Per il Pd una vittoria a metà
Il Pd ha più di un motivo di ritenersi soddisfatto del risultato elettorale delle amministrative in Italia e in Sicilia, ma farebbe bene a tenere i piedi a terra, come ha suggerito, giustamente, il suo segretario Epifani.
Il Centrosinistra risulta primo, conquista con i suoi candidati tutti i comuni capoluoghi, il Pdl è in ulteriore recessione elettorale e politica, il fenomeno Grillo si sgonfia pagando la sua sterilità politica a livello nazionale e regionale nonostante la sua partecipazione costruttiva all’ARS. Ma in verità nessuno può brindare perché l’astensionismo, di sfiducia e di protesta, ha superato soglie mai registrate. D’altra parte contando i voti in assoluto tutti i partiti, compreso il Pd, hanno preso meno voti rispetto alle precedenti elezioni. Quindi, per favore stiamo con i piedi a terra! È un azzardo dire che il voto abbia sancito la vittoria delle larghe intese sia negarne una qualche influenza. Il voto delle amministrative è determinato da meccaniche più locali e complesse. Certamente ha giocato la natura e la qualità dei gruppi dirigenti locali. Il Pd, immerso nel suo travaglio, è rimasto nel panorama politico l’unica forza non personalizzata, nonostante gli sforzi erculei di diversi suoi dirigenti di mutarne la natura. Rimane comunque afflitta, fin troppo, dai vari personalismi che respingono gli elettori tradizionali e non attraggono quelli nuovi.
In Sicilia il voto ha sancito la presenza elettorale del Megafono di Lumia e Crocetta che contribuisce a far vincere il centrosinistra quando concorre unitariamente, mentre lo affonda, vedi i clamorosi casi di Piazza Armerina, di Licata e altri, quando si è presentata in contrapposizione.
Col prossimo congresso il Pd dovrà riuscire a sciogliere i nodi relativi alla sua natura e cultura politica, alla sua organizzazione, all’unità e collegialità dei suoi organismi per affermarsi come la principale forza riformista del ventunesimo secolo.
Dovrà rispondere alla crisi strutturale del capitalismo globalizzato individuando una nuova strategia per la crescita che ancora non si vede né potrà farlo questo governo delle larghe intese per le sue contraddizioni interne culturali e politiche. La risposta va pensata in chiave europeista e globale, ma da collocazione culturale? L’attuale Pd si sente di appartenere, tutto, allo schieramento progressista e socialdemocratico europeo? Allora dovrebbe essere impegnato a contribuire al rinnovamento della sua cultura politica per far fronte alle sfide del ventunesimo secolo. Da laburismo inglese al socialismo francese o euro mediterraneo alla socialdemocrazia non ci sono ricette uniche e convincenti per superare la crisi. La nuova identità della sinistra riformista può rinunciare all’ancoraggio al mondo del lavoro, all’idea di una finalità sociale dell’impresa, alla giustizia e uguaglianza sociale senza perdere la sua alternatività politica? Gli umili e i deboli del mondo saranno difesi solo da Papa Francesco o invece vanno considerati dalla sinistra ancora l’anello di congiunzione tra libertà, solidarietà, giustizia e democrazia? Le risposte neoliberiste alla crisi non hanno creato crescita e hanno aumentato le disparità sociali. Il problema da risolvere, senza rinunciare al rigore dei conti pubblici, riguarda i vincoli da imporre ai poteri finanziari e sociali più forti e ricchi del mondo e ripensare un nuovo sviluppo che non rinunci alla crescita e sia ecocompatibile.
Sono alcune tra le domande che il Pd dovrà porsi e alle quali dovrà rispondere col prossimo suo congresso. Dalla credibilità e idealità delle risposte sapremo se il Pd avrà un futuro. È possibile pensare un neo partito di massa riformista plurale, collegiale, unito per governare l’Italia e l’Europa? Basterà un comunicatore più bravo al comando o servirà un rinnovato processo democratico nel quale elettori, iscritti, dirigenti si sottopongono a continue verifiche di democrazia diretta sulla linea e le singole scelte politiche?
Alla falsità della democrazia del web di Grillo occorre rispondere con la credibilità di un elaborazione e gestione democratica delle scelte di politica economica, sociale e dei diritti. Alla concezione del cesarismo della destra non si può rispondere con uno di sinistra già sperimentato e fallito (v. partito leggero retto dallo staff del segretario o quello delle correnti camuffate nelle fondazioni).
Il partito riformista del secolo in corso dovrà essere capace di vedere e dialogare, tra l’altro, con i movimenti autonomi della società, con il volontariato, con le strutture intermedie di rappresentanza del lavoro, dell’impresa, dei diritti.
Un fallimento del Pd in questa ricerca rafforzerebbe la delusione e l’astensionismo elettorale e l’ipotesi di un solo uomo al comando che sicuramente non sarebbe di sinistra.
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