Perchè il nuovo esecutivo si rimangerà i decreti sicurezza

6 settembre 2019
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Il nuovo governo e le due leggi sulla sicurezza

Una delle condizioni poste dal Pd per il governo col Movimento 5 Stelle riguardava l’abolizione delle due leggi sicurezza. Invece, nei punti indicati da dai cinquestelle si parla “di una normativa che persegua la lotta al traffico illegale di persone e all’immigrazione clandestina (…). La disciplina in materia di sicurezza dovrà essere aggiornata seguendo le recenti osservazioni formulate dal Presidente della Repubblica”. Il quadro, quindi, non è chiaro. Proviamo dunque a capire cosa potrebbe cambiare nella normativa nazionale in tema d’immigrazione.

Sul primo decreto sicurezza, il Quirinale ha rilevato che «restano “fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello stato” (…), in particolare, quanto direttamente disposto dall’articolo 10 della Costituzione». Le osservazioni sono generiche e il richiamo alla Carta pare riferirsi a eventuali conseguenze del venir meno della protezione umanitaria. Tuttavia, in questi mesi, su varie disposizioni sono stati espressi dubbi di legittimità costituzionale: per esempio, sulla revoca della cittadinanza agli stranieri condannati in via definitiva per alcuni reati, a differenza degli italiani per nascita condannati per i medesimi reati, in violazione dell’articolo 3 della Costituzione. Oppure sul diniego di protezione internazionale a seguito non di sentenza definitiva di condanna, ma di sentenza di primo grado o del mero avvio di un’indagine penale per taluni reati, in contrasto col principio di non colpevolezza (articolo 27, comma 2, Costituzione), nonché del diritto di difesa (articolo 24 Costituzione), poiché l’immediata esecutività del decreto di espulsione in questo caso preclude all’immigrato la presenza nell’eventuale giudizio di impugnazione. Oppure, ancora, sulla mancata iscrizione dei richiedenti asilo nel registro anagrafico dei residenti, per cui pende la questione di legittimità costituzionale.

Per quanto riguarda la seconda legge sicurezza, sull’immigrazione, il Capo dello stato ha segnalato che la sanzione prevista nel caso di violazione del divieto di ingresso nelle acque territoriali è di entità così elevata da configurarsi come sostanzialmente penale, mentre viene applicata da un’autorità amministrativa e senza che siano precisati criteri per la sua quantificazione. Ha poi rammentato il rispetto degli “obblighi internazionali”, citati pure nella legge, circa il “soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo”, nell’esercizio dei poteri di cui alla legge stessa.

Ci si chiede, dunque, se il nuovo governo conserverà o meno il potere del ministro dell’Interno, di concerto con quelli della Difesa e delle Infrastrutture, di vietare l’ingresso, il transito o la sosta nel mare territoriale delle navi che soccorrono migranti irregolari: potere basato su una sorta di presunzione di colpevolezza, per cui il trasporto di naufraghi privi del permesso di soggiorno è una fase del preventivato e intenzionale disegno teso a favorirne l’ingresso illegale nel paese; o mette a rischio “ordine e sicurezza pubblica”. Di certo, con l’abolizione di tale potere, non vi sarebbe una lacuna nell’ordinamento per la lotta al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Una norma inutile

Da anni esiste infatti una normativa per contrastare questo reato, che si fonda non sulla discutibile presunzione di colpevolezza, ma su verifiche concrete. Infatti, il Testo unico immigrazione (articolo 11, comma 1), oltre a demandare il controllo delle frontiere al ministro dell’Interno e a quello degli Affari esteri e ad affidarne al primo il coordinamento (articolo 11, comma 1-bis), disciplina (articolo 12) l’accertamento dell’ipotesi di traffico di migranti sia in acque territoriali sia al di fuori di esse. Nel primo caso (articolo 12, comma 9), la nave italiana in servizio di polizia può fermare l’imbarcazione sospetta, ispezionarla e, se rinviene elementi che confermino il traffico di migranti, sequestrarla e condurla in porto. Nel secondo caso (articolo 12, comma 9-quater), i medesimi poteri spettano sia alle navi della Marina militare sia a quelle di polizia, qualunque sia la bandiera dell’imbarcazione sospetta. Un decreto interministeriale (14 luglio 2003) regola modalità di intervento e raccordo tra navi militari e navi in servizio di polizia.

Perché, in presenza di disposizioni puntuali, il ministro dell’Interno della Lega non le ha applicate? Forse perché, in caso di evidenze di reato, l’imbarcazione andrebbe condotta in porto per il seguito giudiziario, facendo scendere le persone a bordo: proprio ciò che il ministro non voleva. Dunque, ha preferito il più scenografico potere della legge sicurezza-bis per tenere al largo ogni nave con migranti soccorsi, a discapito non solo dell’effettivo contrasto a eventuali trafficanti, che così non vengono perseguiti, ma anche del rispetto degli “obblighi internazionali” richiamati nella legge stessa oltre che nella lettera del Presidente: vale a dire quelli derivanti dalle Convenzioni Unclos, Solas e Sar sui salvataggi in mare, nonché dalla Convenzione di Ginevra, in particolare circa il principio di non respingimento (articolo 33).

In conclusione, la pretesa di conservare la legge sicurezza-bis sembra non solo inutile, ma paradossale.(info.lavoce)

Vitalba Azzolini

* Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono l’istituzione per cui lavora.



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