Tra sperimentazione e tradizione, il pienone dei teatri etnei
Anche per la stagione 2019-2020 la debordante offerta teatrale catanese non smentisce il suo invitante e intrigante appeal, sciorinando tra sperimentazione, tradizione e immancabile vernacolo (appannaggio delle ferrigne compagnie filodrammatiche), un composito quadro di proposte da far invidia (per quantità) perfino ai non pochi teatri della capitale.
Antonella Caldarella e Steve Cable (effervescente inglese da molti anni divenuto cittadino etneo), compagni di vita e direttori artisti del “Teatro Argentum Potabile”, hanno presentato in uno spazio ex palestra la pièce L’uomo invisibile- Una festa sacra, lavoro inedito scritto e diretto dallo stesso Cable. Debutto in prima nazionale nei nuovi locali di “Spazio Fluido” di Barriera del Bosco, quartiere a nord della città. In scena un copioso e brioso gruppo di giovani promesse impegnato in un lavoro itinerante (ci si sposta in vari locali) ispirato alle rappresentazioni medievali concepite in forma di sacra rappresentazione. Gli spettatori interagiscono, muovendosi nei vari spazi come “se fossero pellegrini o partecipanti ad una festa...in un viaggio onirico”, ha dichiarato il britannico direttore che alla fine, con britannico aplomb, ha invitato gli spettatori a sciorinare senza tema le proprie riflessioni mettendo nero su bianco, commentate poi in un successivo incontro collettivo. Natura violata e sua strenua difesa (a cui gli astanti sono chiamati a partecipare) sembrano essere le tematiche fetish di questo singolare esperimento scenico.
Ormai assurto nell’empireo dei “classici” moderni, balzato anni fa agli onori del grande schermo, il fortunatissimo Novecento di Alessandro Baricco - divenuto anche spettacolo teatrale – trova ancora nella drammatizzazione approntata dalla regista Rita Re nuova linfa, dinamica e vitale, sulle quinte del frequentatissimo “Teatro Stabile di Mascalucia”. Interpreti principali l’affiatato tandem dei “pivot” della compagnia: Andrea Zappala (nei panni calzanti del “narratore”, amico trombettista del protagonista) e Andrea Luca in quelli non meno confacenti di Novecento, formidabile “pianista sull’oceano” e volontario “prigioniero” della sua nave da crociera dalla quale ostinatamente rifiuta di scendere. Accompagnato dalle musiche originali di Giuseppe Palmeri, numeri di danza della “Moonwolk Dance Studio” di Alice Sapienza, lo spettacolo scorre leggero, intrigante e ricco di fascino, ben sorretto da una regia che imprime alla narrazione quasi monodica (magistralmente condotta da Zappalà) il giusto andamento “in progress”, fino alla malinconica conclusione. Il ricco cartellone del “Teatro Stabile di Mascalucia” estende fino a maggio 2020 le rappresentazioni (uno spettacolo al mese) con opere di Molière, Martoglio, Verga, Shakespeare, Rostand.
Un kafkiano, tecnologicamente apocalittico, Deadbook scritto e diretto da Francesco Maria Attardi (produzione “Teatro Mobile della Città” diretto da Francesca Ferro) ha “terrorizzato” gli spettatori accorsi alla recita nel “Piccolo Teatro di Catania” e chiamati alla fine della rappresentazione ad “uccidere” (attraverso un’app installata sul proprio smartphone prima dell’inizio dello spettacolo) l’unico, spregevole, personaggio rimasto in vita dopo la silenziosa carneficina di ben 23 “condannati”, costretti ad infliggersi la morte da una misteriosa e sadica volontà superiore. Impossibilitati ad abbandonare le postazioni in cui sono imprigionati, 24 sconosciuti si eliminano a vicenda con il semplice click sul telefonino, ognuno sperando di essere l’unico “eletto” a poter sopravvivere. Un’idea, per quanto non originalissima, che nasconde sottotraccia la paura d’un inferno tecnologico già tra noi, gestito da dispotiche e arcane menti superiori (il tirannico “grande fratello”) in grado di annullare gli esseri umani in qualsiasi momento e senza alcuna ragione. Feroce disamina dei più bassi istinti e delle sublimi nobiltà dell’animo umano. Nell’anonimo gruppone degli attori alcuni volti più noti al pubblico etneo (Giammarco Arcadipane, Francesco Bernava, Mario Opinato).
“Padrone” del “Teatro Brancati” (di cui è Direttore artistico) l’anziano, ma sempre smagliante “divo”, Tuccio Musumeci torna ad uno dei suoi cavalli di battaglia, Gli industriali del ficodindia di Massimo Simili (storica penna de “La Sicilia” di Catania), ispirato ad un incredibile fatto di cronaca (una diabolica truffa perpetrata da un sedicente imprenditore ai danni della Regione Siciliana), di cui ancor oggi gli isolani più attempati conservano allibita memoria. Diretto da Giuseppe Romani, con punte d’effervescente comicità, il duo Tuccio Musumeci (a cui, “noblesse oblige,” sono consustialmente affidate le battute più esilaranti) e l’ottimo Sebastiano Tringali duetta fino all’epilogo tra rassegnazione e disincanto del primo, inorridimento e disgusto del secondo atterrito da tanta impudenza truffaldina del nipote (Luca Fiorino). Accanto al terzetto una frizzante Margherita Mignemi (la governante) e un credibile “americano” in divisa complice dell’imbroglio (Claudio Musumeci) che mastica un divertente pot-pourri di termini inglesi, italiani e dialettali, occasione di rispolvero di vecchie gag ancora gradevoli, clou brillante della commedia. Musiche di scena di Matteo Musumeci. Fino al 10 novembre.
Transfuga partenopea, in fuga da realtà inaccettabili, Elena Dragonetti (attrice, autrice e regista, proveniente dalla Scuola di recitazione del Teatro Stabile di Genova) riporta a Catania, “a richiesta” del pubblico, Dieci tratto dal romanzo di Andrej Longo (lungamente meditato e corteggiato), sfidando e fosforizzando la scrittura letteraria con un monologo scheggiato e serratissimo che denuda impietosamente la vita miserabile e coatta di dieci personaggi d’una Napoli cenciosa, tragica, dimenticata da Dio e dalle istituzioni, giunta sul ciglio d’un irreversibile (forse) disfacimento. La salvezza è solo un’utopia? Dieci, come i comandamenti divini a cui ogni personaggio è ancorato, decalogo di realtà urlate o sussurrate da uomini e donne svuotati dalla vita (interpretati con continui cambi d’abito dalla Dragonetti), diviene - nelle policrome modulazioni verbali e nelle scomposte posture del mobile corpo della protagonista - scioccante metafora d’una città straziata che da sempre, inascoltata, continua ad urlare il suo infinito dramma morale, esistenziale, economico e il suo supplicante, ma incompreso, bisogno di salvezza. Secondo spettacolo stagionale del coraggioso “Palco Off” di Francesca Vitale, iniziato in sordina e giunto al traguardo dell’ottava stagione teatrale etnea con la conclamata soddisfazione degli organizzatori. Co-regia di Raffaella Tagliabue.
Carnascialesca commedia degli errori “plautina” al “Teatro Metropolitan” dove la “Nuova Compagnia Sipario”, diretta da Turi e Federica Amore (entrambi attori), ha presentato, per la “X rassegna De Curtis”, Un profumo a tradimento vivace regia di Emanuele Puglia (anche interprete). Alla base del testo di Russo la proibitiva voglia di tradimenti, attuata per riattizzare uno stanco ménage matrimoniale, sessualmente spento, tra un serioso entomologo (Turi Amore) e la bella moglie (Marta Limoli) che la notte del veglione, dopo essersi furtivamente allontanati da casa entrambi credendo che il coniuge dormisse, s’incontrano mascherati una da geisha l’altro da Don Giovanni senza riconoscersi. La macchinazione escogitata da un amico dello scienziato (chiaramente nei panni del “servus”) - fonte di equivoci, menzogne e scambi di persona - sarà alla fine smascherata, secondo il classico schema plautino (il cosiddetto “agnito”), consentendo così di ricomporre miracolosamente la minacciata unità familiare. Frizzanti e spassosi duetti tra i rodati Amore-Limoli e Amore-Puglia che hanno garantito al foltissimo pubblico un piacevole divertimento domenicale.
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