Quando i figli indagano i silenzi dei padri

Cultura | 24 marzo 2015
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Israeliano di nascita, ma vissuto in Austria dai tre anni (ovvero dal 1964), Doron Rabinovici, figlio di sopravvissuti alla Shoah, è uno scrittore e storico con all'attivo una variegata produzione, che comprende anche saggi e racconti per l'infanzia. Sono trascorsi diciotto anni dalla pubblicazione del suo primo romanzo, “Alla ricerca di M.” (208 pagine, 16 euro), che solo adesso vede la luce nella traduzione italiana (curata da Ester Saletta e Palma Severi), pubblicata da Giuntina.

Il tema della memoria e della ricerca tornano sempre nei suoi libri, anche nella sua prima prova, un romanzo tutt'altro che scontato, originale, che trasuda fascino e mistero, d'atmosfere, giochi di specchi e suggestioni più che di pura narrazione, dove stile e psicologia hanno il sopravvento sul plot, senza che questo sia grigio o smunto. Tra le pagine di “Alla ricerca di M.”, suddiviso in dodici episodi legati infine da un filo, s'intersecano inestricabilmente le esistenze di due figli di sopravvissuti alla Shoah, gli amici Arieh e Dani, le cui famiglie sono originarie di Cracovia.

 Figli sulle tracce dei padri, dei loro silenzi ed esili, ebrei che indagano quello che altri ebrei ricordano e hanno vissuto, ma non vogliono dire. Arieh è un agente del Mossad, con un fiuto unico per colpevoli e nemici dello stato d'Israele; Dani ha addosso un perenne senso di colpa che, misto a problemi psichici, lo porta ad assumersi la responsabilità di delitti altui. In una Vienna pressochè contemporanea si susseguono, poi, stupri e omicidi di donne strangolate, e c'è l'enigmatico Mulleman (l'M. del titolo), avvolto da bende, che profetizza i delitti e se ne attribuisce la paternità. Rabinovici propone un atipico poliziesco che non disdegna l'umorismo (nelle ultimissime pagine Ruth, la madre di Arieh, spiega al figlio che la differenza fra i terroristi e le mamme ebree è che con i terroristi si può trattare): niente memorialistica, né fiction mescolata a saggistica.

 Oltre i contorni del poliziesco, però, il romanzo ha una natura eminentemente politica, e finisce per essere un'accusa nemmeno tanto velata ai silenzi dell'Austria – sulle proprie responsabilità tra gli anni Trenta e Quaranta – dove quella dell'autore è una voce di riferimento delle minoranze, contro antisemitismo e razzismo.

 di Salvatore Lo Iacono

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