Simons, meglio l'imprudenza che la saggezza
Riesumare vecchi romanzi speciali, speciali per
milioni di motivi ma affondati nell'oblio, e far centro, nell'immaginario dei
lettori, non riesce a tutti. Emblematico il caso di “Stoner” riproposto da
Fazi, o di certi titoli riportati alla ribalta da Adelphi (“Zia Mame”, per
esempio). È un peccato che una parabola simile non sia toccata, da quando è
riapparso in Italia, a “Una vergine sciocca” (236 pagine, 16 euro) di Ida
Simons, edito da Rizzoli nella traduzione di Laura Pignatti (quella del
“Diario” di Anne Frank).
“Una
vergine sciocca” è una storia meno ebraica (ed è una delle poche pecche) e meno
triste di quanto possa sembrare, un testo che certamente intreccia
immaginazione ed elementi autobiografici tra le due guerre mondiali, affondando
nell'infanzia della scrittrice, e che si nutre di personaggi pittoreschi (dai
genitori alle nonne, a certi zii), di uno sguardo divertito e divertente e di
una benevolenza di fondo per un mondo che poi sarebbe stato spazzato via quasi
totalmente dal demone del nazismo – nazismo di cui non ci sono che poche tracce
nelle oltre duecento pagine. Metafora evangelica del titolo a parte (appresa la
parabola delle vergine savie e di quelle stolte, Gittel, la protagonista
dodicenne, parteggia per simpatia con le seconde, meglio l'imprudenza che la
saggezza), “Una vergine sciocca” è la storia di una ragazzina – tra L'Aia,
Anversa e Berlino, negli anni Venti del secolo scorso – di fronte alla vita, in
cerca di un porto sicuro nel caotico turbine del mondo, tra fiducia e
tradimento, tra stupore e amarezza.
L'ingenuità e lo sguardo ironico di Gittel, la freschezza e l'humour caustico della prosa di Simons travalicano, e di molto, temporalmente, l'anno di pubblicazione, il 1959, il penultimo di vita dell'autrice, che morì quarantanovenne in Olanda, dopo una vita di successi internazionali come pianista, compromessa però irrimediabilmente dalla seconda guerra mondiale, con l'atroce esperienza dei campi di concentramento. Esperienza forse prefigurata dall'anatema che nelle ultime pagine scagliato addosso a Gittel da Mardell (ricco banchiere che l'ha accolta a casa sua, per farla esercitare su un pianoforte Steinway): «... sarai infelice per tutta la vita e cadrai in qualsiasi inganno. Quelli di cui ti fiderai, tradiranno la tua fiducia; ma quando qualcuno sarà ben disposto verso di te, tu sarai troppo sciocca per apprezzarlo».
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