Palermo ricorda il sacrificio del generale Dalla Chiesa 38 anni fa

Politica | 3 settembre 2020
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«Il 3 settembre 1982, a Palermo, la mafia uccideva barbaramente il Prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, Generale dell’Arma dei Carabinieri, e sua moglie Emanuela Setti Carraro; pochi giorni dopo, per le ferite riportate, moriva anche l’agente Domenico Russo. A trentotto anni dalla ricorrenza del vile attentato, esprimo il commosso omaggio della Repubblica alla loro memoria». Lo scrive in un messaggio Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. «Carlo Alberto Dalla Chiesa ha servito lo Stato, in situazioni e ruoli anche molto diversi l’uno dall’altro, sempre animato dalla stessa determinazione e dalla costante fiducia nella capacità delle Istituzioni di affermare la legalità. Consapevole della necessità di una visione strategica globale contro la mafia così come contro il terrorismo, cercava di individuare i punti deboli di ciascuna organizzazione criminale e gli strumenti più efficaci per colpirli. Nei suoi quattro mesi da Prefetto di Palermo, colse lucidamente le debolezze dell’attività di contrasto e i pericoli che si celavano nell’impegno isolato e non ancora ben coordinato di uomini e uffici», prosegue il Capo dello Stato.  «La sua azione contro la delinquenza mafiosa fu tragicamente interrotta ma le sue intuizioni sono rimaste nel patrimonio comune di quanti hanno continuato a combatterla. Nel ricordo del loro estremo sacrificio, rinnovo alle famiglie Dalla Chiesa, Setti Carraro e Russo i sentimenti di vicinanza e partecipazione miei e di tutta l’Italia», conclude il Presidente della Repubblica.

 "Qui è morta la speranza dei palermitani onesti", scrissero in via Isidoro Carini all’indomani della strage in cui furono uccisi il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo, apparve come l’atto di resa di un popolo oramai piegato a Cosa nostra. L’assassinio del generale dei carabinieri, inviato in Sicilia per arginare il l’offensiva mafiosa, avvenne in quel 1982 considerato per Palermo l’annus horribilis per via del numero dei morti ammazzati (ogni giorno si aggiornava l’elenco con nuove vittime). Era la sera del 3 settembre. Dalla Chiesa e la moglie, dopo essere usciti dalla Prefettura a bordo della A112 beige e seguiti dall’agente di scorta su una Alfetta, furono affiancati da un commando. I killer usarono una tecnica quasi militare, impiegando un Kalanikov ak-47.

 Cosa nostra intendeva alzare il tiro, dichiarare guerra allo Stato che aveva inviato nell’Isola un servitore che aveva ottenuto straordinari risultati nei confronti del terrorismo. Quella strage concluse nel sangue i cento giorni del generale a Palermo; giorni di solitudine in quella Prefettura diventata quasi un opulente eremo. In un’intervista rilasciata a Giorgio Bocca, Dalla Chiesa si lamentò dell’assenza di quegli strumenti promessi dal governo nella lotta alla mafia. Nel giorno dei funerali, la cattedrale di Palermo fu sferzata dalle dure parole del cardinale Salvatore Pappalardo che citando Tito Livio condannò duramente le istituzioni. "Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici, e questa volta non è Sagunto ma Palermo. Povera la nostra Palermo". 

Città che a distanza di quasi 4 decenni si appresta a commemorare la strage. Nel 38° anniversario dell’assassinio, alle 8,30 verrà deposta una corona davanti al busto dedicato al generale Dalla Chiesa, presso il Comando Legione Sicilia, dove sarà presente, tra gli altri, il generale di corpo d’Armata Giovanni Nistri. Alle 9,30 in via Isidoro Carini, luogo del tragico evento, verranno deposte corone d’alloro dalle autorità civili e militari. A seguire in cattedrale sarà celebrata una messa, officiata dall’arcivescovo Corrado Lorefice, in suffragio delle vittime innocenti ed in ricordo dell’azione del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa di contrasto al terrorismo, alla criminalità organizzata mafiosa e ad ogni forma di illegalità. Alla cerimonia sarà presente il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. La giornata commemorativa si concluderà alle 18 a Villa Pajno, con l'esibizione musicale della "Massimo Kids Orchestra" del Teatro Massimo. 

"Dalla Chiesa ha avuto un intento che era quello di riportare la legalità nella città di Palermo e soprattutto da prefetto della città, sia pure per pochi mesi, ha avuto la possibilità di incontrare tutti i sindaci e di dare un nuovo modulo operativo. Questa è l’attività svolta da Dalla Chiesa che nel corso di un lungo lavoro, anche da carabiniere, ha sempre trovato dei metodi operativi nuovi che poi ha utilizzato qui a Palermo, dove ha trovato la morte tragicamente a pochi mesi di distanza dalla morte di Pio La Torre", ha detto  il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese a margine della ricorrenza, a Palermo. 

«All’inizio degli anni Settanta, l’allora colonnello Carlo Alberto dalla Chiesa scriveva già parole attualissime sulla lotta a Cosa nostra», dice a Repubblica il generale Giuseppe Governale, il direttore della Direzione investigativa antimafia mentre sfoglia il "Rapporto dei 114". «All’epoca, guidava la Legione di Palermo, e metteva in risalto la necessità di confiscare i beni e i capitali mafiosi, "specie quando – diceva alla commissione parlamentare antimafia – si è avuta notizia di trasferimenti o investimenti all’estero di capitali illecitamente acquistati».«Subito dopo l’omicidio del procuratore della Repubblica Pietro Scaglione, era il maggio del 1971, dalla Chiesa si presentò in procura per promuovere un’attività interforze. In questo stava la sua modernità- continua -. A quel rapporto, che fotografava le trasformazioni dell’organizzazione mafiosa, lavorarono mastini della lotta alle cosche come il colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo, poi ucciso nel 1977, e il commissario di polizia Boris Giuliano, assassinato nel 1979. Dalla Chiesa credeva così tanto nell’approccio interforze che poi lo propose anche nella lotta al terrorismo». E conclude: «Arrivato a Palermo da prefetto all’indomani dell’omicidio del segretario del Pci Pio La Torre, pronunciò parole toccanti sul concetto di potere. Era il primo maggio. Disse che sarebbe stato bello "poter convivere, potere essere sereni, poter guardare in faccia l’interlocutore senza abbassare gli occhi, poter guardare in viso i nostri figli e i figli dei nostri figli, senza avere la sensazione di doverci rimproverare qualcosa". Nelle sue parole, rivolte ai neo cavalieri del lavoro, potere era servizio. Aveva già iniziato il suo percorso di coinvolgimento della società civile in quei giorni difficili. Poi, incontrò gli studenti. Perché non ci può essere lotta alla mafia senza il coinvolgimento delle giovani generazioni».



 RITA DALLA CHIESA RICORDA:  IL MIO VALZER CON PAPA' 

"Ricordo, una sera, che eravamo al Circolo Ufficiali, e mio

padre mi chiese di ballare. Finalmente era solo il mio papà, non

il generale dalla Chiesa. Ballammo un valzer, Sul bel Danubio

blu, e io ero felice. Lui con la sua divisa di gala, e io con un

abito lungo giallo pastello. La foto di quel valzer per me,

rappresenta tante cose. Soprattutto una spensieratezza che non

era certo la nostra compagna di vita». Esce oggi il libro che

Rita dalla Chiesa dedica a suo padre 'Il mio valzer con papà «

(edito da RAI LIBRI 16 euro) e sarà presentato a Pordenonelegge

(il 19/9), con memorie, aneddoti e racconti intorno al padre, il

prefetto Carlo Alberto, figura simbolo della lotta delle

istituzioni italiane contro terrorismo e la criminalità

organizzata, vittima 38 anni fa, il 3 settembre 1982,

dell’agguato in cui persero la vita anche la moglie Emanuela

Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo. «Per la prima

volta - racconta la figlia e autrice del volume - raggiunta

dall’ANSA al telefono non sarò presente alla commemorazioni a

Palermo per via dell’emergenza covid - non vedo i mie fratelli

da mesi, Nando e Simona, che vivono rispettivamente a Milano e

Catanzaro, ma sono una persona che rispetta le regole e questa

pandemia confesso mi ha un pò spaventata, dovremmo tutti essere

più responsabili nel rispetto della salute del prossimo».

Nella foto lei è bellissima «avevo 18 anni anche papà con la

sua divisa con la giacca bianca e le onorificenze, alto

affascinate. Piaceva alle donne perché le rispettava, era un

gentiluomo».

Come è nata la scelta di scrivere questo volume? ricorrono

anche i 100 anni della nascita di suo padre (il prossimo 26

settembre Ndr)?

"Non avevo in verità - sottolinea - nessuna intenzione di farlo,

pensavo che quello che c'era da scrivere era già stato

ampiamente affrontato dai libri di mio fratello e da mia

sorella. Poi la Rai me lo ha chiesto perchè ci teneva ad avere

una ulteriore testimonianza su mio padre, un ricordo a 360 gradi

ma più intimo, perchè è stato un uomo tanto apprezzato in questo

paese. E così incerta mi sono messa davanti al computer: per

incanto le parole sono scivolate via velocemente, i ricordi

riaffioravano tutti, immagini, foto di una vita era come un file

che stava lì nella mia testa, scrivevo e le parole non mancavano

mai. Guardavo attraverso la scrittura il film della mia

adolescenza, l’inizio dell’età adulta fino al quel giorno buio e

brutale, che non smette di fare male. Oggi ero in ascensore e mi

sono ricordata le sue telefonate».

Ecco allora i ricordi di bambina cresciuta con la famiglia in

una caserma dell’Arma cambiando spesso città. L’adolescenza

ribelle e il non saper stare troppo «nei ranghi». Il varcare la

soglia dell’età adulta fatta di nuove consapevolezze.

«Le occasioni intime di stare insieme - confessa l’autrice e

conduttrice tv erano in effetti rare - ma sono scolpite nel mio

cuore». Il ritratto commosso, orgoglioso, tenero e vivido, di un

uomo che ha incarnato il senso della giustizia e della capacità

di lotta contro le diverse forme del male sociale. Ma,

soprattutto, l’omaggio di una figlia che ha perso tragicamente

suo padre, strappato troppo presto all’affetto suo e dei suoi

fratelli.

Sono le 21.15 di venerdì 3 settembre 1982 quando, in un

agguato a Palermo, il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa e la

moglie Emanuela Setti Carraro vengono freddati a colpi di

kalashnikov, insieme all’agente di scorta Domenico Russo. Lei

Rita in tutti questi anni oltre al dolore e al ricordo si sarà

fatta delle domande? «Tante. Penso che mio padre una morte

dignitosa non l’ha avuta, l’hanno ammazzato lasciando lui, la

moglie e Domenico in macchina. Sono convinta che che se avesse

avuto ancora i suoi carabinieri del nucleo creato da lui, uomini

non collusi, vicino non sarebbe successo quello che è successo.

Penso si sarebbe salvato Erano persone fidate, erano uomini che

non lo avrebbero perso d’occhio». I proventi del libro andranno

agli «orfani dei militari dell’Arma dei Carabinieri, l’Onomac

"penso sia giusto, perché contrariamente a me e ai mie fratelli

che abbiamo avuto la possibilità di andare avanti nella vita, ci

sono tanti bambini rimasti senza un genitori. E mi piace pensare

che da un ricordo su Papà nasca un segnale di speranza proprio

per i più giovani».


 di Angelo Meli

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