Perché Ragusa è più dinamica di Catania e Messina
Tra i punti di maggior interesse del Rapporto annuale Istat 2015 è la suddivisione dell'Italia in sette categorie di sistemi locali omogenei: le città del centro-Nord, la città diffusa, il cuore verde, i centri urbani meridionali, i territori del disagio, il Mezzogiorno interno, l'altro Sud.
Gli ultimi quattro raggruppamenti includono sistemi locali esclusivamente del Mezzogiorno: i territori del disagio descrivono realtà come la conurbazione napoletana, l'area urbana di Palermo e i sistemi locali urbani a nord di Bari con connotazioni socio-economiche fortemente critiche; il secondo gruppo include 26 sistemi locali (per la Sicilia Catania e Messina) caratterizzati da bassa dinamicità demografica, criticità del mercato del lavoro, staticità che le rende incapaci di gestire le rendite di posizione maturate in passato; l'altro Sud è il raggruppamento del Mezzogiorno che esprime maggiori potenzialità, tra i 93 sistemi territoriali che aggrega c'è Ragusa e i sistemi siciliani dell'entroterra etneo ricchi di pregi naturalistiche di patrimonio storico- culturale; il quarto è il meno dinamico e comprende anche le aree interne della Sicilia con territori che si stanno spopolando da decenni e popolazione strutturalmente anziana.
Due caveat: il primo “sistemi locali del lavoro” che l'Istat assume a riferimento, sono griglie territoriali i cui confini, indipendentemente dall'articolazione amministrativa, sono individuati utilizzando i flussi degli spostamenti giornalieri casa-lavoro. La seconda osservazione è che siamo di fronte ad un testo complesso, che si propone di “leggere” i mutamenti delle diverse aree territoriali per effetto della grande recessione; un documento che va studiato ed approfondito per acquisirlo come un contributo al “che fare”per rilanciare l'economia ed incrementare la coesione economica e sociale. L'Istat conferma che la lunghissima crisi cominciata nel 2008 ha fortemente accentuato la disparità economica tra le regioni più forti e quelle più deboli d'Europa.
Infatti, nel biennio 2012-2013, caratterizzato dalla crisi del debito sovrano, la contrazione ciclica degli investimenti ha colpito principalmente le economie italiana e spagnolo. Mentre la Spagna ha ripreso il processo di accumulazione, in Italia nell'ultimo trimestre del 2014 gli investimenti hanno mostrato una lieve variazione positiva (+0,2% su base congiunturale), con l'eccezione del settore delle costruzioni. Nel corso del 2015, secondo l'Istituto, ci si attende una crescita più sostenuta degli investimenti in ricerca e sviluppo, mentre si prevede che gli investimenti in macchine ed attrezzature dovrebbero crescere a ritmo più contenuto; la ripresa degli investimenti in opere non residenziali si concretizzerebbe invece solo nel corso del 2016 (pag.35).
Le disuguaglianze sono aumentate in modo consistente anche all'interno dei singoli paesi, specialmente del nostro. Un recente articolo di Francesco Prota e Gianfranco Viesti (the regional effects of the economic crisis in Europe) dimostra che ad essersi fortemente indebolite sono le regioni periferiche dell'Unione, in particolare Grecia, Spagna, Italia e Portogallo. Inoltre i dati italiani più recenti mettono in luce che l'aumento della tassazione, specialmente locale, e i tagli della spesa pubblica hanno inciso in maniera più rilevante nel Mezzogiorno d'Italia rispetto al resto del paese. All'interno del Sud, la Sicilia ha andamenti economici che la collocano tra le realtà territoriali maggiormente in sofferenza. La stesso scenario di crescita dell'1,4% per il 2015 e dell'1,8% nel 2016 formulato dalla fondazione RES è accompagnata da una stima di aumento dei consumi delle famiglie nettamente inferiore (1'3% nel 2015 e 1.0% nel 2016), ma soprattutto dal fatto che il tasso di disoccupazione si mantiene altissimo, pari al 22,8% per l'anno in corso e al 21,8% per il 2016).
Vedremo a luglio, quando sarà pubblicato il rapporto, della fondazione siciliana il dettaglio dei comparti produttivi ma se fossimo in presenza, come sembra probabile, di una crescita lenta e senza occupazione i benefici per la Sicilia non sarebbero significativi. Nessuna risposta è stata data alla crisi degli investimenti: a fine dicembre 2013 gli unici investimenti, in corso in Sicilia riguardavano il rigassificatore Enel di Porto Empedocle (800 milioni), il potenziamento di Versalis a Priolo (400 milioni), la 3Sun di Catania (380 milioni), il solare termodinamico dell'Enel a Catania (200 milioni). Poco meno di 1,8 miliardi di euro concentrati in grandi aziende e dei quali sarebbe assai utile verificare lo stato dii avanzamento. Così come sarebbe opportuno fare il punto sugli investimenti previsti nel sistema petrolifero e della raffinazione a partire dalla riconversione dell'Eni di Gela (fonte “L'economia reale nel Mezzogiorno” Bologna 2014, pag 241).
La desertificazione produttiva ha colpito soprattutto la media e piccola impresa, mentre i pochi investimenti industriali vengono soprattutto da aziende ricollegabili alla proprietà pubblica, quelle che una volta si chiamavano partecipazioni statali. La Sicilia ha 72 sistemi locali del lavoro: la maggioranza di essi sono privi di specializzazione produttiva soprattutto quelli appartenenti al settore agro-alimentare .
La rilevazione delle forze di lavoro fa emergere che molti di essi hanno continuato e perdere occupazione, in numero minore si collocano nella categoria definita “perdenti in ripresa” , mentre non v'è traccia di Sicilia tra i “vincenti”.La Sicilia che traspare dal rapporto annuale Istat è, purtroppo, quella segnata dalla crisi e dalla disoccupazione, che conosciamo e che le “rivoluzioni immaginate”non hanno certo contribuito a cambiare, anche se è utile evitare letture affrettate e catastrofiste che non coglierebbero pienamente gli aspetti contraddittori della realtà dell'isola .
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