Terrorismo politico e mafioso, antico patto di governo

Cultura | 26 giugno 2020
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“La mafia che esiste in Sicilia non è invincibile di per sé, ma perché è strumento di governo”. A dirlo, nel lontano 1875, era stato il procuratore generale di Palermo, Diego Tajani, rompendo un antico tabù e arrivando ad ammettere che “Negare l'esistenza della mafia equivaleva a negare il sole”. Una complicità che ha radici remote e che ha condizionato lo sviluppo del Mezzogiorno. A ricordarlo, nel corso dell'incontro su “Terrorismo politico, terrorismo mafioso e nuove tendenze della giustizia internazionale”, sono stati Antonio Balsamo, consigliere giuridico per l'Italia nella sede Onu a Vienna, Ettore Barcellona, avvocato cassazionista, Rino Cascio, caporedattore Rai Sicilia, e Vito Lo Monaco, presidente del centro studi Pio La Torre.

La storia delle stragi mafiose in Sicilia, l'evoluzione transnazionale della criminalità organizzata e la capacità di mimesi continua di cosa nostra sono state al centro dell'incontro - trasmesso in diretta Facebook sulla pagina social del centro Pio La Torre per via delle nuove disposizioni anticoronavirus -  che ha superato le mille visualizzazioni.

Lungo è l'elenco delle vittime e delle stragi che hanno portato al raggiungimento di una certa consapevolezza tra Stati per contrastare le mafie, traguardo sancito dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale firmata a Palermo nel 2000 e più volte ricordata nel corso dell'incontro. Rino Cascio ha citato le foibe di Rocca Busambra a Corleone dove i resti del sindacalista Placido Rizzotto furono gettati da Luciano Liggio, un metodo violento quasi allineato al delirante motto delle Brigate Rosse “Colpirne uno per educarne 100”. O anche la teatralità scelta per uccidere il giudice Falcone e i suoi agenti di scorta nell'attentato di Capaci: “Quelle stragi lanciano un messaggio allo Stato che somiglia a quello di un certo terrorismo eversivo”, ha detto il giornalista. Ettore Barcellona ha poi sottolineato la “Convergenza tra mafia e terrorismo di cui erano consapevoli, in netto anticipo sui tempi, sia Giovanni Falcone che Pio La Torre che aveva addirittura ipotizzato una convergenza oggettiva tra mafia, terrorismo ed eversione. Diverse sentenze hanno parlato di 'terrorismo mafioso' – ha detto Barcellona - dalla strage di Ciaculli al Maxiprocesso, e la finalità aggravante del terrorismo è stata applicata alle sentenze delle bombe del '93. La sentenza della Corte di Assise di Caltanissetta ha evidenziato in particolare come tali eventi enunciassero una dichiarazione di guerra allo Stato”. “Mi commuove pensare che nel palazzo delle Nazioni Unite a Vienna due siano le statue che rappresentano il volto dell'Italia nel mondo – ha ricordato il giudice Balsamo – una è quella di Enrico Fermi, l'altra è di Giovanni Falcone: entrambi perseguitati durante la loro attività, entrambi capaci di avere una visione e anticipare con le loro analisi i grandi eventi”. Balsamo ha spiegato tattiche e alleanze funzionali tra mafia e terrorismo nel raggiungimento di obiettivi criminali, sottolineando quell'intuizione di Falcone secondo la quale “Un problema globale come la mafia esige una risposta globale e la lotta non può essere condotta da un Paese soltanto”, come esplicato nel saggio di Balsamo su “Lotta al terrorismo tra giurisdizione indiretta della Corte penale internazionale, cooperazione giudiziaria e tutela dei diritti fondamentali”, più volte citato in videoconferenza.

“Pio La Torre diceva che le mafie senza sostegno politico non sarebbero mafie – ha ricordato Vito Lo Monaco – se una parte della classe dirigente ancora oggi tace, mentre le mafie si organizzano istantaneamente per approfittare della crisi economia post pandemia e infiltrarsi nella spesa pubblica, diventa più complicato convincere le persone a ribellarsi. Eppure, proprio dalla società civile arrivano delle significative spinte al cambiamento: lo vediamo dalle recenti denunce anti usura e dalla nostra indagine sulla percezione mafiosa condotta anche tra gli studenti detenuti che hanno manifestato una netta avversione nei confronti della criminalità organizzata. Quando con Pio La Torre difendevamo gli interessi degli ultimi – spiega Lo Monaco – ci scontravamo con la mafia, eravamo antimafiosi non per autoproclamazione ma per necessità. Oggi invece c'è una certa corsa ad autoproclamarsi antimafiosi mentre sarebbe necessario e auspicabile un rifiuto netto di ogni complicità da parte della classe dirigente, appello che è mancato negli ultimi Stati generali in cui si è affrontato il tema di un'economia da ricostruire”. Dagli studiosi, infine, una riflessione sulla necessità di revisione della Convenzione di Palermo “per superare le inadeguatezze degli ordinamenti – ha concluso Balsamo – armonizzare la legislazione e progettare una risposta comune. Su questo si può e si deve costruire un'alleanza tra mondo istituzionale e società civile”.

 di Antonella Lombardi

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