Più medici e specialisti, così si salva dal disastro la sanità pubblica

Società | 24 luglio 2019
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Agli inizi di luglio ha avuto luogo la prova unica nazionale per l’accesso alle scuole di specializzazione medica postlaurea. Con un significativo aumento del numero di borse di studio di specializzazione messe a bando. Per la serie, come dicono a Catania, “dopo che a Sant’Agata la rubarono ci fecero il portone di ferro”.

Beneficiavamo di uno dei migliori sistemi sanitari pubblici del mondo. Poi sono venuti i massicci tagli di posti letto e di interi reparti, gli accorpamenti, il blocco o comunque i ritardi di anni se non di decenni nei bandi e concorsi nella sanità e dunque nelle assunzioni e nel turn-over. Intendiamoci, il sistema richiedeva riduzione dei suoi costi spesso ingiustificati, insostenibili. Ineccepibile. Ma sono tante le scelte scriteriate che ora lo stanno facendo franare. A partire dal numero chiuso nelle facoltà di Medicina con il risultato che – tra invecchiamento, pensionamenti, diecimila medici che alla media di mille l’anno sono andati a lavorare in Gran Bretagna, Germania o, trattati come nababbi, negli Emirati Arabi Uniti – scarseggiano anche i camici bianchi oltre agli infermieri.

E c’è poi la carenza di specialisti negli ospedali. Con le spalle al muro per gli organici ridotti all’osso si riaprono i concorsi e non si riescono a coprire i posti vacanti messi a bando. La specializzazione medica è sempre stata una barriera d’accesso formidabile nel sistema sanitario nazionale, ben sorvegliata dai decisori del settore nelle università, dai cosiddetti “baronati”, dagli Ordini professionali e dalle società nazionali di medicina specialistica. Anche quando la sanità pubblica non era quel disastro che quotidianamente sperimentiamo nei nostri calvari di pazienti ed utenti di strutture ospedaliere ed Asp varie. Insomma: poche eccezioni a parte, nell’Italia ai tempi di twitter e dei selfie ci stiamo giocando anche la sanità. Basta guardare a ciò che succede nelle sale di pronto soccorso ed ai tempi di attesa di mesi se non di anni delle visite specialistiche nelle strutture pubbliche. Proprio quando la popolazione invecchia e attenzione e servizi dovrebbero migliorare piuttosto che sciogliersi come neve al sole.

Di peggio non si poteva agire in termini di programmazione sanitaria negli ultimi 10-20 anni. Ora ne piangiamo le conseguenze. Se l’Italia è in coda in Europa per numero di laureati (non ci si riferisce solo a Medicina ma all’insieme delle facoltà, all’intera offerta formativa, da Economia a Lettere, da Giurisprudenza a Fisica) e sgomita con Bulgaria e Romania per guadagnare – nientemeno! – il terz’ultimo o penultimo posto, la prima riforma da attuare è cancellare il numero chiuso in tutte le facoltà. Possibilmente riducendo anche i costi delle tasse universitarie a carico delle famiglie. Cancellare il numero chiuso a partire, appunto, da Medicina e Chirurgia e dal settore sanitario in genere. La selezione la fa il percorso universitario stesso. Non la fanno strampalati quiz di accesso alle facoltà. Gli anni, la frequenza, lo studio metodico e sistematico, l’impegno e, soprattutto, la vocazione – uno dei tanti sogni di cui la nostra generazione è riuscita a privare i suoi giovani – faranno la vera selezione. E, di sicuro, consentiranno anche di aumentare il numero di neolaureati medici. Accesso alle scuole di specializzazione meno sbarrati e trattamenti economici più adeguati freneranno l’esodo o, per restare al linguaggio sanitario, l’emorragia in direzione d’Oltremanica e di altri paesi del Nord Europa.

Se si continua con le scelte ostinate e rovinose finora perseguite finirà come nelle parrocchie dove operano come parroci e viceparroci sacerdoti di paesi africani, asiatici, sudamericani. Non ci rimarrà altra alternativa se non importare anche i medici. Nessuna preclusione o riserva, per carità, anzi porte aperte a professionisti giovani, capaci e desiderosi di affermarsi. Ma resta una domanda: per quale miopia programmatoria ci siamo ridotti così noi che ci vantiamo di essere il paese delle più antiche facoltà universitarie mediche del mondo, noi che in Italia oggettivamente possiamo contare su una “scuola” di medicina di riconosciuta qualità e secolare tradizione?

Con simili chiari di luna ci sarebbero da fare quasi salti di gioia per la notizia che poche settimane fa ha riguardato l’implementazione delle specializzazioni mediche. Anche a considerare che i corsi hanno durata almeno quadriennale e quindi ancora per anni resteremo parecchio scoperti. Ma intanto il 2 luglio nella prova nazionale di accesso sono state messe a bando 8.905 borse di studio di specializzazione per il corrente anno accademico. Ossia 2.705 in più rispetto all’anno scorso. Alle 8.000 previste a livello ministeriale, dopo ulteriori comunicazioni (e sollecitazioni) con le Regioni, se ne sono aggiunte altre 905. Le attività didattiche inizieranno l’1 novembre.

In base alla stima della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri entro quindici anni la carenza di medici specialisti in Italia potrebbe raggiungere le 14.000 unità mentre già adesso sono oltre diecimila i laureati in medicina abilitati ma intrappolati nell’imbuto formativo. Ovvero laureati abilitati ma che – dati i numeri contingentati degli accessi – non sono riusciti ad entrare, malgrado vari tentativi, nelle scuole di specializzazione. L’obiettivo della Federazione è che ad ogni laurea corrisponda una specializzazione.

Le 1.800 borse in più rispetto allo scorso anno, pari ad un incremento del 30 per cento, erano state una prima risposta ai problemi della post-formazione medica ed alla carenza di camici bianchi del Servizio sanitario nazionale. Da tempo segnalata dai sindacati dei medici, dall’ente di previdenza Enpam, dalla stessa Federazione degli Ordini dei medici che ha infine preso atto del vicolo cieco in cui portavano atteggiamenti di chiusura e ridotto numero di posti resi disponibili nelle scuole di specializzazione. Il via libera definitivo è arrivato dal Ministero dell’Economia che ha accolto le richieste del dicastero della Salute di incrementare le risorse per le borse di studio destinate ai neolaureati in Medicina ed al loro accesso alle scuole di specializzazione.

Alle prese con le drammatiche carenze sui loro territori - che in alcune aree hanno costretto a richiamare in servizio a collaborare medici specialisti ottantenni o giù di lì, in pensione da tempo, in discipline particolarmente carenti di specialisti (come gli anestesisti) - le Regioni hanno ulteriormente pressato per incrementare il numero. Se si dà attuazione alla norma dell’ultima finanziaria e si apre alla possibilità di assumere gli specializzandi dell’ultimo anno si libererebbero ulteriori 5.000 borse. Significherebbe in linea del tutto teorica e probabilmente con un eccesso di ottimismo che il prossimo anno accademico, mantenendo i numeri del corrente anno, quasi 14.000 medici laureati ed abilitati potrebbero accedere alla scuola di specializzazione. Iniziando così il percorso per il completamento dell’iter formativo per entrare compiutamente, nel giro di quattro anni, nel circuito lavorativo sanitario. Svecchiando il sistema, potenziandolo, portando l’entusiasmo di chi è fresco di laurea, operando gomito a gomito con chi è in attività da decenni, facendo tesoro della preziosa esperienza dei “vecchi” medici negli ambulatori, nelle corsie ospedaliere, negli studi sanitari. Non si risolveranno come d’incanto tutte le disfunzioni che stanno colpendo a morte la sanità pubblica italiana ma almeno sarà un segnale di inversione di tendenza. Importante, propedeutico a tutto il resto.

 di Pino Scorciapino

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