Pochi Paesi investono nei settori climatici e della cooperazione

Siamo in pieno cambiamento climatico, il mondo è già più caldo di 1,1°C rispetto agli albori della rivoluzione industriale, con un impatto significativo sul pianeta e sulle vite delle persone. Se le attuali tendenze dovessero continuare, le temperature globali potrebbero già aumentare dai 3,4 ai 3,9°C in questo secolo, causando effetti climatici distruttivi su larga scala. Secondo il Greenhouse Gas Bulletin 2019 dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO), i livelli dei gas a effetto serra che intrappolano il calore nell’atmosfera hanno raggiunto un nuovo record. Ciò implica che nel lungo periodo le future generazioni dovranno confrontarsi con effetti sempre più gravi del cambiamento climatico, tra cui l’aumento delle temperature, un clima più estremo, lo stress idrico, l’innalzamento del livello del mare e l’alterazione degli ecosistemi marini e terrestri. Il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) ha evidenziato, nel suo Emissions Gap Report 2019, che le riduzioni delle emissioni dei gas a effetto serra del 7.6% annuo dal 2020 al 2030 sono necessarie per raggiungere l’obiettivo concordato a livello internazionale di un aumento di temperatura contenuto a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. Gli scienziati concordano che si tratti di un compito gravoso e che la finestra di opportunità si restringa sempre più.
Questo è il forte grido di allarme che la comunità internazionale ha lanciato alla conferenza ONU sul cambiamento climatico, nota come Cop25, inaugurata il 2 dicembre a Madrid e che è ancora in corso. Un tema sempre più connesso alle dinamiche dello sviluppo che ha profonde ricadute in ambiti quali l’agricoltura, la sicurezza alimentare, la desertificazione e molto altro. Le risorse utilizzate per affrontare i cambiamenti climatici però non possono andare a discapito della cooperazione, devono, invece, essere addizionali. Anche in tema di aps è possibile misurare il contributo che ciascun paese fornisce a questo settore attraverso due indicatori: climate change mitigation e climate change adaptation. L’Italia negli ultimi anni ha aumentato le risorse per questo tipo di progetti arrivando nel 2017 a 289 milioni di dollari. Nonostante questa crescita però il nostro paese rimane al tredicesimo posto tra i membri del Dac per spesa in progetti di cooperazione legati al clima. Ancora molto distante da paesi come la Germania ($ 6.724 mln) o la Francia ($ 4.304 mln). Il cambiamento climatico è una sfida chiave in materia di sviluppo sostenibile. L’Italia negli ultimi 6 anni ha stanziato progetti in cui rientrano come obiettivi principali o significativi sia il tema della lotta al cambiamento climatico (climate mitigation) sia l’adattamento al cambiamento climatico (climate adaptation). Nel 2015 i fondi stanziati dall’Italia in questi settori sono cresciuti notevolmente rispetto agli anni precedenti (+195% sul 2014). Nel 2016 però i fondi sono calati nuovamente per poi tornare a crescere nel 2017. Resta da verificare a questo punto se questi importi tenderanno in futuro a crescere o quantomeno a rimanere stabili o se invece torneranno sui livelli precedenti.
Agire per il clima è il tredicesimo tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda delle Nazioni Unite. In seguito alla conferenza di Rio del 1992 si è iniziato a classificare i progetti di cooperazione anche attraverso obiettivi di carattere ambientale. Ad oggi gli indicatori utilizzati, i cosiddetti Rio markers, sono 4: biodiversity, desertification, climate change mitigation e climate change adaptation. Ogni progetto può includere più di uno di questi temi tra i suo obiettivi significativi e in casi particolari anche tra quelli principali. Per calcolare unitariamente gli importi stanziati su più di un Rio marker (in questo caso climate change mitigation e adaptation) bisogna, dunque, evitare le sovrapposizioni.
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