Quasi sette milioni di donne hanno subito violenza in Italia

Società | 7 giugno 2015
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In Italia 6 milioni 788 mila donne nell’arco della propria vita hanno subito forme di violenza fisica o sessuale. Istat e Dipartimento per le Pari Opportunità presentano i risultati dell’ultima indagine sul fenomeno della violenza contro le donne dai 16 ai 70 anni - condotta tra maggio e dicembre 2014 - che considera anche quella componente sommersa e non rilevabile attraverso le denunce o altre fonti secondarie. Secondo il rapporto il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni è stata sottoposta a violenze. Un fenomeno molto diffuso, un tema per anni difficile da affrontare e nascosto, occultato dalla presunta “normalità” della sopraffazione. Questione privata, fuori dall’arena pubblica, fuori dall’agenda pubblica. Poi questione sociale discussa all’interno di gruppi ristretti, molto tardi questione politica, solo di recente questione teorica, ancora dopo questione pubblica. Sangue che scorre, vite spezzate prima ridotte a cronaca nera, solo di recente passate da caso individuale a fenomeno collettivo. La vita resta per lungo tempo fuori dai saperi che rincorrendo una presunta oggettività considerano “il privato” e al suo interno il rapporto uomo-donna irrilevante per il dibattito pubblico. Il dominio dell’uomo sulla donna che si riflette in rapporti di potere a tratti anche molto violenti, resta difficile da snidare perché confuso con la vita intima (Lea Melandri, seminario del marzo 2014, Università di Bologna). L’indagine Istat evidenzia che il 20,2% ha subìto violenza fisica (4 milioni 353 mila), il 21% violenza sessuale (4 milioni 520 mila), il 5,4% forme più gravi di violenza sessuale (1 milione 157 mila). Sono 652 mila le donne che hanno subìto stupri e 746 mila le vittime di tentati stupri. Le percentuali di donne italiane e straniere che hanno subito violenze nel complesso si equivalgono, ma tra le straniere è più frequente la violenza fisica (25,7% contro 19,6%), mentre tra le italiane la violenza sessuale è rilevata con una maggiore frequenza (21,5% contro 16,2%). Le straniere sono molto più soggette a stupri e tentati stupri (7,7% contro 5,1%). Tra i gruppi che accusano maggiori violenze vi sono le donne moldave (37,3%), rumene (33,9%) e ucraine (33,2%).Ad esercitare violenza sono prevalentemente i partner (attuali o ex), autori degli episodi più gravi (62,7% degli stupri). Gli sconosciuti sono nella maggior parte dei casi responsabili di molestie sessuali (76,8%). Il venire alla ribalta del tema – secondo Lea Melandri storica attivista del movimento delle donne italiano -rischia di soffermarsi  sulle forme manifeste di violenza (stupri, omicidi, maltrattamenti) senza estendersi alla “violenza invisibile” o meglio all’evidenza invisibile quella violenza che passa come normalità nei comportamenti quotidiani. Anche i maltrattamenti, in passato, erano considerati tutto sommato naturali nelle famiglie, che la donna fosse sottomessa era naturale. Allora occorre non fermarsi alle forme eclatanti e selvagge, ma indagare anche sulle forme di violenza quotidiane che consentono la sedimentazione e l’accettazione della sopraffazione. Spesso la violenza avviene in famiglia e considerando il totale delle violenze subìte da donne con figli, aumenta la percentuale dei minori che hanno assistito ad episodi di violenza sulla propria madre (dal 60,3% del dato del 2006 al 65,2% rilevato dall’Istat nel 2014). Le violenze proseguono anche nel corso della gravidanza: nell’11,8% dei casi le donne hanno subìto violenze dal partner durante questa delicata fase della propria vita (10,2% nel 2006). Per la maggior parte di queste donne l’intensità della violenza nel periodo della gestazione è rimasta costante rispetto al passato (57,7%), per il 23,7% è diminuita, per l’11,3% è aumentata e per il 5,9% è iniziata proprio in quel periodo.Anche le giovanissime subiscono violenza in Italia, il 10,6% delle donne ha subìto violenze sessuali prima dei 16 anni. La correlazione tra violenza domestica e causa di separazione è elevata e fa sì che la percentuale delle donne separate o divorziate che hanno subìto violenze fisiche o sessuali sia maggiore rispetto alle altre (51,4% contro 31,5%). Ancora più critica è la situazione delle donne più deboli, perché malate o diversamente abili: infatti, chi ha problemi di salute o disabilità ha subìto violenze fisiche o sessuali nel 36% dei casi e chi ha limitazioni gravi nel 36,6%. Per queste donne il rischio di subire stupri o tentati stupri è il doppio delle altre (10% contro il 4,7%).Nonostante si segnali una leggera flessione delle violenze fisiche o sessuali negli ultimi 5 anni (dal 13,3% del 2006 all’11,3%), grazie ad una maggiore informazione, consapevolezza e capacità di prevenzione delle donne, non diminuiscono le forme più gravi. Infatti gli stupri e i tentati stupri restano l’1,2% (sia per il 2006 sia per il 2014) ed aumenta anche il livello di gravità delle violenze subite. C’è un incremento delle ferite causate dal partner (dal 26,3% al 40,2%) e del numero di donne che hanno rischiato la vita (dal 18,8% del 2006 al 34,5% del 2014). Le violenze fisiche o sessuali da ex partner (subite da 2 milioni 44 mila donne) risultano più gravi rispetto a quelle causate dal partner (subite da 855mila donne): le violenze percepite come molto gravi quasi raddoppiano (50,9% contro 28,3%) e le ferite raggiungono il 40,8%. Il 41,9% delle donne danneggiate dagli ex ammette di avere paura per la propria vita. In Italia, sino al 1975 non si parla apertamente del fenomeno, sino quando l’opinione pubblica in quell’anno viene scossa dal massacro del Circeo, a seguito del quale si diffonde il consenso sociale sulla necessità di intervenire sulla legge sullo stupro, cosa che si otterrà soltanto dopo circa 20 anni. Si è riflettuto sulla percezione della donna come oggetto, come merce, come proprietà dell’uomo, ma sono rimaste tante zone d’ombra, una di queste è il rapporto ambiguo e insidioso tra amore, violenza e idealizzazione dell’amore. È una questione complessa che deve essere affrontata in maniera interdisciplinare e trasversale, non bastano soltanto gli interventi legislativi, né la protezione delle vittime. Per prevenire occorrono analisi complesse del rapporto uomo-donna che la storia ha polarizzato. La questione va affrontata da uomini e donne insieme, poiché le nostre libertà “si sostengono reciprocamente come le pietre di un arco” (Simone de Beauvoir, Il secondo sesso. Donna non si nasce, lo si diventa, 1949).Proprio queste forme, apparentemente meno gravi di violenza, dai dati Istat sembrano avere subito una flessione dal 2006. La violenza psicologica (nelle forme del verbal abuse o dell’emotional abuse) si manifesta principalmente all’interno delle relazioni di coppia. A questa spesso si somma la “violenza economica”, il financial abuse consiste in forme di occultamento del reddito familiare da parte del male breadwinner, nel divieto per le donne di avere una carta di credito o un bancomat, di usare il proprio denaro e nel costante controllo sulle proprie spese. Nel 2014 sono circa 4 milioni 400 mila le donne che dichiarano di subire o di avere subìto violenza psicologica dal partner attuale (il 26,4% delle donne in coppia). Nel 22,4% dei casi in forma esclusiva, senza cioè violenza fisica o sessuale. Il calo rispetto al 2006, quando era al 42,3%, è soprattutto legato alle forme meno gravi, non accompagnate a violenza fisica e sessuale (dal 35,9% al 22,4%). Si tratta di violenza che si manifesta nell’asimmetria di potere nel quotidiano, nelle forme di limitazione, controllo e denigrazione delle compagne, nelle minacce e intimidazioni. Tra le modalità con cui si esercita l’isolamento vi sono le limitazioni nel rapporto con la famiglia di origine o gli amici, l’impedimento o il tentativo di ostacolare il lavoro o lo studio. Il controllo va da forme più blande come l’imposizione da parte del partner di abiti e acconciature, a forme di spionaggio, di divieto di uscire da sole, fino alla segregazione. La “svalorizzazione” comprende umiliazioni, offese e denigrazioni anche in pubblico, critiche per l’aspetto esteriore e per il modo di occuparsi della casa e dei figli, reazioni di rabbia se la donna parla con altri uomini, etc. Una diminuzione trasversale alle età caratterizza tutte queste forme di violenza. Restano però stabili le modalità più gravi della violenza psicologica, come le intimidazioni (1,2%). Quelle più frequenti riguardano veri e propri ricatti (portare via i figli, minaccia di suicidio, minacce di danneggiare figli, persone care, oggetti e animali).Rispetto al rapporto del 2006, si è introdotto un capitolo più specifico sullo stalking che con la legge n. 38 del 23 aprile 2009 si configura come un nuovo reato, colpendo quegli atti persecutori che si ripetono nel tempo provocando nella vittima ansia e timore al punto da modificarne le abitudini. Le donne vittime di più di tre episodi di stalking da parte di qualsiasi autore sono 3 milioni 466 mila (il 16,1%). In 1.524.800 casi l’autore è l’ex partner. Non si rilevano differenze significative sulla base dell’età,, ma incidono condizioni di salute, livello di istruzione, area geografica di residenza e nazionalità. Il rischio di essere vittima di stalking è più alto tra le donne in corso di separazione o separate, tra chi ha gravi problemi fisici e malattie, tra le straniere, tra chi ha un più basso titolo di studio e vive al Sud (mentre il dato più basso emerge per Isole e Centro Italia).Troppe sono ancora le donne che nascondono e non parlano con nessuno delle violenze subite. Anche in casi gravi, il 23,5% delle donne non parla della violenza da parte di partner precedenti, quota che aumenta al 39,9% nelle violenze dal partner attuale. In prevalenza se ne discute con amici (35%), familiari (33,7%) o altri parenti (11,2%). In aumento risultano anche le persone che si rivolgono a soggetti istituzionali come carabinieri, polizia, avvocati o magistrati (6,7%). In piccole percentuali si rivolgono a colleghi o superiori (1,5%), medici o infermieri (1,4%), operatori del pronto soccorso (1,2%) e assistenti sociali (1,1%). Piuttosto bassa è la percentuale delle donne che dopo aver subito violenza si rivolgono a un centro o a servizi specializzati (3,7%), molte sono le donne che ancora non conoscono tali centri e sportelli di supporto (12,8%). Il 12,3% ha denunciato la violenza alle forze dell’ordine. Rispetto al 2006 è aumentata la soddisfazione sul lavoro svolto dalle forze dell’ordine, le donne che si sono rivolte ad esse per le violenze da partner o ex  e che si dichiarano molto soddisfatte passano dal 9,9% al 28,5%.Gli effetti delle violenze subite non si esauriscono a breve e mettono a rischio il benessere e la qualità della vita delle donne anche nel medio e nel lungo periodo. A seguito delle ripetute violenze dai partner (attuali o precedenti), più della metà delle vittime soffre di perdita di fiducia ed autostima (52,75%). Tra le conseguenze sono molto frequenti anche ansia, fobia e attacchi di panico (46,8%), disperazione e sensazione di impotenza (46,4%), disturbi del sonno e dell’alimentazione (46,3%), depressione (40,3%), nonché difficoltà a concentrarsi e perdita della memoria (24,9%), dolori ricorrenti nel corpo (21,8%), difficoltà nel gestire i figli (14,8%) e infine autolesionismo o idee di suicidio (12,1%).A questi dati si aggiungono quelli gravissimi sui femminicidi che in Italia nel 2013 hanno visto 179 donne uccise, con un incremento del 14% rispetto al 2012 (Secondo Rapporto Eures sul femminicidio in Italia, anni 2000-2013). Il rapporto Eures evidenzia come nel 2013 si sia registrata la più elevata percentuale di donne tra le vittime di omicidio mai vista in Italia (il 35,7% delle vittime totali, 179 su 502; nel 1990, le donne uccise erano appena l’11,1% del totale). Sempre nel 2013, quasi il 70% dei femminicidi è avvenuto in famiglia, il 92,4% per mano di un uomo. Nonostante ciò gli stereotipi alimentati dai media diffondono una visione differente nell’opinione pubblica. Una ricerca realizzata da Elisa Giomi (Neppure con un fiore?La violenza sulle donne nei media italiani, il Mulino 6/2010) mostra come sia presente una forte divaricazione tra il “mostro televisivo” e l’uomo reale che uccide le donne. I risultati dell’indagine che aveva come obiettivo l’individuare i fattori che producono tale distorsione sono interessanti. Dall’analisi dei telegiornali nazionali, infatti, si delinea l’assassino-tipo come “un immigrato” e la vittima come “una donna italiana, giovane e carina, il pericolo sta nella città multietnica”. Allo stereotipo della vittima perfetta (= donna ideale) fa da contro-altare lo stereotipo dell’assassino come portatore di alterità assoluta. Per il 2006, ad esempio, nei sei tg nazionali di prima serata (i tre Rai e i tre Mediaset), i delitti raccontati sono stati 188. Tralasciando i casi irrisolti (26), la tipologia di delitto più diffusa è quella che avviene all’interno di relazioni intime (con marito, fidanzato, partner o ex): 100 casi su 162 analizzati, pari al 61,72%. Mentre la tipologia meno comune è quella in cui vittima e autore non si conoscevano (appena 7 casi su 162, il 4,32%), e solo in due casi l’autore è uno straniero e la vittima un’italiana sconosciuta. Ma osservando come e quanto ne parlano i telegiornali, emerge che solo il 40% dei femmicidi commessi dai partner viene riportato integralmente, mentre per gli episodi in cui l’assassino è un estraneo la copertura sale al 70%. Le 40 vittime di partner o ex – facenti parte del campione individuato -  ricevono 4 servizi ciascuna, contro gli 83 servizi distribuiti tra soli 5 casi notiziati. Altrettanto accade rispetto all’età della vittima, la maggiore notiziabilità delle vittime giovani le sovraespone rispetto all’effettivo numero (il gruppo più numeroso era composto da ultrasessantenni, ma solo il 28% di queste è stato oggetto di copertura da parte di tutti i notiziari analizzati; gli omicidi di bambine e giovani sino a 20 anni hanno una copertura del 93% e a loro è dedicato un maggior numero di servizi). Il divario più macroscopico è quello che attiene alla nazionalità dell’assassino con una visibilità sproporzionata di omicidi ad opera di extracomunitari. La violenza di genere, dunque, spesso viene utilizzata in modo strumentale, affrontata essenzialmente come questione di ordine pubblico per rafforzare la retorica securitaria che ha infiltrato il discorso pubblico e l’agenda politica. L’interazione fra agenda politica e agenda dei media ha potentemente contribuito alla creazione di un panico morale attorno al corpo delle donne (Giomi, 2010), senza offrire elementi conoscitivi utili a prevenire e ridimensionare il fenomeno.Non si tratta soltanto di una questione nazionale, ma di un problema che va affrontato anche a livello sovranazionale. L’Agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali un anno fa denunciava la situazione proprio nei Paesi a più alto tasso occupazionale: sessantadue milioni di donne in Europa (il 33% della popolazione femminile) hanno subìto violenza ed oltre due terzi di loro non ha denunciato l’aggressione più grave da parte del partner. Nel 22% dei casi si è trattato di violenza domestica, nel 73% di questi in presenza di bambini. Proprio per comprenderne le reali modalità e i fattori che nelle società nelle quali viviamo facilitano l’esercizio della violenza, Consuelo Corradi (2009) propone di studiare la violenza contro le donne nel contesto della modernità per contrastarla efficacemente, mettendo in relazione elementi macrosociali rilevanti e aspetti microsociali. Tra le ricerche più recenti sul tema, ne possiamo ricordare una dell’Istituto Cattaneo che ha raccolto le testimonianze di molte donne che raccontano le loro storie e aiutano a comprendere il fenomeno da una prospettiva interna. Oriana ha quarant’anni e due figli: «Sono andata in ospedale, ho detto che era stato mio marito a picchiarmi. Ma non l’ho denunciato. Perché volevo tornare a casa. Ero convinta di essere io a sbagliare. Lui me lo diceva sempre: “Se a me prendono i nervi è colpa tua!”», al pronto soccorso mostrava i segni delle botte, ma non ha avuto la forza di accusare l’uomo che l’aveva malmenata (Creazzo, Progetto Wosafejus, Istituto Cattaneo, 2013). Schiaffi, spintoni, porte chiuse a chiave, lividi e urla restano soffocati tra le mura domestiche, nascosti, occultati da una presunta normalità. E non si tratta di eccezioni: succede in quasi una famiglia su tre, come Oriana si comporta il 93 per cento delle donne che in Italia subiscono violenze e non denunciano. La ricerca dell’istituto bolognese che ha riguardato oltre 500 fascicoli giudiziari, evidenzia come solo il 10 per cento delle denunce arrivi da medici o forze dell’ordine e in nessun caso da familiari. Da quando nel 1993 avviene per la prima volta il riconoscimento internazionale della violenza di genere come una violazione dei diritti umani fondamentali nella Dichiarazione delle Nazioni unite per l’eliminazione della violenza contro le donne, molto è cambiato in termini di consapevolezza, interventi legislativi e mobilitazioni pubbliche, ma molto resta ancora da fare per rompere la cultura della violenza, incrementando il livello di attenzione collettiva e tutela.
 di Marilena Macaluso

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