“Panino libero” in classe, finisce la dittatura della mensa scolastica
Chi l' avrebbe detto: in questi primi giorni di scuola, al centro del dibattito non ci sono gli insegnanti migratori, le aule sgarrupate, i computer vintage, la carta igienica home made. No. In questo 2016 il vero protagonista è il panino.
Chiamatela "panino libero", "panino
revolution", "battaglia del panino", la questione è
la medesima: insoddisfatti per qualità e prezzo delle mense dei
propri figli, un manipolo di genitori ha pensato di rinunciarvi e
fornire i giovani di "schiscetta" preparata a casa. Cosa
che però non era possibile fino a una manciata di giorni fa per un
garbuglio di regole che vanno da quelle scolastiche a quelle
sanitarie.
Dunque nella sempre civilissima e avanguardistica
Torino, un nugolo di "rivoltosi" ha avviato una battaglia
legale versus Comune e Miur per vedersi riconosciuto il diritto. Il
Tar prima dice no, la Corte d' Appello poi dice sì, ma solo alle
famiglie ricorrenti. Infine il Comune cede ed estende il diritto a
tutti coloro che "daranno disdetta" entro il 26 settembre,
ma potrebbero presto arrivare altre sentenze - tra cui quella della
Cassazione, cui si è rivolto il Miur - e i dettagli sono tutti da
definire: paninari e mensari mangeranno nello stesso posto? Chi
garantirà la sicurezza alimentare dei primi?
Nonostante le
incertezze, la "rivolta del baracchino" sta contagiando
altre città: a Genova il sindaco Doria s' è messo al lavoro ("la
notizia è stata accolta dalle famiglie più che favorevolmente",
dice Sabina Calogero, coordinatrice della rete commissioni mensa
della Liguria); a Napoli l' assessore all' istruzione Palmieri sta
riflettendo sulle ripercussioni sanitarie; a Milano i genitori
cominciano a interessarsi. Ma la ragione, da che parte sta? Da quella
di genitori insoddisfatti? Da quella degli educatori e degli
amministratori che dicono che la mensa è un' occasione di educazione
tout court e alimentare nello specifico? Sono i piatti a essere
scadenti o i ragazzi a essere schizzinosi? I somministratori a
lavorare con pressapochismo o i genitori contemporanei ad assecondare
i capricci dei figli?
La prima voce che sentiamo, per tentare di
capire, è quella di Raffaele Grieco, uno dei cinquantotto "ribelli"
torinesi. "I motivi per cui ci siamo affidati a un avvocato -
dice - sono due. Il primo è che il cibo è desolante. Sarà stato
ingegnerizzato dagli scienziati, sarà a chilometro zero, le cucine
saranno perfettamente a norma, ma semplicemente non è buono.
"
E per dimostrarcelo, ci manda la foto della proposta "Oggi
pizza" che in effetti mostra un vassoio assai mesto con un pezzo
di pizza, un poco di zucchine lesse e un paio di mozzarelline dall'
aria sciupata. "Il secondo motivo - continua - è che il cibo è
caro. Se sei oltre i massimi Isee (cioè le fasce di reddito delle
famiglie, la cui ultima soglia è al di sopra dei 32.000 euro annui)
paghi anche i pasti gratis della fascia più bassa".
Il primo
tema, quello della qualità del cibo, tira in ballo la Camst, il
colosso emiliano della ristorazione collettiva. Il gruppo Camst serve
115 milioni di pasti l' anno di cui 41 nelle scuole, conta 13.000
dipendenti, fattura 660 milioni ed è secondo per quota di mercato
(8,2%) solo al francese Gruppo Elior. I menù serviti da Camst
quotidianamente a Torino - dove operano anche altre due società -
sono 16mila: vengono concepiti assieme all' Asl, arrivano dai centri
di cottura dell' hinterland (nei comuni di Moncalieri, Lucento e
Chieri), vengono trasportati alla temperatura di consumo (sopra i 60
gradi per il caldo, sopra i 10 per il fresco) e in un giorno di
settembre propongono "ravioli di magro al pomodoro - platessa
dorata - insalata verde e carote - succo di frutta" o "passato
di patate e carote con riso - torrino alle zucchine - costine olio e
parmigiano - frutta" con alcuni dei piatti del progetto "Il
menù l' ho fatto io" proposti dai bimbi stessi.
Il problema?
Più che altro cotture e temperature: tenete in caldo dei fusilli al
pesto per un bel po' e li troverete pesti, o mangiate all' ultimo
turno - nelle grandi scuole le classi si susseguono - e il vostro
piatto sarà freddo. Ma è possibile che in Italia, nel Buon Paese,
nella città, Torino, che ospiterà tra qualche giorno il Salone
Internazionale del Gusto non si possa dare di più, anche senza
essere eroi? "C' è sicuramente margine di miglioramento -
dicono quelli di Camst - sperimentando nuove tecniche che alterino di
meno le proprietà degli alimenti durante il trasporto. Naturalmente
una cucina in ogni scuola potrebbe migliorare il servizio, ma c' è
il problema delle strutture, dei costi e del controllo della
produzione".
Il secondo tema è il costo. E qui Camst c'
entra poco, visto che per un pasto prende 4,70 euro che è un prezzo
verosimilmente equo. Il fatto è che a Torino - la città con le
mense più care d' Italia - il signor Grieco e tutti coloro che sono
nella massima fascia Isee pagano un pasto del proprio figlio 7,10
euro al dì. I 2,40 euro di differenza - un terzo della cifra - vanno
al Comune per i vari costi "indiretti". Non succede
altrove: a Roma le cifre sono la metà. Cosa cambia tra Torino e
Roma? Più che il costo del servizio, in realtà, la quota di cui si
fa carico il Comune, cioè i contribuenti. E in effetti ci si
potrebbe chiedere: davvero non c' è modo di ridurre i costi
comunali? E anche: ma i pasti dei bimbi di genitori a basso reddito
li devono pagare gli altri genitori o la collettività tutta?
Dunque
la soluzione è la schiscetta? Il baracchino potrebbe sembrare un
ripiegamento individualista. Che i genitori decidano di far da sé
come chi si coltiva i pomodori sul balcone perché chissà gli altri
cosa ci mettono sopra. In realtà ha tutta l' aria di una trattativa.
"Sono anche disposto a pagare i 7 euro ma per mangiare con la
qualità che mio figlio aveva all' asilo. - conclude Grieco,
riferendosi alle materne dove spesso la cucina è interna -. Ma per
il momento l' unico modo per impedire ai nostri figli di mangiare
male e dargliene noi. Vorrei potermi pentire a novembre perché la
mensa sarà tanto migliorata. Per ora, però, continuo a farlo:
sono suo padre, voglio che mangi come si deve". (Il Fatto
Quotidiano)
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