Santiago-Italia, Moretti rievoca la rivoluzione solidale del 1973

Cultura | 1 dicembre 2018
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'Santiago-Italià il nuovo film di Nanni Moretti sul Cile passato  al

Torino film festival, tre anni dopo "Mia madre", è un

documentario dall’impianto classico, ma con una chiaro intento

morale e la precisa volontà di fare un inevitabile confronto di

"come eravamo» negli anni Settanta e di come siamo diventati. 

Dedicato al colpo di stato dell’11 settembre 1973 di Pinochet

che pose fine al governo socialista di Salvador Allende in Cile,

'Santiago, Italià che chiude la 36esima edizione

del Torino Film Festival e in sala dal 6 dicembre con Academy

Two, è una lunga serie di interviste e materiali di repertorio

sulla fine del governo socialista di Allende e sul ruolo

dall’ambasciata italiana a Santiago.

 Un’ambasciata che diede

rifugio a centinaia di oppositori del regime (circa 600),

consentendo poi loro di raggiungere l’Italia, unico paese in

Europa che, tra l’altro, non aveva riconosciuto il governo

Pinochet. Insomma cileni migranti che approdarono in un Italia

diversa, quella degli anni di piombo e ideologizzata, un Paese

che li accolse e li integrò con grande accoglienza. Scorrono

sullo schermo in 'Santiago, Italià, tra le altre le voci quelle

dei registi Patricio Guzman e Miguel Littin, delle giornaliste

Marcia Scantlebury e Patricia Mayorga, del traduttore Rodrigo

Vergara, di militari di Pinochet ormai in carcere e,

ovviamente, la testimonianza di Roberto Toscano, l’allora

ambasciatore italiano a Santiago. C'è poi l’avvocato Carmen

Hertz che ricorda il ruolo fondamentale degli Stati Uniti nel

golpe di Pinochet; chi ricorda le torture del regime e chi il

lancio di bambini oltre il muro dell’ambasciata italiana (un

modo estremo per dar loro salvezza). E ancora la testimonianza

del diplomatico Piero De Masi che, di fronte all’invasione della

sede italiana, dice:"pur non avendo risposte ufficiali

dall’Italia decisi alla fine di tenerli tutti».

 Tra immagini di repertorio del docu quelle dello stadio-lager allestito da

Pinochet subito dopo il golpe e quelle dei caccia che

bombardarono la Moneda, il loro stesso palazzo presidenziale con

dentro Allende poi trovato morto (per suicidio o assassinato?)

Moretti, di cui si sente la sola voce durante le interviste,

mette la sua faccia, e si vede, solo una volta quando

intervistando un ex ufficiale di Pinochet in prigione (fine pena

2038), il generale Raúl Eduardo Iturriaga Neumman, replica alle

sue ragioni di militare fedele al regime e al suo desiderio di

un’intervista meno faziosa con uno scandito:"io non sono

imparziale».

Ma la morale del film è tutta nell’intervento finale di Erik

Merino, ex esule dal Cile negli anni Settanta e ora imprenditore

in Italia: «Sono arrivato in un paese che aveva fatta la guerra

partigiana e che aveva difeso lo statuto dei lavoratori. Oggi

viaggio per l’Italia e che somiglia sempre di più al Cile, alle

cose peggiori del Cile. Un consumismo terribile, quello che si

vede, dove la persona che hai al tuo fianco se può ti calpesta.

C'è ormai solo individualismo». 



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