Quelle ingiuste morti che Parigi può riscattare

Società | 15 novembre 2015
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Potevo essere lì, in quei tavoli di un bar e di un ristorante, mentre in nome di un dio della morte qualcuno sparava. Potevo esserci anche io. C’ero pochi giorni fa a Parigi. Ci sono andato con mia moglie come faccio spesso da vent’anni a questa parte. 
Parigi è casa mia, Parigi la ritrovo ogni volta che ci ritorno. A Parigi mi sono sempre sentito protetto. Parigi è sempre pronta ad accoglierti. Parigi non ti tradisce, Parigi è fedele. E' come una donna talmente innamorata da non concedersi gelosie, ti ha e basta. Ti tiene stretta a se per il tempo che tu decidi di restare. Lei si accontenta e non fa drammi se tu te ne vai. E' sicura, è certa, che prima o poi tornerai perché l'ami. L'ami alla follia. Un amore difficile da spiegare e da capire. Un amore particolare. Puoi amare mille altre cose, mille altri luoghi, mille altre persone, ma il tuo e il suo cuore sono così grandi da poterli accogliere tutti. Un cuore non ha limiti, non è una torta che si taglia a fette. Il cuore è così immenso da potere accogliere infiniti amori.
Parigi è anche questo.
Parigi è la città delle meraviglie, dove possono coesistere pensieri e voglie diversi. Dove puoi trovare uno accanto all'altro il bicchiere di plastica e quello di cristallo, dove puoi mangiare sdraiato a terra o seduto davanti ad una tavola elegantemente imbandita. Dove puoi sentire tutti i profumi e all'improvviso miscelarli assieme e sentirne uno solo: il profumo della libertà.
Ritrovarsi e scrivere davanti a Shakespeare and Company, mentre una torre di Notre Dame ti domina, dove la cultura e gli odori traspirano da ogni dove, non capita tutti i giorni. In quest'angolo di Parigi, per me uno dei più completi, dove ho raccolto spesso i miei pensieri per scriverli in un taccuino, o carnet come lo chiamano da queste parti, per evitare che sfuggano o si disperdano tanto lontano da non poterli più riprendere e raccogliere.
Oppure assaporare un bicchiere di vino bianco sauvignon, all'angolo tra rue de l'ancienne comédie, rue Dauphine, rue st. André des arts a Saint Germaine des Pres, cosa chiedere di più mentre il mondo ti passa davanti?
Mi sono anche trovato seduto dentro Notre Dame. Che chiesa magnifica, potente. Mi ha sempre affascinato, io che non sono credente. Sarebbe bellissimo poterlo fare ma non ci riesco. Ho tanti dubbi e nessuno nello stesso tempo. In questa chiesa segnata dalla storia e che ha fatto la storia. Salvata da Victor Hugo e dove Napoleone si è incoronato, sono stato seduto sotto la lapide la quale ricorda che venerdì 22 agosto 1997 Papa Giovanni Paolo II è stato qui. Anch'io quel giorno ero a Parigi. Il Papa l'ho incrociato, da lontano, alla Tour Eiffel. Lo stesso Papa lo avrei rivisto tre anni dopo, molto più da vicino, a San Pietro a Roma, per l'Anno santo.
Mi sono anche ritrovato con penna e taccuino in mano. Seduto ad un tavolino di un cafè di quai Montebello. Davanti a me una tazzina di caffè e una croissant sentendo i rumori di una Parigi che si stava svegliando, mentre un timido sole tentava di farsi spazio.
Fin da quando ero un bambino ho sentito in casa mia parlare Parigi ma la vedevo "lontana". Mi sembrava irraggiungibile. Solo con la fantasia cercavo di capire come potesse essere quel luogo continuamente evocato. Poi da «grande» ho trovato la stessa sintonia con mia moglie. Anche lei innamorata di Parigi, lei l’aveva vissuta in tenera età. E finalmente, dopo anni di rinvii e di sogni l’abbiamo raggiunta.
Parigi per me era la città del sogno, della bellezza, della grandezza. In una sola parola il mondo, in una parola. Ci andai la prima volta nel ’97: cinque giorni in tutto, di corsa come uno che non ci sarebbe mai più tornato e che quindi doveva vedere più che poteva, soprattutto per verificare se davvero esistevano tutte quelle meraviglie che aveva visto sui libri e alla televisione. Poi ci ritornai ancora, sempre più spesso, anche più volte in un anno. Parigi è il mio luogo dell'anima. Appena ci metto piede mi viene da sorridere, divento allegro, mi sembra persino di respirare meglio.
Tempo fa lessi cosa scrisse di Parigi Fabio Fazio e mi ci ritrovo appieno. Fazio diceva: «Ho sempre meno voglia di viaggiare perché mi sembra di avere già trovato il non plus ultra e del resto ogni volta che voglio fare un complimento a una città che vedo per la prima volta dico che "mi sembra di essere a Parigi". Tanto vale scegliere Parigi e non perdere altro tempo. Perdere tempo a Parigi invece è tutta un'altra cosa: è doveroso innanzitutto ed è soprattutto un piacere e un'esperienza. Lì ti accorgi del tempo che passa e in nessun'altra città del mondo è altrettanto struggente guardare dai vetri di un caffè la vita che scorre nei passi veloci dei passanti. Me ne starei per ore seduto a guardare quelli che passano».
Ecco, anche per me non sembra ci sia qualcosa di meglio.
E ora? Sarà ancora così? Dopo che gli uomini del dio della morte hanno seminato odio e paura? Dopo che le strade, i bar, i ristoranti, le sale da concerto sono state lastricate di sangue? Sarà la stessa Parigi? Sicuramente no, non può essere la stessa dopo che centinaia di suoi figli sono morti. Ma sta a noi che l’amiamo, a noi che amiamo la libertà, a noi che non tolleriamo gli integralismi e gli odi a far sì che Parigi possa ritornare ad essere simbolo di libertà, a far sì che si possa tornare a bere un caffè, nei pomeriggi di primavera o all'inizio di settembre, seduti fuori al tavolino, o dentro ad un locale quando la stagione invernale non lo permette e respirare ciò che oltre due secoli fa venne scritto nella storia: Liberté, Égalité, Fraternité. Si ci tornerò a Parigi, appena potrò, per non farli vincere.
 di Giuseppe Martorana

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