Qui non è Hollywood, la Los Angeles in fiamme del '92
Nella stagione incendiaria della letteratura statunitense ("Città in fiamme" di Garth Risk Hallberg ha avuto gran battage pubblicitario…) c’è un romanzo che racconta di come gli Usa siano divisi – Obama non lo vede o non lo ammette – o di come lo fossero, e di come rischiano di continuare a esserlo, perché niente sembra essere cambiato da quasi un quarto di secolo, dal 1992, dai giorni di guerriglia e violenza urbana a Los Angeles, innescati dall’assoluzione di quattro poliziotti che avevano pestato a sangue Rodney King, un tassista nero; oltre alle manifestazioni di protesta delle minoranze ci fu spazio per la totale anarchia, tumulti che sfociarono in migliaia di incendi appiccati (a stazioni di servizio, cassonetti, abitazioni, minimarket), saccheggi, atti di vandalismo e, soprattutto, nel regolamento di conti di gang criminali che approfittarono del caos diffuso: dal 29 aprile al 4 maggio 1992 il prezzo in vite umane fu altissimo, con una sessantina di morti e oltre duemila feriti, specie nei sobborghi teatro delle faide e delle vendette trasversali di latinos. Attualissimo e incandescente è dunque “Giorni di fuoco” di Ryan Gattis (410 pagine, 22 euro), tradotto da Katia Bagnoli, pubblicato da Guanda, che non sbaglia quando decide di pubblicare libri di scrittori americani, da classici come Updike e Salter a ex scommesse (Lahiri) e classici moderni, come Foer, di cui fra qualche settimana sarà pubblicato l’atteso “Eccomi”.
Gattis ha scritto un romanzo sociale,
di grandissima umanità, con repentini cambi di registro e pagine
alla dinamite, una storia ponderosa che brucia di verità, di
violenza (ma mai compiaciuta) e ha alle spalle una mole enorme di
documentazione, a cominciare dai riti, dal lessico e
dall’organizzazione delle gang, e dai colloqui con protagonisti e
vittime di quei giorni insensati. La rabbia primitiva, effimera e
viscerale scatenata da un episodio truce – ridotto quasi a pretesto
– è ritratta da una polifonia di destini e punti di vista diversi
(per certi versi può ricordare “Questo bacio vada al mondo intero”
di Colum McCann, pubblicato da Bur): parlano il graffitaro e il
poliziotto, l’innocente ucciso e la suora, lo spacciatore e il
vigile del fuoco, un funzionario del tribunale e un commerciante
coreano, e lo fanno in presa diretta. Non c’è nulla di più
lontano dalla L. A. di Hollywood e Beverly Hills, da quella che si
vede in tv fra spiagge e palme, i vip stanno asserragliati nelle
ville mentre nelle strade ci sono devastazione e caos. La sensazione
che emerge fortissima? Che la miccia sia sempre accesa, che il
passato possa tornare, periodicamente, e proiettarsi nel futuro.
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