Surrealismo e vita di Beethoven scaldano i teatri catanesi

Cultura | 26 novembre 2019
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La cifra surreale, prediletta da molti drammaturghi, consente agli autori di superare d’un balzo le restrizioni-costrizioni della realtà, gli steccati rigidi della razionalità. Nel teatro, come nel cinema, il ricorso al surrealismo oltre a produrre un sorta di effetto di straniamento, permette di innescare in questa immaginifica realtà una singolare comicità, scivolando dal mondo reale alla dimensione fantastica senza alcuna soluzione di continuità e così creando uno spaesamento prodotto dall’illusione, cioè di ciò che sarebbe stato impossibile dire o rappresentare mantenendo il registro del vero. 

Roberto Alaimo, giornalista Rai di Palermo, lo sperimenta (ben conscio di queste possibilità) nel suo lavoro teatrale “Chi vive giace”, rappresentato al teatro “Brancati di Catania, una “black comedy”, nera per la presenza di defunti che discorrono e interagiscono con il mondo dei vivi i quali a loro volta addirittura possono prenderne momentaneamente il posto, mentre il defunto tornato miracolosamente in vita può attendere ai normali atti della quotidianità. Ed è proprio in questa irreale dialettica morti-vivi che la commedia di Alaimo trova il suo maggior punto di forza, con le due famiglie - quella della morta in un incidente automobilistico e quella del giovane che ancora poco pratico della guida, distratto ed incosciente, ha ucciso la donna - che alla fine s’incontrano e si scontrano in una specie di limbo nebbioso dove il detto “Chi muore giace e chi vive si da pace” si capovolge in “Chi vive giace”. 

Una commedia gradevole che senza voli pindarici moderatamente diverte supportata da una buona prova del cast (David Coco, Roberta Caronia, Agostino Zumbo, Stefania Blandeburgo, Claudio Zappalà). Regia di Armando Pogliese che nelle note di regia si dice “affascinato dalla forma espressiva, dal linguaggio...tanto che mi è parso di leggere musica”.

 La tormentata esistenza di Ludwig Van Beethoven, confessata nel diario intimo ritrovato del compositore, è ora oggetto dello spettacolo “Dear Ludwig” messo in scena dal regista-attore Nicola Costa al teatro Chaplin, palesemente innamorato per sua stessa ammissione del grande musicista, del quale (proprio attraverso le sofferte pagine diaristiche) dà un’interpretazione caratteriale, sottotitolando non a caso il suo lavoro di scavo psicologico-esistenziale “Sogni, passioni, amori e frustrazioni di Ludwig Van Beethoven”. La responsabilità che Costa volontariamente si assume non è da poco, entrando (o cercando di farlo) nell’intimo d’un personaggio tormentatissimo, in lotta con il mondo intero, che ama disperatamente ma al quale rifiuta di offrire la sua musica nella misura in cui questa diviene semplice sollazzo e non cura e tormento dell’animo, del quale rappresenta la più sublime delle creazioni. 

Un mondo al quale il grande compositore chiede la definitiva liberazione dal bisogno, porgendo tutto il suo amore per gli uomini, per l’arte e per gl’ immortali valori dell’amicizia, dell’onestà. Insomma un Beethoven, spesso esagitato, urlante contro la sordità del mondo o la sua sguattera, squassato dalla sua stessa sordità e fiaccato nel fisico, ma nel fondo dell’animo carico dell’amore infinito (per la madre, per i fratelli, per le donne amate, per l’umanità) enunciato senza veli nel suo testamento morale. Sofferta ed intensa interpretazione di Nicola Costa protagonista assoluto, lungamente applaudito dal pubblico in sala). Altri attori: Franco Colaiemma, Carmela Sanfilippo, Alice Sgroi, Giammarco Arcadipane, Angelo Ariosto.  

 di Franco La Magna

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