Tabucchi, il portoghese di Vecchiano

Cultura | 28 marzo 2015
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Vecchiano è un piccolo comune in provincia di Pisa, dove Antonio Tabucchi aveva trascorso l'infanzia, perlomeno le vacanze estive, come nel costume e nelle abitudini delle famiglie borghesi nel corso degli anni cinquanta, ospite dei nonni materni, lasciando là il suo cuore e ritornando sul luogo, ormai adulto, per acquistare una vecchia casa padronale, trasformata, dal suo amore e da quello della moglie, Maria José de Lancastre, in un sacrario di cimeli, di libri, di ... ombre.

La città di adozione, Vecchiano appunto, lo ricorderà, qualche ora prima che questo articolo uscirà, nella tarda serata di sabato 28 marzo, nella sala del consiglio comunale dedicata a Sandro Pertini, di cui Tabucchi conservava gelosamente alcuni scritti, uno tra tutti, L'incontro con la madre, contenuto in un'edizione Mondadori del 1970, dal titolo Sei condanne, due evasioni.

Il Fatto Quotidiano, il giornale che lo aveva avuto tra i suoi promotori, poi, collaboratore con articoli dalla forza impetuosa, in cui l'indignazione era la più autentica testimonianza dell'esigenza di rifondare la politica, di dare moralità allo spirito civico ormai irrimediabilmente abraso, lo ha già commemorato, a tre anni dalla sua scomparsa, con due articoli a firma di Paolo Di Paolo e di Marco Travaglio, il primo e il secondo collegati da un'unico filo rosso, la cui traccia è impressa dal  Tabucchi, sacerdote della letteratura del globo, dei suoi viandanti e dei percorsi terreni, almeno per coloro che credono anche in quelli soprannaturali, adottando gli altrove, come unicità dell'anima e dello spirito del mondo.

L'uomo libero, protagonista del ricordo di Travaglio, un pezzo dolente e malinconico, non è, come alcuni possono credere, l'intellettuale, definizione aborrita da Tabucchi, che si occupa di politica, no! Ė lo scrittore che afferma la sua scelta di vita, dentro la quale la letteratura è parte essenziale dell'esistenza, del suo essere cittadino!

Andrea Bajani, che di Tabucchi fu sodale, compagno di nottate insonni, di ricordi, di letture, di lasciti letterari, vergò per Feltrinelli, con la pietà e la fatica di un amico che aveva condiviso la vita e la morte, avvenuta il  25 marzo 2012 a Lisbona, una memoria limpida dell'uomo e dello scrittore Tabucchi dal titolo empatico e suadente, struggente e rimembrante.

Mi riconosci, è la domanda rimasta in gola, che mostra per intero il dolore della scomparsa, restituendo al rapporto tra Tabucchi e Bajani, la curiosità, la delicatezza, la timidezza, il desiderio di conoscenza, che ogni amicizia dovrebbe possedere, che, comunque, era l'essenza del rapporto tra i due scrittori, l'uno Tabucchi, appartenente alla generazione dei padri, l'altro, Bajani, figlio di una letteratura cresciuta ai migliori modelli, che, invece di dividere, univa tra loro i viandanti del mondo, gli altrove, in un'unicità, irripetibile sconfitta della morte, attraverso la letteratura!

La galleria di ritratti, di cui il lettore riuscirà a intravedere le ombre in Mi riconosci, è l'omaggio che Antonio Tabucchi, avrebbe sperato e voluto da questo giovane talento, quell'Andrea Bajani, che il Tabucchi, cittadino e scrittore del mondo, si pensi a Requiem, Donna di Porto Pym, Notturno indiano, Si sta facendo sempre più tardi, aveva tenuto a battesimo, in una notte d'estate a Parigi, quando aveva voluto conoscere l'allora giovane Bajani, che, all'epoca, aveva, appena pubblicato, Se consideri le colpe.

I lettori attenti comprenderanno fin dal titolo, Mi riconosci, che il solco delle conversazioni, dei contatti, delle storie, che costituivano gli spazi, gli incontri, le telefonate tra i due scrittori è Sonetti a Orfeo di Rainer Maria Rilke.

Il tempo, per gli scriba, è il condizionamento più arduo nel pensiero, sul testo, nella vita; dentro questo segmento che non ha recinto, se non l'infinito dei numeri immaginari, si muove la letterarietà, l'istinto di scrittura, la ricerca del tempo perduto e la tensione per ritrovarlo. Di questo discutevano Tabucchi e Bajani.

Nei primi mesi del 1992, Antonio Tabucchi aveva percorso, con gli occhi del cuore, l'agonia del più amato tra i suoi poeti. Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa, una dialogica ricostruzione, dedicata al portoghese, che, febbricitante e allucinato, condizione che non gli derivava soltanto dal tormento della morte prossima, bensì dallo stato di costante proiezione del suo essere sulle molteplici figure di sé, che lui stesso aveva creato, gli eteronimi, aveva raccolto intorno al suo letto d'ospedale di Saõ Luís do Franceses per raccomandare a ciascuno, da Bernardo Soares a Alberto Caeiro, da Alvaro Campos a Ricardo Reis, per citarne soltanto alcuni, il proseguimento della sua opera letteraria o la morte, in alternativa l'eterna poesia.

Tabucchi, se avesse voluto, non sappiamo se così è stato, avrebbe sicuramente immaginato che la sua vita sarebbe stata raccontata attraverso sogni, ombre, spazi, dipinti, libri, gli amati libri, che nella sua dimora di Vecchiano, negli ultimi mesi della sua malattia, che lo avrebbe condotto all'oblio, erano stati sorvegliati, accuditi, accarezzati dagli occhi di un giovane scrittore, quell'Andrea Bajani, che, distante tanti anni da lui, aveva accolto, dentro di sé, cullandolo come fosse suo lo spazio che la morte stava per sottrarre a Tabucchi.

I know not what torromow will bring. "Non so cosa porterà il domani", la frase di congedo di Pessoa dal mondo, sarebbe appartenuta anche a Tabucchi.

 


 di Angelo Mattone

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