Storia di un partigiano siciliano fucilato dai fascisti sulle Alpi
Questa non è una recensione. Per dirla con il buon Sciascia. È un tributo al valore di un libro. L’autore è Antonio Ortoleva, giornalista e saggista. È la storia di un giovane partigiano. Un ragazzo siciliano fucilato dai fascisti nel 1945. Lo scenario naturale è una valle delle Prealpi biellesi. “Non posso salvarmi da solo. Jacon, storia di un partigiano”, è il titolo del volume edito da Navarra (pagg. 138, euro 12,00).
I libri non li legge nessuno, le presentazioni sono noiose. Questo l’assunto consolidato. Eppure questo libro, sicuramente, susciterà dibattiti accesi. Una storia recente con la quale la nostra nazione non ha mai voluto fare i conti. Un passato che non passa. Una ferita non cicatrizzata. Lo testimoniano, tragicamente, i recenti fatti di cronaca come l’assalto squadrista alla sede della Cgil di Roma. I libri, al di la del loro valore letterario, hanno un merito, interrogano il lettore, necessitano del giusto tempo di riflessione, fanno riaffiorare verità scomode. Il lavoro di Antonio Ortoleva, non solo ha questo merito ma ha anche sortito un effetto politico, riuscendo nell’intento di riappacificare, unire, due luoghi eccentrici: Isnello e Salussolo. Sicilia e Piemonte, accomunati dal martirio di un giovane. Il finale di partita è stato un lungo corteo con in testa i sindaci delle due comunità. Dopo sessantasei anni, le ceneri del giovane Jacon, hanno trovato pace nel cimitero della natia Isnello. Questo non è un libro consolatorio, è un libro consoliano. Un libro di scrittura sociale, come quella di Vincenzo Consolo. Con il garbo dovuto, la giusta distanza che conferisce un’esortazione scritta, si potrebbe rivolgere un invito all’autore: dare un seguito a questa storia, forse anche in forma teatrale. Tra le pagine di questa storia albergano personaggi che sembrano bramare un palcoscenico: Don Salvatore Peri, il parroco della Chiesa madre di Isnello che decide di pubblicare la storia di Giovanni tra le pagine del giornale della parrocchia. Il sindaco di Isnello che trova sulla sua scrivania il ritaglio dell’articolo. Il rumore delle scarpe chiodate dei fascisti che irrompono nottempo, casa per casa, come narrato in un libro di Vincenzo Consolo. Dalle pagine del libro di Ortoleva si sprigiona una tensione morale elettrizzante. Come un desiderio di narrazione rattenuto. Si narra di un giovane contadino siciliano. Era nato nel 1921 a Isnello, un paesino arroccato sulle Madonie. Il suo nome era Giovanni Ortoleva. La follia del regime mussoliniano lo trasforma in uno spaesato soldato di artiglieria, spedito a migliaia di chilometri da casa. Una tragedia toccata in sorte a migliaia di giovani italiani. Si ritrova, dopo l’8 settembre, a militare tra le file della Resistenza. Italiani contro italiani. Giovanni decide da che parte stare, la parte giusta, diventa partigiano. Nella foto che campeggia in copertina mostra più dei suoi anni. Le mani ai fianchi, l’ampio cinturone. Tragicamente, sarà chiamato per l’ultima volta a operare una scelta. Arrestato dai fascisti, si ritrova al cospetto di un federale siciliano, un conterraneo che gli impone di scegliere. Jacon, questo il nome di battaglia del giovane Ortoleva, sceglie di non tradire i suoi ideali. Sceglie di stare dove si perde, gli costerà la vita. Muore per appartenenza, per un’idea di giustizia e libertà. Due siciliani, dunque. Due modi di intendere la vita. Da una parte, un erede del gattopardismo più bieco. Quello che in Sicilia ha scelto di stare sempre dalla parte dei potenti. La Sicilia dei Calogero Sedara, dei baroni, dei latifondisti, dei fiancheggiatori della Mafia. L’Isola delle untuosità spagnoleggianti, della viltà. La regione terreno di pascolo elettorale. La Sicilia delle rivolte contadine represse nel sangue. Da sempre c’è una Sicilia dei vinti e una dei vili. È la terra degli impetuosi capitani di tavole imbandite, veementi condottieri di serate conviviali. Jacon era il volto della Sicilia bella, quella che non si piega, mai. È solo uno delle migliaia di giovani che moriranno nei campi di concentramento, saranno relegati nelle carceri, confinati nelle isole. Questo è stato il fascismo, l’assassinio miserabile dei giovani ideali, dei sogni. Questa terribile verità, per molti, è ancora scomoda da accettare. Non solo dunque occorre fare esercizio di memoria sciasciana, non dimenticare. Ma è necessario anche vigilare. Nella terra di Cagliostro, l’insofferenza sciasciana metteva profeticamente in guardia dalla deriva dei professionisti dell’antimafia. Lo stesso vale per il rischio, sempre in agguato, di professionismo antifascista. I regimi vietano i libri, le dittature li mandano al rogo. I libri vanno letti, soprattutto se sono scomodi, come questoo scritto da Ortoleva. Questa pagine vanno diffuse in una nazione densamente popolata da ultras negli stadi, animata da picchiatori di Casa Pound, delle svastiche sui muri. Non si vergognano di dichiararsi fascisti i protagonisti smascherati dalla recente inchiesta giornalistica di Fanpage. Sono gli eredi di una lunga tradizione di orrore. Una linea nera che unisce Gladio, P2, stragi, tentativi di golpe, depistaggi, segreti di Stato, consorterie, gilde, massonerie. Questo l’assunto del libro, non dimenticare. Pagine che dovrebbero trovare approdo nelle scuole., nelle università. Proprio in un momento storico di smarrimento come quello che viviamo. In Oriente, quando non sai dove andare, l’esortazione è quella di fermarsi e guardare da dove siamo partiti. La recente storia italiana muove da questo vissuto tragico. Un equivoco irrisolto che rischia di riproporsi ancor più tragicamente.
“Morti e vivi con lo stesso impegno. Popolo serrato intorno al monumento che si chiama ora e sempre Resistenza”. Sono parole che evocano un padre costituente, Piero Calamandrei. Lo stesso intellettuale che ricordava come dietro ogni articolo della nostra Costituzione si annida il volto di un giovane caduto per la libertà e la giustizia. Uno di questi era Jacon, Giovanni Ortoleva, di anni ventitrè, nato a Isnello.
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