"Quei nove giorni con Borges nella Sicilia dei suoi dubbi"

Cultura | 15 giugno 2016
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Trent' anni fa Jorge Luis Borges moriva a Ginevra dove visse gli ultimi anni della sua vita. Due anni prima andò a Palermo per ritirare un premio che era stato istituito di fatto per omaggiare il suo genio e, in qualche modo, le sue origini perché era cresciuto nel barrio Palermo di Buenos Aires. Si trattava di un riconoscimento dalle modalità inedite: il vincitore avrebbe dovuto designare il proprio successore. Prima di sceglierlo, il grande poeta argentino ormai cieco da decenni, trascorse nove giorni a "guardare" la Sicilia grazie alla moglie Maria Kodama. Ma in quell' occasione, a tradurgli in immagini la luce dell' isola, c' era anche uno dei più importanti fotografi del mondo, Ferdinando Scianna, siciliano di Bagheria.
Allora quarantenne, ma già entrato (primo italiano, ndr) nell' Olimpo della fotografia, cioè l' Agenzia Magnum fondata dal francese Henri Cartier-Bresson, Scianna si trovava non solo a tentare di restituire su pellicola il mito al di là della disabilità che ne orientava l' interazione fisica con il mondo e, di conseguenza far emergere il suo vero sguardo, bensì a rendere visibile la propria "ossessione" per l' opera di Borges che lo aveva spinto a leggere tutto quello che era stato pubblicato del e sull' Omero argentino.

Cosa la colpì innanzitutto di Borges?
Che il suo scetticismo sentimentale, la sua grazia scettica erano forme di pudore, non di freddezza e distacco dal mondo. Era un uomo umile, disponibile, generoso e ironico, umanamente all' altezza della sua grandezza letteraria. Aveva una forte e genuina curiosità per tutto ciò che lo circondava e un grande rispetto per chiunque lo avvicinasse. Un giorno un giornalista lo chiamò mentre stava per partire. Nonostante avesse poco tempo, decise comunque di rispondere a quelle domande impegnative come "cos' è la saggezza? "Cosa ci riserva il futuro?" "La saggezza - rispose - è quella che hanno gli altri, non io.
Quanto al futuro, non so bene se esista. Non sono nemmeno molto sicuro che esista il presente". Subito dopo si rivolse a Maria e con un sorriso dolce e ironico disse: "Sono diventato un oracolo automatico".

Lei allora era già molto amico di Leonardo Sciascia, che incontrò Borges qualche anno prima del suo arrivo a Palermo. Cosa disse Sciascia a proposito di quell' incontro?
Sciascia lo definì un teologo laico. Nel senso che era figlio della cultura illuminista e allo stesso tempo era interessato ai testi religiosi che riteneva facessero parte della letteratura fantastica.
C' è un suo racconto in cui mette a confronto due teologi con teorie diverse ma che, una volta defunti, scoprirono di essere due versioni prodotte dal Dio che li aveva creati. Sciascia scherzava sulla mia ossessione per Borges, ma in realtà conosceva molto bene la sua opera e la amava perché stimola a dubitare su tutto.

Borges definì il dubbio sinonimo di intelligenza. Lei nel 1989 pubblicò un libro (edito da Sciardelli, ndr ) con le foto che fece a Borges in quella settimana assieme a un testo in cui scrisse che il poeta considerava la Sicilia "terra di dubbi". Cosa intendeva esattamente?
Per lui la Sicilia era la Magna Grecia, il luogo dove gli uomini iniziarono a costruire la speculazione filosofica, quel castello di dubbi dove è nato un mondo parallelo fatto di parole ma non per questo meno vero del mondo costituito dalla materia.
"Quest' isola - mi disse - è per me di straordinaria importanza. È qui, tra queste pietre, davanti a questo stesso mare che non è più lo stesso mare, che l' uomo ha smesso di sentire soltanto e ha cominciato a costruire il proprio sistema di dubbi Qual è il ricordo più indelebile che lei conserva di quei giorni trascorsi assieme?
Sono due, apparentemente molto diversi tra loro. Uno è quando gli chiesi, mentre eravamo seduti a tavola, perché ordinasse sempre prosciutto. Lui rispose che "gli sembrava una parola molto nutriente". Anche a tavola continuava a giocare con l' immaginazione e le parole.
L' altro è quando andammo a visitare la magnifica acropoli di Selinunte. Era affascinato di apprendere che quei templi di cui si ignora a quali Dei fossero dedicati, siano designati con lettere dell' alfabeto. Niente gli sembrava più giusto che le lettere dell' alfabeto diventino divinità: "Tempio C, come Conrad, per esempio, non sarebbe giusto dedicare un tempio a Conrad?", disse.
Allora, gli proponemmo di dedicare il tempio B a Borges. "No, no, molto meglio Buster Keaton".
Lei lo portò anche a Bagheria, la sua città natale, e lo fotografò nella sala degli specchi di villa Palagonia.

Come reagì?
Era rapito da questo misterioso gioco del riflesso, che fu così importante nella sua opera. Ma non parlò dei suoi versi e dei suoi racconti in merito, ma di quelli di un ignoto poeta espressionista che aveva scritto un sonetto immaginando una stanza le cui pareti e il pavimento e il soffitto erano completamente fatti di specchi nei quali la sua immagine si rifletteva all' infinito.

Come commentò il fatto che gli studenti universitari lo accolsero in modo molto caloroso, quando fino a qualche anno prima era stato accusato anche dall' accademia di aver ignorato la brutalità della dittatura argentina?
"È il frutto - mi disse serio - di un troppo generoso, per me, concorso di circostanze. Il fatto è che sono argentino, sono vecchio e sono cieco. L' argentino è sempre stato visto con un pregiudizio favorevole, come un personaggio pittoresco; poi sono vecchio, lo sono ancora di più adesso che ho avuto il torto di essermi sopravvissuto di almeno vent' anni, e un vecchio poeta, cieco per giunta, viene facilmente scambiato per Milton, se non addirittura per Omero.
La mia povera opera non c' entra. Se fossi sordo, per esempio, sarebbe diverso. La sordità non diffonde alcuna aura poetica".

Alla fine a chi decise di consegnare la staffetta letteraria ?
A Henri Cartier-Bresson. Il poeta cieco scelse l' occhio del secolo.(Il Fatto quotidiano)
 di Roberta Zunino

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