Patto per il Sud, dalle promesse inevase di Prodi a Conte

Economia | 16 febbraio 2020
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Tra le misure approvate, il colpo ad effetto ...è l'approvazione ... del quadro strategico nazionale per le politiche regionali .... Vengono allocati i fondi Ue ed il fondo per le aree sottoutilizzate. Complessivamente sono 123 miliardi, di cui circa 100 per il Mezzogiorno. . ..”Lo stanziamento per il Mezzogiorno è un documento di importanza fondamentale che se bene impiegato potrà far fare un salto in avanti alle regioni meridionali» spiega entrando nel dettaglio del pacchetto varato il presidente del Consiglio.  Non  mettereste la mano sul fuoco che stiamo parlando della presentazione del nuovo piano decennale per il Sud avvenuta ieri nella località assai simbolica di Gioia Tauro? Ebbene, vi sbagliate: è la trascrizione testuale di una notizia comparsa  sul Corriere della Sera del 13 gennaio 2007 e riferita alle deliberazioni del Consiglio dei ministri presieduto da Romano Prodi che si era svolto il giorno antecedente in una località altrettanto simbolica, la Reggia di Caserta. A volte la memoria corta dei responsabili della comunicazione fa di questi scherzi.  Quel piano, che era uno strumento assai serio di programmazione per lo sviluppo fu, purtroppo, travolto dalla crisi prima finanziaria e poi  economica globale del 2008 e sostanzialmente abbandonato dai successivi Esecutivi, con effetti devastanti per il Sud che per lungo tempo è sparito dalle decisioni della politica nazionale. Non a caso tra le slides presentate l'altro ieri ve n'è una che con icastica drammaticità rappresenta gli investimenti nel Mezzogiorno nel corso dell'ultimo decennio, con una traiettoria che si inclina repentinamente e senza interruzione verso il basso: la principale urgenza è perciò rilanciare gli  investimenti pubblici e privati nelle aree a ritardo di sviluppo attraverso progetti cantierabili e con tempi certi. 

 Non a caso la prima scadenza del piano, prevista al 31 marzo, è il decreto del presidente del Consiglio dei ministri  di attuazione  della clausola sulla destinazione al Sud del 34% della spesa pubblica ordinaria in conto capitale prevista dall'ultima legge di bilancio. Una norma che finora non ha funzionato perché priva di cogenza ed affidata alla moral suasion nei confronti dei grandi soggetti pubblici di spesa (RFI, ANAS,ENEL, ma anche i ministeri di spesa  a partire dal MIT) che non ha prodotti risultati significativi. Se si riuscirà nel Dpcm ad introdurre misure capaci di obbligare tali soggetti a dare certezza  di tempi e risorse ai programmi di spesa nel Mezzogiorno, saremo di fronte ad una grande e positiva novità, reale volano per la ripresa delle asfittiche economie delle regioni meridionali. I mezzi di comunicazione, seguendo un'antica e consolidata abitudine si sono gettati a capofitto sui numeri, dando vita ad una giostra di miliardi da far girare la testa.

 In realtà, se si guardano le fonti dei flussi finanziari, le risorse realmente aggiuntive (nel senso che non derivano dalla programmazione europea e dal fondo sviluppo e coesione) ammontano nel triennio 2020-2022  a 7,6 miliardi di euro (5,6 mild. per il recupero del 34% su spesa ordinaria in CC e 2 mild. di obiettivo del 34% su nuovi fondi della legge di bilancio). I restanti 13,4 miliardi si riferiscono all'accelerazione dell'utilizzo di risorse già esistenti a carico dei fondi SIE e FSC. Attenzione: introdurre nel sistema economico meridionale in un triennio poco meno di otto miliardi di euro di spesa ordinaria in conto capitale significa che finalmente lo Stato, che troppo a lungo aveva lasciato il Meridione alle provvidenze ed alle difficoltà gestionali della programmazione europea, decide di rimetterci la faccia, di finirla di inseguire le rivendicazioni semifederaliste delle regioni del Nord e di assumere la titolarità di un progetto di nuova coesione e economica e sociale di  tutto il paese. Un risultato politico di  valore, ove fosse realizzato nei tempi e con le modalità previste dal piano. Per il resto, gli strumenti individuati, dai PSC (piani sviluppo coesione) per accompagnare con fondi nazionali di coesione le risorse europei, sono- mutati i nomi e qualche regola di funzionamento-  già da anni presenti ad accompagnare le varie programmazioni. Si tratterà di vedere se e quanto si riuscirà a rendere rapida ed efficace la spesa. 

La novità positiva è invece aver riportato al livello massimo il cofinanziamento nazionale (23,415 miliardi a fronte di 30,75 di fondi SIE 2020-2027), segnale importante per un'Europa in cui c'era la tentazione forte di ridimensionare le politiche di coesione soprattutto nei paesi di più antica appartenenza all'Unione. Il governo italiano, insomma, ha battuto un colpo e, mettendoci soldi propri, ha affermato di considerare centrali le politiche di coesione.  Un'inversione di tendenza rispetto alla lunga fase in cui il cofinanziamento è stato progressivamente ridotto per far fronte alle esigenze di risanamento del bilancio dello Stato. Le vere, importanti novità del piano presentato ora sono sul terreno del metodo: la cooperazione rafforzata tra le amministrazioni centrali e quelle regionali e locali è la strada per superare i ritardi e le inefficienze che il sistema italiano nel suo complesso da troppi anni si porta dietro.

 Coraggiosa è anche la filosofia generale del piano che finalmente mette al centro le cinque grandi questioni che hanno costituito la palla al piede delle regioni meridionali: la percentuale insostenibile di disoccupazione giovanile e femminile, l'assenza di politiche per l'innovazione produttiva, il ritardo- anzi l'assenza -dell' economia verde e di politiche orientate a scelte ecologiche, l'isolamento geografico e le carenze infrastrutturali, il rapporto con il Mediterraneo. Su ciascuno di questi temi si propongono scelte innovative, che però bisognerà vedere concretamente all'opera. La novità assoluta e positiva è infine la scelta in direzione della rigenerazione della pubblica amministrazione, che nelle regioni meridionali rappresenta la questione delle questioni: le assunzioni di giovani qualificati- necessarie come il pane in un'amministrazione che ai difetti storici ha aggiunto l'invecchiamento del personale- vengono inserite in un quadro di profonda riforma delle strutture e dell'azione amministrativa che costituirà una della cartine di tornasole della riuscita di quanto viene proposto. 

In Sicilia questa è- ad avviso di chi scrive- la battaglia fondamentale: non ci sarà sviluppo dell'isola se non si capovolge dalle fondamenta una struttura vecchia ed inadeguata che è divenuta un vero e proprio ostacolo all'innovazione ed alla stessa sostenibilità dell'autonomia speciale. Non  pare condivisibile l'osservazione secondo la quale il piano avrebbe dovuto selezionare un numero limitato di obiettivi: non perché non sia tecnicamente giusta, ma per il motivo che sarebbe stata incompatibile con la situazione  politica attuale e con le condizioni  in cui versa il governo in carica. Tanto è vero che, se si dovesse dar conto di un'evidente carenza del  piano, dovrebbe farsi riferimento all'assenza di qualsiasi cenno alle politiche di attuazione della  parte relativa alle politiche attive del lavoro della normativa sul reddito di cittadinanza, che avrebbe avuto senso inserire dagli obiettivi anche in forza della notevole dotazione di risorse finanziarie. Reddito che, come dimostrano i dati dell'INPS, è in grande prevalenza erogato nel Meridione e  mostra, giorno dopo giorno, i limiti e la pecche di un  provvedimento concepito come una “bandiera”anziché come un contributo effettivo alla risoluzione dei problemi della povertà. 

Infine, un brevissimo riferimento a quanto, nelle slides presentate, riguarda esplicitamente la Sicilia, naturalmente con l'avvertenza che  l'isola partecipa al complesso delle attività previste nei programmi triennali e decennali- e da ciò probabilmente deriva la quantità di risorse stimate da diversi organi di informazione. La slide n.20 sulle iniziative del  Ministero Infrastrutture Trasporti cita per la Sicilia  la realizzazione della Catania- Ragusa, che dovrebbe andare prossimamente in CIPE, interventi sulla SS121 catanese (è la vecchia strada statale Catania-Palermo) e la realizzazione della ferrovia Messina- Catania (in realtà il tratto da Giampilieri a Fiumefreddo). Per queste opere, come per il resto dei programmi di RFI e ANAS in Sicilia, il problema non è tanto quello delle risorse ma, purtroppo dei tempi “storici” di caratterizzazione  che hanno ridotto al punto più basso ed ormai inaccettabile la possibilità di viaggiare in Sicilia per i passeggeri e le merci.

 Ecco, se il governo si impegnasse a completare con tempi certi e credibili, almeno le principali opere infrastrutturali in Sicilia, per esempio la Palermo-Agrigento, la riqualificazione  dell'autostrada Palermo- Catania  ridotta ad un budello impercorribile, e la ferrovia Catania-Palermo, sarebbe il segnale più concreto che qualcosa sta veramente cambiando per la  tartassatissima  gente di Sicilia.

 di Franco Garufi

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