Rifiuti, i danni causati dai commissari alla Sicilia
Gli interventi messi in atto dalle diverse Ordinanze di Protezione Civile, con cui a partire dal 2000, si è intervenuto sui rifiuti, con l’obiettivo di considerarli una risorsa, introducendo una gestione basata su: Riciclo, Riuso e Riduzione; hanno peggiorato le non esaltanti gestioni comunali precedenti, che operavano essenzialmente su: spazzamento, svuotamento dei cassonetti e conferimento in discarica.
I commissariamenti disposti non hanno prodotto i risultati che promettevano,
anzi per molti versi, hanno aggravato e incancrenito la situazione gestionale
isolana, generando costi elevatissimi per il personale (un numero abnorme
soprattutto di amministrativi), per la dipendenza dalla discarica (91% dei
rifiuti finisce in una buca), per i costi dei trasporti (fino a 440 km. di
percorrenza per smaltire i rifiuti), che hanno prodotto un aggravio economico
progressivo nei bilanci dei comuni, fino a dieci volte maggiore, a causa di
un’anomala e unica configurazione giuridica ed organizzativa del SISTEMA SICILIANO
dei RIFIUTI.
Dal varo del decreto Ronchi (1997), con il quale sono state recepite le
direttive europee in materia di rifiuti (1991), che mettono al centro della
gestione il riciclaggio; il tasso di crescita della raccolta differenziata è
stato pari allo 0,5% per anno. L’Isola con questo ritmo raggiungerà l’obiettivo
fissato per legge del 65%, tra più di un secolo.
L’art. 5 della legge 225/92 e le s.m.i prevede la possibilità di dichiarare lo
stato di emergenza da parte del Consiglio dei ministri, che determina la durata
e gli obiettivi. Per l’attuazione degli interventi, si provvede a mezzo di
ordinanze che operano in genere in deroga a disposizioni di legge. Questo
potere straordinario può essere utilizzato in modo efficace, appropriato e
competente e contenuto nel tempo, per risolvere una reale emergenza (questo è
lo spirito della legge). Oppure -come è quasi sempre accaduto- si sostituisce
un potere legittimo, che deve applicare procedure trasparenti e concorrenti,
con un’autorità che opera nell’opacità e senza procedure concorrenziali, grazie
al potere derogatorio di cui dispone, in barba ai principi generali
dell’ordinamento giuridico e con l’adozione di decisioni che non sono
supportate da robuste motivazioni tecniche, giuridiche e di convenienza economica.
Difatti la finalità di un’ordinanza di protezione civile, è quella di rimuovere
i “pericoli e gli ostacoli alla corretta amministrazione”, al fine di riportare
alla “normalità la gestione in base alle previsioni di legge” e nel più breve
tempo possibile (negli ultimi 15 anni: 10 di regime commissariale, 3 anni di
regime paracommissariale sotto l’autorità dell’anomala agenzia “ARRA” e 2 anni
per la chiusura delle pendenze delle gestioni commissariali).
Illogicamente accade che per rimuovere “i pericoli e gli ostacoli alla corretta
amministrazione”, vengono nominati i responsabili delle inadempienze, che si
sono sottratti alle loro funzioni pubbliche, provocando l’emergenza per
negligenza, incapacità o per corruzione. A queste stesse persone, vengono affidati
poteri straordinari che permettono nella “legalità” di andare contro la legge,
senza però "correre rischi".
Gli esiti dei regimi commissariali in Sicilia sono noti:
- 210 milioni di euro sono stati spesi per le bonifiche delle discariche non
più in uso, che incombono sui corpi idrici dell’Isola (circa 1000 discariche),
senza che nessuna di queste sia stata mai bonificata, ma nel contempo un
comitato d’affari si è spartito incarichi e consulenze per studi preliminari e
per progetti di massima. Sono
state attivate un centinaio di procedure per la messa in sicurezza per le
discariche realizzate con la procedura emergenziali (ex art.12 e art. 13).
Mentre per diverse centinaia di discariche, sono stati affidati incarichi per
gli studi progettuali, alcune di queste, circa trenta, hanno ricevuto un
intervento di messa in sicurezza.
La messa in sicurezza d’emergenza serve come intervento immediato a breve
termine, per contenere o evitare la diffusione delle sorgenti primarie di
contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e
rimuoverle, in attesa di ulteriori interventi di bonifica o di messa in
sicurezza permanente con interventi atti a isolare in modo definitivo le fonti
inquinanti rispetto alle matrici ambientali circostanti e a garantire un
elevato e definitivo livello di sicurezza per le persone e per l’ambiente. In
tali casi devono essere previsti piani di monitoraggio e controllo e
limitazioni d’uso rispetto alle previsioni degli strumenti urbanistici.
La Bonifica è la soluzione definitiva
per l’ambiente e la salute dei cittadini, in quanto vengono realizzati
l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le
sostanze inquinanti e a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel
suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o
inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR); L’uniche
bonifiche secondo i dati pubblici in mio possesso, che sono state avviate, di
cui non sono noti gli esiti post bonifica, sono: del “Vallone Tre Canali”
(Ferla), Misericordia (Savoca) e Caos nell’area industriale di Porto Empedocle.
L’altro aspetto preoccupante è rappresentato dal fatto che non è stato
predisposto ed attuato un piano di monitoraggio e controllo, che consenta di
verificare lo stato dei siti e l’efficacia degli interventi di messa in
sicurezza.
- 306 milioni destinati agli investimenti, sono stati distribuiti a pioggia per
innumerevoli interventi irrilevanti o sbagliati. Solo il 3% di questa somma (10
milioni) è stata spesa per la realizzazione di impianti di compostaggio, che
come è noto sono strategici per la Raccolta Differenziata;
- altri 540 milioni di euro sono stati sprecati dai regimi commissariali:
rifiuti, acque e dissesto idrogeologico, con esiti disastrosi: il dissesto del
territorio si è accentuato, sono in corso procedure d’infrazione per la
gestione dei rifiuti e per la mancata depurazione delle acque;
- non sono state realizzate le bonifiche dei siti altamente inquinati, nelle
aree di Augusta/Melilli/Siracusa, Gela, Milazzo/San Filippo del Melo, con
gravissime conseguenze ambientali e sanitarie, diventate cronaca di tutti i
giorni, dell’aumento di malattie polmonari, l’aumento dei casi di neoplasia e
di malformazioni neonatale.
La complicità tra governi, corpi dello Stato e commissari delegati, ha permesso
l’istituzionalizzazione dell’emergenza, generando stabilmente un sistema
parallelo, torbido e privo di controllo democratico, basato sulla deroga e sul
travisamento sistematico dell’ordinamento giuridico. Ha deresponsabilizzato gli
amministratori locali, ha prodotto una situazione aggrovigliata sul piano
amministrativo e l’inefficienza nella gestione dei rifiuti, costituendo in modo
abnorme 27 società d’ambito, contemporaneamente affidatarie e controllori della
gestione dei rifiuti. Oggi per via ordinaria, questo sistema viene polverizzato
e definitivamente sepolto, da più di 200 Ambiti di Raccolta comunale.
In questo contesto ha prosperato il malaffare, il clientelismo e la corruzione
e ingenti risorse pubbliche sono state sprecate. Un comitato d’affari si è
spartito appalti, incarichi e prebende, permettendo a Cosa nostra di continuare
a controllare una parte del business dei rifiuti, come emerge chiaramente nella
vicenda degli appalti per i quattro mega inceneritori, nella gestione delle
discariche, dei centri di stoccaggio provvisori e di rottamazione, dello
smaltimento illecito dei rifiuti speciali e speciali pericolosi.
Consegnandoci uno spaccato vergognoso, ignobile e insostenibile, che è stato
possibile grazie alle lunghe stagioni di commissariamenti, gestiti dagli stessi
responsabili del disastro sanitario, ambientale ed economico, attraverso regie
politico-mafiose che hanno operato alla luce del sole e nell’ombra.
E’ stato creato un vero e proprio buco nero, che opera nell’illegalità e nel
dileggio dell’ordinamento giuridico posto a presidio della corretta gestione
del ciclo dei rifiuti, che fa prosperare la criminalità organizzata, colletti
bianchi e politici corrotti. Se alla già critica situazione delle discariche
“incontrollate” aggiungiamo che ogni anno “spariscono nel “nulla” milioni di
tonnellate di rifiuti speciali e speciali pericolosi prodotti in Sicilia, ma
che non vengono trattati in appositi impianti dell’Isola e che non risultano in
uscita dalla regione alle capitanerie di porto, vuol dire che siamo in pieno
disastro ambientale. “In Sicilia il settore dei rifiuti si caratterizza perché
esso stesso organizzato per delinquere" (2011, Gaetano Pecorella,
presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta).
La proposta di commissariamento in materia di rifiuti avanzata in questi
giorni, per la presunta necessità – tra le altre ragioni- di dotarsi
urgentemente di un Piano di Gestione (la Sicilia è l’unica regione a non
disporre di un proprio piano), non regge sotto il profilo della logica e mette
a nudo un potere politico inadeguato e colpevolmente immobile.
La legge regionale n.9 del 2010, stabilisce – attraverso una procedura snella e
rapida- che “su proposta dell’assessore regionale" al ramo, il “presidente
della regione emana il Piano”.
Perché in regime di autonomia si vuol far intervenire il governo nazionale con
procedure eccezionali e derogatorie? Quando la via ordinaria è la più
rapida?
Perché gli assessori che si sono assecondati dal 2010 ad oggi, non hanno
predisposto il “Piano di Gestione”?
Perché il parlamento regionale non ha richiamato il governo all’applicazione di
una propria legge?
La risposta è semplice: poter continuare a pianificare in modo emergenziale al
di fuori dei vincoli di legge ed autorizzare in deroga: inceneritori e
discariche e scialacquare risorse pubbliche senza vincoli e controlli.
Ci troviamo di fronte ad un sistema criminogeno, che ha “progettato” una
gestione illegale che ha agito in modo indisturbato, grazie all’assenza dei
controlli istituzionali e di legalità. Infine, la Sicilia continua ad essere
indifesa sotto il profilo dei controlli ambientali, tra questi, vedi lo stato
tecnico e organizzativo in cui versa l’ARPA Sicilia, nata con dieci anni di
ritardo rispetto il resto d’Italia, ma che non è mai diventata “adulta”,
attraverso una oculata scelta, da parte dei decisori politici, che hanno scelto
un management inadeguato e di comodo, che ha operato in modo che non si
strutturasse una rete di controlli territoriali e di rilevamenti puntuali, a
partire dai siti interesse nazionale (SIN), in cui insistono le principali
industrie chimiche del Paese che hanno operato come in zona franca.
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