Res racconta la Sicilia che vuole sperare
"Occorre creare un clima di fiducia anche in questo scenario di crisi” dice Adam Asmundo, responsabile delle analisi economiche della Fondazione RES (Istituto di ricerca su economia e società in Sicilia), per condensare un po' il valore di una disamina attenta della realtà odierna del mondo del lavoro, con le sue dinamiche occupazione/disoccupazione, creatività e stagnazione che caratterizzano il panorana mondiale e quello italiano, e ancor più quello siciliano negli ultimi sette anni. L'occasione è venuta da un incontro organizzato per presentare il rapporto 2015 di CongiunturaRES, “Analisi e previsioni – Focus/ La mutazione: imprese e territori in sette anni di crisi in Sicilia”, il 6 febbraio nella splendida cornice di Palazzo Branciforte a Palermo.
Ma, l'economia siciliana, in particolare, stenta a uscire dalla crisi. Dal 2007 – riprende Asmundo – “le ultime stime della Fondazione Res segnalano che quello appena trascorso, il 2014, è stato ancora un anno di relativa stasi, nel quale la stagnazione produttiva si è associata un'ulteriore flessione degli investimenti e dell'occupazione. L'andamento dell'occupazione e dei redditi complica il quadro sociale caratterizzato dall'ampliarsi dei divari sociali e dell'area della povertà e della deprivazione”. Le persone in povertà relativa in Italia sono oltre dieci milioni, e quelle in povertà assoluta oltre sei milioni. In entrambi i casi il fenomeno è molto più accentuato in Sicilia e nel Meridione (dati Istat). Ma dal tunnel 2007-2014 si potrà uscire analizzando attentamente cosa questi anni di stagnazione hanno fatto perdere non solo in termini di mancato reddito ma soprattutto in termini di efficienza delle strutture, di quote di mercato a vantaggio tante volte dei mercati emergenti, nella scelta folle di inseguire un risparmio occupando personale meno qualificato, o anche delocalizzando produzioni che nel “made in Italy” avevano il loro valore aggiunto sui mercati. Raggiungendo così nel lungo periodo il risultato di incrementare la cosiddetta fuga di cervelli verso mercati più vantaggiosi per i nostri laureati (come sottolineato dal professore Umberto La Commare docente di gestione della produzione industriale al dipartimento di ingegneria di Palermo), e così impoverendo di fatto la nostra terra che invece avrebbe bisogno dell'energia dei giovani, e della novità delle loro idee per crescere.
Anche Pier Francesco Asso, della Fondazione RES, nel suo intervento ha puntato a mettere l'accento su questo inizio di mutamento nella sottolineatura della speranza che si apre per i segnali propedeutici ad un nuovo ciclo di ripartenza, attuando una mutazione nella struttura produttiva siciliana. Cambiamento di segno dal meno al più, e cambiamento qualitativo, anche, perché ogni crisi superata (!) rende più forti: “La scommessa – dice Asso – è di agganciare il mercato in cui la domanda è in crescita, e per ciò occorre essere pronti a rispondere alle richieste: imprese e territori dinamici per questo dovrebbero remare - per così dire – controcorrente, in un processo di miglioramento dell'offerta oltre che quantitativo anche qualitativo. E auspichiamo anche un cambiamento di marcia della politica che si faccia vicina alle esigenze di miglioramenti infrastrutturali che gli operatori economici nella nostra regione sollecitano da tempo, e la cui mancanza rende la nostra isola ancora più lontana dai mercati che contano, e comunque dal resto del mondo”.
Il professore Gianfranco Viesti dell'università di Bari nel suo intervento sottolinea la profondità della crisi vissuta dall'Italia (“ben più grave di quella del '29: nel '36 già il Pil aveva raggiunto quota 95, mentre oggi siamo a 91...”). “Bisogna considerare che in Italia l'economia a due velocità (Nord e Sud) fa pesare in modo diverso il ricorso a politiche di austerità, a svantaggio evidentemente delle aree più depresse. In Italia il bilancio pubblico incide fortemente sulla distribuzione della ricchezza perché le entrate fiscali sono aumentate al Sud di un punto e mezzo, per le sovrattasse locali (regionali, comunali...) ed è diminuita la spesa per istruzione e sanità. Fatta 100 la spesa in conto capitale pre-crisi, oggi al Nord si attesta a 90 e al Sud a 70: la crisi non è uguale per tutti. Danneggia i motori di sviluppo, con un calo degli investimenti privati: e in Sicilia ciò accade per cinque anni di fila. La ripresa può venire da un numero limitato di imprese che facciano da traino. E se il numero degli addetti crescesse si riuscirebbe ad approfondire questa crescita. Anche se, ovviamente dipende anche da cosa fa l'impresa però... Oggi sembra che la laurea convenga sempre meno perché non si trova lavoro (quanti laureati si sentono dire “non mi servi, sei troppo qualificato”) ma se le imprese non assumono laureati non crescono”.
Il 2015 sarà l'anno della svolta, o vivremo soltanto una fase di passaggio dalla più nera stagnazione a una meno grave? Qualcuno riprenderà a investire a partire, comunque, dal 2016...
La buona notizia è che c'è una domanda di Italia e di Sicilia nel mondo. E allora occorre stare attenti e pronti, in modo da creare un flusso positivo di inversione di tendenza. I prodotti alimentari (e qui come non guardare con fiducia a Expo 2015 che dal primo maggio aprirà i battenti a Milano?) e di abbigliamento e ciò che di beni e servizi e turismo può offrire la nostra terra dovremmo essere in grado di valorizzare: in una prospettiva di moltiplicazione di presenze in Sicilia occorre creare un nesso virtuoso tra imprese eccellenti (nell'alimentazione, nell'enologia come nel manifatturiero, per esempio) e servizi che danno qualità: sono i motori microeconomici e imprenditoriali che ci possono portare fuori dalla stagnazione. “La crisi serve a risvegliare – sottolinea ancora il professore La Commare -. Più giovani decidono di inventarsi un lavoro nel Mezzogiorno: occorre che le imprese investano sulle innovazioni. Senza inclusione dei giovani nell'economia non c'è innovazione. Allora il monito è: investire in conoscenza, e poi avvicinare l'industria della conoscenza alle imprese. In tutto il mondo, anche in America che è nell'immaginario collettivo il mondo dell'innovazione per eccellenza, per superare la crisi si è ripartiti dalla manifattura: tutti i Paesi stanno facendo politiche industriali per fare crescere il sistema manifatturiero, e la Sicilia non può vivere solo di turismo. La scuola deve formare degli innovatori: la nostra salvezza sarà l'inclusione dei giovani nell'economia”.
Di accesso più facile al credito e di rinnovata attenzione della classe politica dirigente dell'Italia alle esigenze dell'economia siciliana ha parlato infine Giuseppe Catanzaro, vicepresidente di Confindustria Sicilia, denunciando l'eccessiva presenza di regolatotori economici che più che armonizzare gli interventi pubblici servono a creare pastoie insuperabili. Favorendo interventi più di facciata che sostanziali: bene la banda larga, ma perché intanto non si interviene anche a sanare le disfunzioni sul territorio, a porre l'attenzione alle necessità delle famiglie, alle esigenze pratiche con un supporto diretto alle imprese? “Il declino del sistema produttivo, con una perdita del 7% del mercato, ha la sua causa anche nella tassazione locale insostenibile: altissimo il numero delle imprese stritolate dal fisco, è per questo che – sottolinea Catanzaro – per guardare al futuro bisogna guardare all'impresa, e da parte di Confindustria, anche, occorre un'attenzione a partire dalle risorse comunitarie (danari di cui non si riesce a disporre per colpe tutte della politica economica) con una rigida attenzione verso chi esporta: perché in Sicilia non si riesce a consorziarsi e ognuno va da solo?”.
Intanto le tabelle esplicative mostrano un quadro in parte ricco di contraddizioni, perché provincia per provincia la Sicilia, complessivamente perde quota ma in alcune la situazione è peggiore che in altre. Per quanto riguarda le imprese attive per esempio la Sicilia quota -6%, e nel dettaglio si va da un -14,3% di Agrigento a uno 0% di Siracusa ( vedi tab. 4).
L'interscambio diretto della Sicilia con l'estero per settore di attività economica come da tabella (7) è negativo fatte salve alcune categorie come la produzione delle miniere (+47,4%) e i prodotti tessili e dell'abbigliamento (+77,5%). Anche il turismo ha un andamento non omogeneo e (come mostra la tabella 9) pur segnando un totale di +3.1% mostra sofferenze a Siracusa (-16,5%), a Palermo (-6,7%), a Trapani (-5,2) e a Caltanissetta (-0,2).
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