Relazione Dia: così opera la mafia imprenditoriale

Società | 9 settembre 2015
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“L’inquinamento dell'economia legale è quanto di più subdolo, nocivo e destabilizzante le mafie riescano a fare, rendendo di difficile individuazione la demarcazione tra condotte lecite e illecite, con comprensibili implicazioni sul sistema Paese. li binomio riciclaggio-investimento costituisce il filo conduttore delle strategie mafiose che, oltre a perpetuare se stesse, rispondono all'esigenza primaria di occultare l'illecita provenienza della liquidità, ma anche all'ambizione di scalare la piramide sociale”. Questo il quadro dipinto dalla Relazione semestrale della Dia sulla criminalità organizzata, rapporto di 296 pagine presentata in Parlamento e redatta dal Ministero dell'Interno. Le modalità attraverso le quali viene ripulito il denaro sporco sono principalmente false fatturazioni, utilizzo di società di comodo, interposizione di prestanome o schermi societari, trasferimento di disponibilità all'estero, triangolazioni bancarie o commerciali, investimenti immobiliari, uso del contante, utilizzo del canale bancario e usura. Operazioni che risultano tra loro strettamente connesse in quanto segmenti di un più articolato disegno criminale. Sebbene l'acquisto di beni immobili si confermi il più tradizionale metodo di riconversione della liquidità, l'accresciuta vocazione e competenza manageriale hanno fornito a Cosa Nostra l'opportunità di riciclare e far fruttare il denaro in qualsiasi comparto dell'economia. Da anni si parla di mafia imprenditoriale perché l'esperienza mostra come il mafioso non si limiti a immettere denaro sporco nell'azienda, accontentandosi di ottenere un controvalore esponenziale, ma abbia acquisito quel grado di "professionalità" che gli consente di rilevare e condurre "abitualmente" attività economiche fissandone le strategie gestionali. Le implicazioni e gli effetti sono notevoli dal momento che l'impresa mafiosa non è facilmente riconoscibile. Sotto questa veste, peraltro, i sodali operano in contesti diversi dalla regione di origine, anche all'estero. La pericolosità deriva dal fatto che la disponibilità e l'investimento d'ingenti capitali illeciti consentono di acquisire fattori produttivi - mezzi di produzione, forza lavoro e materie prime - e, quindi, di orientarne l'impiego, alterando la concorrenza e distorcendo le regole del mercato, al punto di incidere perfino sulla qualità della produzione, sugli standard di sicurezza e sui modelli di consumo. A ragion veduta si è, pure, parlato d'imprese "dopate" in grado di vantare elevati - quanto sospetti - rendimenti in relazione alla domanda e alla ricettività del mercato. L'altro aspetto preoccupante è la constatazione, sempre più ricorrente, di una spontanea adesione al paradigma mafioso da parte di soggetti che non hanno subito pressioni di alcun genere. I più recenti esiti info-processuali dimostrano, infatti, come imprenditori, non pregiudicati, non si facciano scrupolo di mettere le loro attività aziendali "a disposizione" dell'associazione mafiosa, pur non essendo formalmente affiliati alla cosca. 
Infiltrazioni al Nord - "A Roma e nel Lazio perdura un attivismo criminale polivalente. Alla malavita autoctona, riconducibile a gruppi criminali locali, si somma quella organizzata riferibile alle associazioni mafiose radicate nel Mezzogiorno, e trova un suo spazio di manovra anche quella di matrice etnica, sempre più diffusa, anche in conseguenza di consistenti flussi migratori dall'Europa orientale e dal altri continenti", si legge nella Relazione. A Roma e in particolare nel litorale, "risulta attiva la presenza di un'associazione criminale legata alla famiglia Cuntrera-Caruana di Cosa Nostra agrigentina, che d'intesa ad una associazione di tipo mafioso autoctona aveva sottoposto ad estorsione i gestori delle attività commerciali e turistiche del posto attraverso ogni forma di violenza anche fisica". "Soggetti collegati a vario titolo alla 'ndrangheta sono presenti in provincia di Roma ed altre località della Regione", si legge ancora nel rapporto dove si parla di elementi collegati alla malavita in tutte le province del Lazio, da Latina a Viterbo. Le attività delittuose sono lo spaccio di stupefacenti, riciclaggio dei proventi illeciti delle attività criminose svolte nei territori di origine o in altre aree del Paese. La relazione parla poi di "dati significativi" circa l'aumento dei sequestri e delle confische dei beni nella Capitale a individui collegate alle organizzazioni criminali calabresi. E ancora: "Il Lazio continua ad essere ritenuto un luogo idoneo dove trascorrere periodi di latitanza ovvero per sfuggire alle lotte di mafia che si svolgono nel Sud Italia. Ricordiamo, ad esempio, la delocalizzazione nel sud pontino di coloro che avevano dovuto soccombere nella guerra di camorra sviluppatasi nel casertano, che portò alla creazione di nuovi equilibri fra i casalesi". Il rapporto sottolinea anche la presenza nel Lazio della famiglia Casamonica, recentemente al centro delle cronache per i funerali show del boss Vittorio che si sono svolti a Roma a fine agosto. I membri, si legge, sono "originari dell'Abruzzo e giunti da Pescara a Roma negli anni Settanta. Il clan, costituito da un migliaio di membri di dinastie italo-rom imparentate tra loro, è dedito ad attività usurarie, alla ricettazione di autoveicoli e alle truffe, al traffico di stupefacenti: in quest'ultimo settore, in particolare, sono autosufficienti nelle modalità di approvvigionamento delle droghe, nelle condotte di cessione, di acquisizione dei proventi e del loro reinvestimento. 
La Camorra - Arruolamento di nuove leve nell’area a nord di Napoli e collusione con i «colletti bianchi». La strategia della criminalità organizzata in provincia di Caserta si muove seguendo queste due direttive. Il modus operandi dei clan casertani, maggiori e minori, punta sempre alle estorsioni ma non diminuisce l’intromissione nei settori della politica e della economia, fenomeno in crescita che rafforza le infiltrazioni negli appalti pubblici, il riciclo di denaro sporco e l’espansione degli investimenti fuori regione. Il report della Dia parte dalla disarticolazione «militare» dei vertici del clan Schiavone, Bidognetti, Zagaria e Iovine. I boss dei vari gruppi criminali sono tutti detenuti. Antonio Iovine, capo dell’omonimo clan, è diventato da tempo un importante collaboratore di giustizia. Con la sua testimonianza la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli sta svelando intrecci ed affari che il capoclan ha tessuto per oltre venti anni.  
L’interesse per il gioco d’azzardo – Si conferma attività preminente quella del controllo del gioco d’azzardo e delle slot-machines. "il settore del gioco d'azzardo – sottolineano gli investigatori -, tramite una grande disponibilità di denaro liquido e radicamento nel territorio, permette al crimine organizzato di offrire molteplici ‘servizi’". Sono i "sodalizi, attraverso dei prestanome, che ottengono concessioni di sale ‘bingo’ e punti scommesse, impongono ai commercianti l'installazione di videogiochi truccati, si inseriscono nel segmento del gioco d'azzardo online - con particolare riferimento alle scommesse telematiche - riciclano denaro acquistando partite di biglietti vincenti in modo fraudolento, concedono prestiti ai giocatori, con cospicui e rilevanti introiti, arrivando persino a condizionare veri e propri eventi sportivi al fine di massimizzare i propri ricavi connessi al circuito delle scommesse clandestine”.
 di Davide Mancuso

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