Quasi centomila mamme hanno perso il lavoro

1 giugno 2021
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In Italia le mamme con figli minorenni sono poco più di 6 milioni e nell’anno della pandemia molte di loro sono state penalizzate nel mercato del lavoro a causa del carico di lavoro domestico e di cura che hanno dovuto sostenere durante i periodi di chiusura dei servizi per l’infanzia e delle scuole. Su 249mila donne che nel corso del 2020 hanno perso il lavoro, ben 96mila sono mamme con figli minori.

Tra di loro, 4 su 5 hanno figli con meno di cinque anni: sono quelle mamme che a causa della necessità di seguire i bambini più piccoli, hanno dovuto rinunciare al lavoro o ne sono state espulse. D’altronde la quasi totalità – 90mila su 96mila – erano già occupate part-time prima della pandemia. È quanto emerge dal 6° Rapporto “Le Equilibriste: la maternità in Italia 2021”, diffuso da Save the Children sulle mamme in Italia che, oltre a sottolineare le difficoltà affrontate dalle mamme in un anno tanto difficile, come il 2020, fa emergere ancora una volta il gap tra Nord e Sud del Paese.

Un quadro che già prima della pandemia raccontava un‘Italia in cui la scelta della genitorialità, soprattutto per le donne, viene ritardata o non praticata spesso a causa dell’impossibilità di conciliare la vita familiare con quella lavorativa. Secondo quanto riportato nei dati, nel 2019 le dimissioni o risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro di lavoratori padri e lavoratrici madri hanno riguardato 51.558 persone, ma oltre 7 provvedimenti su 10 (37.611, il 72,9%) riguardavano lavoratrici madri e nella maggior parte dei casi la motivazione alla base di questa scelta era la proprio la difficoltà di conciliare l’occupazione lavorativa con le esigenze dei figli: assenza di parenti di supporto, elevata incidenza dei costi di assistenza al neonato (asilo nido o baby sitter), mancato accoglimento al nido, le giustificazioni più ricorrenti. “Le mamme in Italia - ha commentato Antonella Inverno, Responsabile Politiche per l’infanzia di Save the Children- hanno pagato e continuano a pagare un tributo altissimo a queste emergenze.

I bambini a casa, il crollo improvviso del welfare familiare, dovuto alla necessità di proteggere i nonni dal contagio, il carico di cura e domestico eccessivo e la sua scarsa condivisione con il partner, misure di supporto non molto efficaci, sono tutti fattori che hanno portato allo stravolgimento della loro vita lavorativa”. Una situazione che si è solo aggravata con il Covid, ma che già prima della pandemia vedeva molte donne lasciate fuori dal mercato del lavoro a causa dell’impossibilità di coniugare vita lavorativa e familiare e realizzazione personale. Le misure per creare un ambiente più favorevole alle mamme possono essere molte e coinvolgere diversi settori dell’intervento pubblico, su vari livelli di governo – spiega l’Organizzazione nel suo rapporto – ma devono seguire una politica organica per essere realmente efficaci. Ad oggi invece se il divario di genere nei tassi di occupazione è già alto nella popolazione generale, tra i genitori di figli minorenni registra livelli troppo elevati: nel 2020, è aumentato di mezzo punto, arrivando a 30,7 p.p. di differenza, con i papà occupati all’87,8% e le mamme occupate al 57,1%.

Inoltre, non solo le madri tendono ad essere molto meno presenti nel mondo del lavoro rispetto ai padri, ma la loro presenza, al contrario di quella dei padri, tende a diminuire al crescere del numero di figli. Le donne che scelgono di diventare madri detengono altresì il primato di essere le più anziane d’Europa alla nascita del primo figlio (32,2 anni contro una media di mamme in EU di 29,4) e soprattutto fanno sempre meno figli: le nascite hanno registrato un’ulteriore flessione, meno 16mila nel 2020 (-3,8% rispetto all’anno precedente). Un’eccezione è quella della Provincia autonoma di Bolzano, in testa per tasso di natalità (9,6 nati per mille abitanti), mentre la Sardegna registra il tasso più basso (5,1 nati per mille abitanti). Secondo l’Istat, soprattutto negli ultimi mesi dell’anno (novembre e dicembre), si è particolarmente accentuata la variazione negativa delle nascite rispetto al 2019: a novembre, infatti, il calo è del -8,2% e in quello di dicembre tocca addirittura - 10,3%.

A causa della pandemia, sono svaniti in totale 456 mila posti di lavoro (-2% rispetto al 2019). Ad essere più colpite ancora una volta sono le donne che rappresentano 249mila unità (- 2,5%) rispetto ai 207mila uomini (- 1,5%). Nel solo periodo aprile-settembre 2020 il calo di lavoratrici in Italia è stato doppio rispetto alla media europea (il 4,1% delle 15-64enni, a fronte del 2,1% della media UE), registrando la contrazione più elevata dopo la Spagna; L’Italia è il paese in cui il divario di genere nell’impatto della crisi nello stesso periodo è risultato il più elevato, con un gap di 1,7 p.p. tra uomini e donne. In particolare, guardando al versante delle madri, il saldo delle occupate fa segnare un calo di -96mila donne tra il 2019 e il 2020, di cui in particolare 77mila in meno tra coloro che hanno un bambino in età prescolare, -46mila tra chi ha un figlio alla primaria (6-10 anni), mentre risultano aumentate le madri occupate con figli da 11 a 17 anni (+26mila).

Nel 2020 sono proprio le donne a rappresentare la grande maggioranza degli occupati con un lavoro part-time, quasi 3 su 4 (73% del totale). Spesso sono mamme di figli minorenni: quasi 2 su 5 (il 38,1%) tra loro hanno un contratto part time a fronte del 5,6% dei papà nella stessa condizione. Lo “shock organizzativo familiare” causato dal lockdown, secondo le stime dell’Istat, avrebbe travolto un totale di circa 2,9 milioni di nuclei con figli minori di 15 anni in cui entrambi i genitori (2 milioni 460 mila) o l’unico presente (440 mila) erano occupati.

Lo “stress da conciliazione”, in particolare, è stato massimo tra i genitori che non hanno potuto lavorare da casa, né fruire dei servizi (formali o informali) per la cura dei figli: si tratta di 853 mila nuclei con figli 0-14enni, nello specifico 583 mila coppie e 270 mila monogenitori, questi ultimi in gran parte (l’84,8%) donne.

Alcuni studi che hanno preso in esame le mamme che hanno mantenuto un’occupazione in smart working hanno riscontrato maggiori criticità rispetto ai colleghi uomini, anche a causa del maggior carico domestico e di cura di figli e famiglia, aggravato dalla necessità di seguire i figli in DAD. Le ricerche sottolineano come molte madri registrino segnali di affaticamento, emotivo e psicologico.

Melania Federico



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