Reddito d'inclusione, la metà andrà in Sicilia e Campania

Economia | 30 ottobre 2018
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“All'affamato non dare un pesce, insegnali a pescare”. Al vecchio motto degli economisti dello sviluppo si potrebbe controbattere che, mentre impara l'arte della pesca, chi ha fame deve pur mangiare; e si sintetizzerebbe in una battuta lo scontro tra sostenitori del reddito e cantori della capacità degli investimenti di risolvere il problema della povertà.

 I dati dell'osservatorio statistico dell'INPS sull'applicazione del reddito d'inclusione aiutano a riportare coi piedi per terra una discussione che spesso si è fatta astratta nel confuso discorso pubblico italiano. Ne viene fuori innanzitutto che la povertà assoluta in Italia ha una forte componente territoriale: il 47% dei nuclei beneficiari del REI, che rappresentano oltre il 51% delle persone coinvolte, risiedono in due sole regioni, la Campania e la Sicilia; a seguire Calabria, Lazio Lombardia e Puglia coprono un ulteriore 28% dei nuclei e il 27% delle persone coinvolte. Il 69% dei percettori della misura risiede al Sud, il 19% al Nord , il 12% al Centro. Significativa è anche lo scarto territoriale nella presenza di famiglie non italiane: il 10% dei percettori del REI risulta extracomunitario, ma l'incidenza sale al 30% nelle regioni del Nord, si attesta al 21% al Centro, mentre al Sud scende ad appena il 3%. Dato, questo, che dovrebbe far riflettere su quanto sia distorta- per effetto della vera e propria campagna d'odio in corso- la percezione di una presenza massiccia di extracomunitari in Italia che sottraggono risorse ai nativi. 

Com'è noto, lo strumento, gestito dall'Inps e dai comuni, si compone di due parti: un beneficio economico erogato mensilmente ed un progetto personalizzato di attivazione ed inclusione lavorativa volto al superamento della condizione di povertà. La povertà infatti non è solo un fenomeno economico ma ha aspetti sociali, culturali, relazionali di emarginazione che vanno affrontati, se si vuol sfuggire alla logica dell'intervento “misericordioso caro a gran parte della cultura conservatrice. Dal 1 luglio 2018 con l'abrogazione dei requisiti familiari (presenza di minori e/o di invalidi nel nucleo familiare) la misura è diventata realmente universale, anche se resta il problema del sottofinanziamento. Infatti su una popolazione di “poveri assoluti” pari a circa 5 milioni di persone, la misura ha raggiunto solo 379.000 nuclei familiari coinvolgendo più di un milione di persone. L'importo medio mensile erogato (periodo gennaio-settembre 2018) è stato pari a 305 euro, con una differenza significativa tra Nord e Sud (dai 239 euro della Valle d'Aosta ai 336 euro per la Campania). Merita soffermarsi su questa differenza che rivela l'esistenza nelle aree più ricche del paese di una maggiore quantità e qualità dei trattamenti assistenziali nel welfare locale . Infatti la somma erogata come contributo monetario è finalizzata a consentire ai beneficiari di raggiungere il livello minimo di sussistenza individuato dall'Istat. L'importo medio della misura varia inoltre sensibilmente in rapporto al numero dei componenti il nucleo familiare, passando da 177 euro per i nuclei mono-componenti a 433 per quelli con 6 o più componenti. Determinante è la presenza nel nucleo familiare di minori- (il 55% dei beneficiari)- e/o disabili ( il 18%): In Sicilia nel periodo individuato hanno percepito il REI 87.568 nuclei familiari pari a 271.270 persone, con un importo medio di 324,42 euro. Ad essi vanno aggiunti i percettori della misura sperimentale che aveva preceduto lo strumento universale, la SIA (sistema inclusione attiva), che ha coinvolto in Sicilia 2402 nuclei familiari per un numero di persone pari a 9474 ed un importo medio della prestazione di 246,59 euro. 

Appare utile il confronto con la Lombardia dove sono stati coinvolti 26.446 nuclei e 73.867 persone con una prestazione media di 266,65 euro. Cosa significano questi dati? Nella realtà siciliana, secondo le stime che furono presentate nella relazione del disegno di legge di iniziativa popolare contro la povertà assoluta cui l'Assemblea regionale non ha saputo e voluto dare risposta- poveri assoluti possono essere considerati circa 260.000 nuclei familiari pari ad oltre 900.000 persone. IL REI ha perciò finora coinvolto circa il 30% dei nuclei familiari e circa il 25% delle persone , a dimostrazione dell'urgenza di pervenire ad una dotazione finanziaria ben diversa dall'attuale. Occorre anche considerare che le cosiddette politiche di presa in carico possono trovare ampia possibilità di finanziamento nei programmi europei, in particolare nel programma operativo regionale del fondo sociale che la Commissione ha esplicitamente dedicato alla lotta contro povertà ed emarginazione sociale. Risulta perciò incomprensibile che la Regione Siciliana, in sede di rimodulazione di quel POR, abbia tagliato proprio le misure destinate a costituire la sponda di intervento attivo dei comuni per fronteggiare le più gravi situazioni di disagio sociale. Gli interventi contro la povertà assoluta, per le loro caratteristiche, hanno un tempo non breve di entrata a regime: non si capisce perciò che senso abbia la proposta del governo pentastellato di destinare le risorse del REI al reddito di cittadinanza, che non è ancora chiaro cosa esattamente diverrà. Le dichiarazioni di tempo in tempo rilasciate da vari esponenti della maggioranza forniscono infatti un quadro contraddittorio.

 Le più recenti, dell'economista Salvatore Tridico, consigliere del vicepremier Di Maio- e che in parte contraddicono quelle rilasciate qualche giorno fa ad un quotidiano siciliano dalla presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati- rendono la proposta sempre più simile agli strumenti di sostegno al reddito esistenti in Francia (revenue minimum d'insertion) e in Germania (Sozialhilfe), i quali però si collocano dentro un quadro assai più ricco di interventi di welfare destinati a varie categorie di disagio sociale. Si tratterebbe di una prestazione- a domanda- con un massimo di 500 euro a chi ha ISEE zero, cui si aggiungerebbero 280 euro per l'affitto. Quindi chi vive in casa di proprietà prenderebbe al massimo 500 euro al mese. Naturalmente, man mano che l?ISEE di riferimento sale la prestazione scende per raggiungere il livello Istat di povertà. Almeno così parrebbe da quanto si afferma. Non è il solo dubbio: Per esempio, la cifra si riferisce al nucleo familiare oppure alla singola persona che lo compone? Differenza tutt'altro che insignificante . L'ISEE dovrebbe essere portata dagli attuali 6000 a 9600 euro, ampliando quindi il campo oltre l'area della povertà assoluta; il patto di servizio verrà gestito dai centri per l'impiego, ancora da riformare e ci sarebbe una sorta di obbligo ad eseguire lavori socialmente utili. In sostanza, si tornerebbe alla vecchia esperienza dei cantieri di lavoro, con il rischio di creare aspettative di stabilizzazione. Qualcuno ha memoria dei PIP di Palermo? Assolutamente incomprensibile poi il rapporto tra concessione della prestazione monetaria (probabilmente su carta elettronica) ed obbligo di accettare una delle tre proposte di lavoro offerte dal centro per l'impiego: la prima entro 50Km dalla residenza, la seconda e la terza anche più lontano. 

Anche ammettendo che si riesca a riconnettere nei centri per l'impiego domanda ed offerta di lavoro (assai più facile a dirsi che a farsi), sono assolutamente assenti i temi della formazione e della qualificazione professionale, decisivi per il reingresso nel mercato del lavoro. Inoltre, come si creerà il lavoro in assenza di investimenti pubblici e privati? In realtà si sta abbandonando uno strumento che si è dimostrato efficace nella lotta alla povertà assoluta per perseguire un confuso disegno ideologico che non potrà essere messo a regime prima di un paio d'anni e servirà solo – non per caso si conferma marzo come data di prima applicazione- a facilitare e supportare la campagna elettorale della maggioranza pentastellata. Alla faccia dei poveri e, soprattutto di chi è stato illuso da promesse elettorali demagogiche.

 di Franco Garufi

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