniti, poi di ritorno a Budapest, fra madre e figlio. A New York Miklós la ritrae modesta e umile, seppure a testa alta con qualche piccolo vezzo d'antica memoria, ma soprattutto desiderosa di dimostrare che ha fatto bene ad andar via, a scegliere la terra delle opportunitŕ. Vajda va a caccia del senso della propria vita a partire dal rapporto – tra affetto, rigore e distacco – con la madre, dai tracolli delle loro esistenze.

 di Salvatore Lo Iacono

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