Politiche pubbliche per bambini migranti: un confronto internazionale
Cultura | 6 giugno 2015
Il volume Child Welfare Systems and Migrant Children (Eds. Marit Skivenes, Ravinder Barn, Katrin Kriz, and Tarja Pösö, Oxford University Press, 2015) esamina in che modo, perché e dove sono presenti interventi specifici nei sistemi di welfare di Australia, Nuova Zelanda, Belgio, Olanda, Inghilterra, Estonia, Canada, Finlandia, Italia, Germania, Spagna, Norvegia e Stati Uniti. Paesi con filosofie e sistemi politici differenti, con diverse storie e pratiche in materia di immigrazione. Confrontando le policy e i servizi presenti, rivolti a bambini e famiglie migranti, si affrontano gli elementi critici connessi alla mancanza di competenze (linguistiche, culturali e sociali) specifiche, prendendo in considerazione la collisione di idee e opinioni discordanti su come far crescere i bambini, sul loro ruolo nella famiglia e nella società, sui diritti dei minori. L’analisi della situazione italiana (studiata da Roberta Di Rosa) mostra come in dieci anni il numero di migranti presenti sia cresciuto notevolmente (da circa un milione nel 2002 a cinque milioni nel 2012), con un particolare incremento nella quota di minori (circa un milione). Esistono interventi specifici per minori non accompagnati che mirano a garantire il diritto all’istruzione e alla salute anche in assenza di documenti. Le politiche tuttavia risultano orientate alla sicurezza (più che al benessere) e trattano il fenomeno principalmente come una questione di ordine pubblico, con interventi focalizzati sul controllo e il blocco dei flussi migratori.Dalla comparazione dei diversi Paesi emerge che tutti si occupano dei bambini a rischio, ma soltanto in alcuni casi esistono norme esplicite o linee guida indirizzate ai bambini migranti. Spesso gli interventi rivolti ai migranti e quelli dedicati ai bambini risultano tra loro slegati e non coerenti. I servizi per i bambini sono presenti in modo frammentario anche all’interno di una stessa nazione e in molti casi sono legati al territorio in cui si trovano a risiedere. Circa la metà degli assistenti sociali intervistati lamentano di non avere una formazione specifica sul tema dei bambini e delle famiglie migranti. E ritengono che per affrontare i problemi vissuti da questi soggetti sarebbero necessarie maggiori competenze nell’ambito dei diritti, delle differenze culturali e della lotta alle discriminazioni. Elementi spesso assenti dai loro programmi di formazione.Tra le ipotesi che il testo propone vi è una connessione tra i vari modelli di welfare (usando la suddivisione di Esping-Anderson) e il diverso livello di benessere dei bambini e di rispetto dei loro diritti. Con una migliore qualità della vita dei minori migranti nei Paesi con un sistema di welfare universalistico di tipo social-democratico e una minore protezione nei casi di modelli liberali fondati sulla responsabilità individuale, carenti di servizi di prevenzione anche secondo recenti rapporti Unicef. La correlazione però, sostengono gli autori, va integrata, considerando ulteriori variabili necessarie a spiegare alcune apparenti anomalie. Infatti, ad esempio, alcune nazioni come l’Italia hanno una posizione più bassa nella classifica delle politiche pubbliche per i minori migranti rispetto a quella che la mera considerazione del sistema di welfare presente suggerirebbe, ciò per l’assenza di un orientamento specifico ai bambini, elemento presente invece in modo più forte in Finlandia, Norvegia, nei Paesi Bassi, così come in Gran Bretagna e Canada.
di Marilena Macaluso
Ultimi articoli
- La marcia del 1983, si rinnova la sfida alla mafia
- Bagheria, consiglio
aperto sulla “marcia” - La nuova Cortina
di ferro grande campo
di battaglia - La riforma agraria che mancò gli obiettivi / 2
- Mattarella, leggi
di svolta dall'incontro
con il Pci - Mattarella fermato
per le aperture al Pci - La legalità vero antidoto per la cultura mafiosa
- Natale, un po' di rabbia
e tanta speranza
nella cesta degli auguri - Lotte e sconfitte
nelle campagne siciliane
al tempo di Ovazza / 1 - La legge bavaglio imbriglia l'informazione