Sblocco dei licenziamenti, l'ira di vescovi e sindacati

Economia | 25 maggio 2021
Condividi su WhatsApp Twitter

“Non si può chiudere improvvisamente l'ombrello", anche i vescovi bocciano l'ipotesi dello sblocco dei licenziamenti.  Il vicepresidente della Cei e vescovo di Novara, mons. Franco Giulio Brambilla, sottolinea senza mezzi termini che dopo «il duplice ombrello, l’impossibilità dei licenziamenti e gli ammortizzatori sociali», «bisogna immaginare un’uscita graduale». «Con tutti i soldi spesi fino adesso, chiudere improvvisamente l’ombrello farebbe galleggiare, scusate l'espressione, molti morti», ha aggiunto.

Dopo il blocco dei licenziamenti, al momento lasciato invariato al 30 giugno invece del 28 agosto come inizialmente ipotizzato, potrebbero saltare altri 600.000 posti di lavoro, di cui 60 mila in Sicilia. Il pacchetto dedicato al lavoro contenuto nel decreto Sostegni bis, infatti, introduce solo una serie di misure di stampo assistenzialistico e politiche passive che non metteranno le imprese italiane nelle condizioni di poter promuovere e sostenere l’occupazione, afferma Unimpresa, secondo cui «l'unica agevolazione concreta riguarda lo sgravio contributivo, ma tale intervento consente di coprire solo il 10% del costo del lavoro a carico di un’azienda». La diminuzione dell’occupazione è la vera piaga di questa pandemia con 945.000 posti di lavoro persi e altri 600.000 pronti a evaporare allo spirare del blocco dei licenziamenti che con un colpo di spugna all’ultimo istante è stato riproposto» , commenta il consigliere nazionale di Unimpresa, Giovanni Assi.

«La fine del blocco dei licenziamenti sommata alla mancata riforma degli ammortizzatori sociali e all’assenza tutt'oggi di politiche per il lavoro determinerà in Sicilia una catastrofe sociale con il venire meno di 57 mila posti di lavoro», dice il segretario generale della Cgil Sicilia, Alfio Mannino, che critica da un lato quella che definisce «l'irresponsabilità sociale della Confindustria», dall’altro l’atteggiamento del governo «che avrebbe dovuto piuttosto tenere la barra dritta e accelerare sulle riforme e i provvedimenti oggi invece al palo». Per Mannino, «la gravità della situazione in Sicilia e nel Mezzogiorno o non è percepita o è sottovalutata. Ci saremmo aspettati- sottolinea- un ordine inverso dei provvedimenti: prima la riforma degli ammortizzatori sociali, le politiche attive e la partenza degli investimenti, poi la fine del blocco dei licenziamenti. Questa oggi determinerebbe nell’Isola un colpo di scure sul 3% del già esiguo numero di occupati». Il segretario della Cgil rileva che «oggi ci troviamo in presenza di risorse teoriche come quelle del Recovery Fund, mentre si pensa a tagliare quelle reali dei fondi strutturali, ben 500 milioni, in un settore strategico per la Sicilia come l’agricoltura». «E' una situazione paradossale - conclude Mannino - è incredibile che il dopo Covid parta da tagli e licenziamenti, anzichè da investimenti e assunzioni. E’ difficile ipotizzare così una ripresa».

“Un’ondata di licenziamenti,  in una regione che ha già tassi di disoccupazione altissimi, non la possiamo permettere”, ribadisce anche il segretario  generale della Uil Sicilia, Claudio Barone. «C'è anche il rischio - aggiunge - che vengano tagliate le spese sulla sicurezza. I lavoratori, scampati al Covid, non possono dovere scegliere tra morire di fame, perché licenziati, o andare a lavorare in condizioni di sfruttamento con turni massacranti e senza rispetto delle norme antinfortunistiche. Per questo continuiamo a chiedere al governo regionale di potenziare da subito gli organici degli ispettori del lavoro, oggi insufficienti. Senza controlli sarebbe vanificata qualsiasi normativa. Gli edili - conclude il leader della Uil Sicilia - saranno domani in piazza, a Palermo, anche contro l’annunciata liberalizzazione dei sub appalti. Occorre spendere risorse e realizzare le opere ma bisogna farlo garantendo trasparenza e sicurezza. Non si può dare il «liberi tutti» con sub appalti selvaggi che vanificherebbero il rispetto di contratti e nome».

Confindustria, dal canto suo, continua a chiedere la fine del blocco dei licenziamenti. Per il presidente  Bonomi, manca la volontà del ministro del Lavoro Orlando di affrontare i veri problemi del mondo del lavoro. E scattano le prime proteste. Il sindacato Usb Lavoro privato proclama 8 ore di sciopero contro le «decisioni estremamente negative per i lavoratori e estremamente positive per Confindustria prese dal governo in questi giorni» e contro «l'ampia libertà alle imprese di peggiorare condizioni salariali e lavorative, con il massimo ribasso nelle gare e l’ampliamento della possibilità di appaltare e subappaltare». Lo sciopero di 8 ore sarà articolato a livello provinciale, a partire dalla prossima settimana, spiega l’Usb, con manifestazioni davanti alle sedi di Confindustria e alle Prefetture.

 di Angelo Meli

Ultimi articoli

« Articoli precedenti