Scegliere il silenzio e non sfuggire al destino

Cultura | 30 novembre 2015
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È il momento dell’Ucraina. Indubitabilmente per il Nobel a Svetlana Alexievich, dietro la quale ci sono voci di valore, alcune non ancora sbarcate in Italia, altre poco tradotte (un esempio è quello di Yuri Andrukhovych). Le eccezioni, di valore, sono rappresentate da Katja Petrowskaja, autrice di “Forse Esther” (Adelphi), e da Marija Matios, che sbarca in Italia grazie a una sigla editoriale di qualità come Keller. Tradotto da Francesca Fici, “Darusja la dolce” (215 pagine, 15,50 euro) di Marija Matios è un romanzo che colpisce al cuore per come racconta la Bucovina – angolo di mondo tra Ucraina e Romania martoriato dalla storia e dalle dittature, con frequenti modifiche dei confini – incarnata da Darusja, una giovane solitaria e silenziosa, presa in giro da chi vive nel suo minuscolo villaggio e la considera anche una svitata o, nella migliore delle ipotesi, una mezza scema.

Non parla per scelta, Darusja, è il suo modo di ribellarsi al mondo che periodicamente impone alla sua terra violenze e lingue diverse; si scioglie solo, e poco, davanti alla tomba del padre, in un muto dialogo senza interlocutore che però le dà pace. Come le darà pace e amore – piccola parentesi di una vita disperata, idillio di meno di cinquanta pagine, che sostituiscono la seconda parte del volume – cavandole anche una voce dall’anima Ivan Cvyčok, musicista girovago, con cui vivrà una breve tenera storia.

Darusja, le sue emicranie (nate al solo vedere caramelle e che vanno via con un'immersione nell'acqua di qualche fiumiciattolo) e il suo mondo – uno spazio rurale, sospeso nel tempo, almeno fino alla parte finale del volume – sono raccontati con una sensibilità, un’umanità e una scrittura lieve che fanno a pugni con i drammi che si susseguono in un microcosmo esemplare di un mondo ormai inghiottito, stretto fra alcune superpotenze tra le due guerre mondiali. La protagonista, tuttavia, non riesce a sfuggire al proprio destino, all’eco della atroce tragedia che colpisce i suoi genitori – prima Matronka, poi Michajlo – a un dolore che si perpetua negli anni e sembra scontare sulla propria pelle. Una delle due comari che sono la voce fuori campo del romanzo sintetizzano bene l'anima di questa storia: «Ci ha pensato Iddio, a escogitare castighi per tutti».

 di Salvatore Lo Iacono

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