Si può tornare dal male credendo nella vita e non nella vendetta
La ruggine non attacca le testimonianze della Shoah. Per la loro autenticità, per la loro forza, e per la durezza del cuore degli uomini, naturalmente, quelli che ancora nel 2016 predicano in altra direzione. Ecco perché servono sempre testi del genere e, fra quanti ne sono stati pubblicati ultimamente, si ritaglia un posto importante “Eravamo ebrei. Questa era la nostra unica colpa” (120 pagine, 15,50 euro), memoria del novantenne Alberto Mieli, raccolte dalla nipote Ester. Il libro è edito da Marsilio, che negli ultimi anni ha dato voce e spazio ad alcuni libri importanti sulla Shoah, ad esempio quelli di Lucille Eichengren, ma anche lo stupendo epistolario di Pali Meller, “Baci di carta. Lettere di un padre ebreo dalla prigione”, e un romanzo, intriso di verità, come “Gli spodestati” di Steve Sem-Sandberg.
Mieli, giovanissimo deportato romano in
Germania, vive sulla propria pelle ogni orrore dei lager, dopo aver fatto i
conti con i primi bagliori di discriminazione si scorgevano nelle leggi
“razziste” (così le ribattezza, non razziali) del fascismo, capaci di
sovvertire le sorti della sua famiglia (i pianti composti della madre, il padre
che per mesi finge di non essere licenziato). La memoria del campo di
concentramento ha cicatrici fisiche e nell’anima, ed è un “corso di
sopravvivenza” contro l’insensatezza del male assoluto, il ricordo di chi ce
l’ha fatta e di chi è caduto, nel freddo glaciale che non fa più battere cuore
ed emozioni, nel lento scivolare verso una dimensione bestiale, in cui i
prigionieri erano aizzati gli uni contro gli altri, oltre che picchiati,
dileggiati, torturati, annientati.
Attraversare il male e giungere a novant’anni – questa l’età di Mieli – non impedisce all’autore di queste memorie di credere profondamente nella vita e nel suo valore, nella vendetta come disvalore (esemplare un racconto nel racconto, con protagonisti tre olandesi, due fratelli e una sorella), nell’appello da rivolgere ai giovani, affinché siano sentinelle vigili contro ogni discriminazione che nasconde abomini. Il monito è cristallino, univoco: “L’antisemitismo si maschera di continuo – scrive Mieli a circa un quarto del volume – cambia colore, pelle, slogan e modo. Solo l’educazione e la cultura possono tenergli testa”.
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