Pietro Terracina, deportato dai nazisti e baluardo della Memoria

Società | 8 dicembre 2019
Condividi su WhatsApp Twitter

Aveva vissuto sulla sua pelle, fin da ragazzino, l’orrore dei campi di sterminio. E da allora, dopo essere riuscito ad uscirne vivo, era diventato uno dei più lucidi ed instancabili testimoni della Shoah affinché - diceva - "la storia non si ripeta». Piero Terracina, uno degli ultimi sopravvissuti ad Auschwitz, è morto a 91 anni nella Capitale. Una scomparsa che addolora, per prima, la senatrice Liliana Segre, ex deportata sotto scorta che in questi mesi è stata bersaglio di feroci attacchi antisemiti, soprattutto sui social: "Ci legava una fratellanza silenziosa - dice - , tra noi non servivano parole. E ora Piero che non c'è più mi sento ancora più sola». L’ebreo romano «baluardo della memoria», così come lo definisce la comunità ebraica di Roma commentando la sua scomparsa, aveva solo 15 anni quando fu portato prima a Regina Coeli con la famiglia, nel giorno della Pasqua ebraica del 1944, poi nel campo di Fossoli, vicino a Modena, e infine in quello di Auschwitz. Piero faceva parte del 'Blocco 29', dove a Birkenau venivano stipati i minorenni. Il lavoro sfiancante con i picconi, che alternava bevendo fanghiglia dal terreno per placare la sete, lo debilitò al punto da farlo ricoverare nell’ospedale del campo. 

Quando nel '45 venne evacuato insieme ai pochi prigionieri rimasti, dopo aver assistito alla fuga delle Ss dalle truppe russe, Piero cercò riparo dal freddo e raggiunse il campo di Auschwitz, ormai abbandonato. Con i pochi superstiti, Terracina tentava di scaldarsi con una misera coperta e qui venne liberato il 27 gennaio 1945 dalle truppe sovietiche. Ma da allora è restato indelebile l’orrore della prigionia e la ferocia dei nazisti. Quelle atrocità, rimaste in parte sulla sua pelle come quel numero 'A5506' che Terracina ha portato per tanti anni sull'avambraccio destro, sono state da lui raccontate a migliaia di studenti e giovani in Italia e all’estero. Solo lo scorso dicembre Campobasso aveva stabilito all’unanimità di conferire la cittadinanza onoraria a Terracina e nel 2015, nella stessa città, gli era stata conferita la laurea honoris causa in Scienze della Formazione primaria. «C'è il rischio che la storia si ripeta - diceva ai ragazzi - . E allora dobbiamo sempre vigilare perché il passato non torni». Terracina parlava del passato ma facendo sempre riferimento anche ai tempi di oggi: «Io credo che comunque il futuro appartiene ai giovani ed è importante che i giovani sappiano - spiegava -. Non parlo solo a nome di noi ebrei, io parlo a nome di tutte le minoranze che sono a rischio». 

Ad esprimere vicinanza e cordoglio alla famiglia di Piero è stato tutto il mondo politico, a partire dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che lo ha definito «testimone instancabile della memoria della Shoah». Il premier, Giuseppe Conte, citando Primo Levi che ammoniva di non togliere il segnalibro della memoria dalla pagina dell’Olocausto, ha parlato di «un patrimonio che ora tocca a noi alimentare perché possa trasmettersi anche alle future generazioni». E ad aprile quando si svolgerà il prossimo 'Viaggio della Memorià, organizzato dalla Regione Lazio con 500 ragazzi, proprio a lui sarà dedicato. Una delle testimonianze più significative di Piero, che va al di là dei suoi necessari quanto atroci ricordi, resta la sua reazione ad un episodio che accade qualche anno fa. Dopo un suo intervento a Zagarolo in cui raccontava la sua esperienza, qualcuno - sentendo di non poter più tacere ma non avendo la forza di rivelarsi - lasciò un biglietto nel soprabito di Terracina in c'era scritto: «Vorrei chiedere perdono per quello che vi ha fatto mio nonno, lui era uno di quei fascisti». E la risposta dell’anziano sopravvissuto, in una lettera indirizzata all’anonimo fu: «Stai tranquillo ragazzo o ragazza, il comportamento del nonno ti serva da lezione, ma le colpe dei nonni non devono ricadere sui nipoti, come quelle dei padri non debbono ricadere sui figli».

 «Con la scomparsa di Pietro Terracina, Palermo perde un uomo che ci ha fatto l’onore di accettare la nostra cittadinanza. Uno straordinario testimone e vittima di un periodo buio della storia europea e mondiale, di fatti tragici ed inumani. Un testimone che per tutta la vita ha scelto di raccontare gli orrori subiti, perché fossero d’insegnamento per una memoria viva contro ogni violenza, sopraffazione e razzismo»,  ha affermato il sindaco di Palermo Leoluca Orlando che ha così espresso anche alla famiglia e alla Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche in Italia Noemi Di Segni, la vicinanza della città di Palermo per la scomparsa di uno degli ultimi sopravvissuti italiani al campo di sterminio di Auschwitz.



Ultimi articoli

« Articoli precedenti