Ripudia il boss Messina Denaro: è mio cugino ma lo combatto
Società | 28 febbraio 2015
Dopo interviste sui giornali e testimonianze in tv, Giuseppe Cimarosa, 32 anni, figlio della cugina del boss latitante trapanese Matteo Messina Denaro, si è iscritto a parlare dal palco della Leopolda siciliana del Pd a Palermo, e ha ripudiato il parente mafioso davanti a mille persone che si sono alzate ad applaudire. «Sono un parente di un mafioso che ha deciso di scagliarsi contro i mafiosi», ha detto in lacrime dal palco. «Mia madre è cugina di primo grado di Matteo Messina Denaro - ha aggiunto - e mio padre è stato arrestato nell'ambito dell'operazione Eden. Vivo a Castelvetrano e sto soffrendo parecchio. Non abbiamo accettato il programma di protezione perchè non si deve accettare la paura delle ripercussioni come alibi. Volevo dire solo questo». «Bisogna avere il coraggio del cambiamento, come l'ha avuto Giuseppe, che si è dissociato da quella storia», ha commentato poi dallo stesso palco il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Delrio. E il governatore Rosario Crocetta ha affermato: «A Giuseppe dico: hai diritto ai tuoi sogni. Tutti i siciliani hanno diritto ai loro sogni». Il giovane che ama i cavalli si occupa di «teatro equestre» e di un centro di equitazione ha detto: «Io e mio fratello che ha 25 anni ci siamo ritrovati in una situazione che non abbiamo voluto noi. Però non ci siamo arresi». Il padre, Lorenzo Cimarosa, considerato un dichiarante, lo scorso maggio è stato condannato in primo grado a 5 anni e 4 mesi per favoreggiamento e a dicembre ha subito il sequestro di beni per circa 4 milioni di euro. La procura palermitana chiedendone la condanna aveva richiesto al gup che gli venissero concesse le attenuanti generiche, ma non la speciale attenuante prevista per i pentiti che apportino un contributo rilevante alle indagini. «Ho voglia di riscatto - ha continuato Cimarosa, commosso mentre la gente lo applaudiva - Anni fa ho deciso di andare via da Castelvetrano, il mio paese dove sono tornato qualche tempo fa. Essere parente di Matteo Messina Denaro è un problema che non si può risolvere». «La presenza di Matteo Messina Denaro è ancora molto forte - ha aggiunto - Quando mio padre è stato arrestato, il mio desiderio era quello di andare via. Poi lui mi ha spiazzato, dicendomi delle cose e io ho deciso di restare al suo fianco. Dico ai giovani che proprio le persone come me devono dare un taglio. Chi sa cosa significa il nero e il marcio che c'è in questo fenomeno deve dare un contributo. E questo è il contributo che voglio dare. Lo voglio fare pubblicamente per togliermi questa macchia. La mia salvezza sono i sogni e il mio è lavorare con i cavalli».
TRA NEW ENTRY E POCA SINISTRA
È ancora alta tensione nel Pd. Da una parte, i «renziani» che tirano dritti sulle riforme perchè sono «già 20 anni che se ne sta discutendo». Dall'altra, la sinistra Dem che accusa il segretario di «autoritarismo» e di boicottaggio della minoranza. A rilanciare le accuse, all' indomani dello sfogo di Bersani, è Gianni Cuperlo che, da Cagliari, rimprovera al premier di non ascoltare chi «cerca di avere un confronto sul merito». Non è vero, dice, che «siamo quelli che si vogliono mettere di traverso». «In questi mesi», insiste, «abbiamo sempre fatto proposte migliorative» anche se «spesso non veniamo ascoltati». «Non c'è una minoranza in assetto di guerra», assicura, «pronta a sabotare». Anzi. Parole che rimbalzano a Palermo dove Graziano Delrio, assieme a Davide Faraone, ha battezzato la prima «Leopolda siciliana», aprendo a nuovi ingressi nel partito che, secondo la sinistra, rischiano di spostare l'asse sempre più a destra, operazione politica che ha già prodotto la fuoriuscita, in Sicilia, di alcuni 'civatianì che hanno riconsegnato le tessere avvicinandosi a Sel. A chi accusa i renziani di fretta, Delrio risponde che «uno dei motivi per cui a volte acceleriamo le nostre scelte è perchè si fanno troppe chiacchiere e non si decide». «Sono vent'anni che discutiamo di riforma costituzionale ed erano 20 anni che discutevamo di città metropolitane», sbotta dal palco della Leopolda, tra gli applausi degli oltre mille partecipanti. «Bisogna agire», incalza il sottosegretario, perchè «il Pd che vogliamo non è un partito fatto di correnti e steccati», ma «un partito aperto, che si confronta liberamente». E, riprendendo le parole del pm Paolo Filippini, che ieri ha chiesto il rinvio a giudizio di 64 consiglieri ed ex consiglieri regionali lombardi per le «spese pazze» dei gruppi, Delrio dice «basta con i politici che frequentano ristoranti, chiusi nelle auto, che si parlano tra loro». «La politica per riacquistare credibilità deve stare tra la gente» e le Leopolde, come quella in salsa siciliana «non sono luoghi di partito, ma di democrazia e popolo». «Poco importa», dunque, se gran parte della sinistra del Pd siciliano abbia disertato la kermesse (presente il segretario regionale Fausto Raciti, assenti i parlamentari regionali di sinistra) o che si sia registrata l'assenza di Cgil e Cisl, anche perchè il Pd, sostiene Delrio, «è un partito grande che ospita tante culture» ed «è giusto ascoltare e avere il contributo di quante più persone possibile». Insomma, il Pd «è un grande partito nazionale popolare». Musica per le orecchie di quanti, ex centrodestra, sono pronti a saltare sul carro di Renzi, come i parlamentari regionali di Articolo 4 (movimento creato da ex Mpa ed ex Udc) Paolo Ruggirello, Luca Sammartino, Valeria Sudano e Alice Anselmo, tutti alla Leopolda. «Pur non conoscendo nel dettaglio la situazione siciliana credo sia una scelta opportuna avere tanti contributi da tante culture diverse», è la benedizione di Delrio. E a chi nel Pd vede con sospetto se non addirittura con ostilità l'allargamento a destra, risponde: «Sono sicuro che i dirigenti regionali vigileranno perchè le cose si svolgano in maniera corretta e vi sia un grande presidio sulla legalità, perchè sono scelte che il Pd ha fatto in maniera decisa e irreversibile». Neppure Cuperlo sembra intravedere il rischio scissione: «Io credo nel Pd. Dobbiamo darci una grande sinistra dentro il partito». «No» a una «Syriza in declinazione domestica». E questo mentre Lorenzo Guerini da Milano guarda al centro invitandolo a organizzare insieme «il campo del centrosinistra in vista delle politiche del 2018» anche se, assicura, «non siamo interessati a fare opa ostili».
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