Palermo abbraccia la Von Trotta, regista con la città nel suo cuore

Cultura | 17 aprile 2015
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Sullo schermo Carla Gravina presta quei suoi grandi occhi azzurri, simbolo di un coraggio che ha bisogno dell'innocenza più che dell'ingenuità, allo sguardo di tante donne che abbiamo visto solo singhiozzare nei tg: «Lei ha gli occhi antimafia", le dirà con una carezza e un sorriso, al termine della proiezione e del dibattito piuttosto agitato, la vedova del magistrato Costa. Con lei, Rita, saliranno sul palco Giovanna Terranova, Gina Saetta, Rosaria Schifani. In quel marzo 1993, un giovedì sera, al cinema King, in prima visione assoluta, si presentava l’ultimo film di Margarethe von Trotta, «Il lungo silenzio»: sullo schermo la Gravina e Jacques Perrin, con le loro belle facce da adolescenti appena invecchiati e sempre capaci di sperare e di credere nella cause giuste, magari perse, degli adolescenti. Lui, Perrin, è un magistrato, che solo per aver fatto la scelta di essere onesto, è costretto a diventare un eroe. Lei, la Gravina, sua consorte sullo schermo, interpreta le mogli dei magistrati e dei poliziotti uccisi. Un film, quello, sul diritto delle donne a morire per un'idea, un film che parlava di mafia senza spettacolarizzarla, interessato più alla sofferenza interiore che al gesto violento. Un film che faceva brillare la possibilità di ricominciare a far politica senza dimenticare l'etica. Oggi sappiamo come è andata a finire.

Ventidue anni dopo Margarethe von Trotta è a Palermo perché domani (ore 15.30, Aula consiliare) riceverà la cittadinanza onoraria di Palermo, mentre dal pomeriggio a domenica 26 aprile, il Goethe-Institut e il Comitato PiùdonnepiùPalermo - con il sostegno dell'Assessorato alla Cultura del Comune - le dedicheranno una retrospettiva dal titolo «Le donne di Margarethe». «Per me è un tale onore avere la cittadinanza di Palermo che non riesco neppure a crederlo. Perché questo riconoscimento a una berlinese come me?», dice la regista al telefono da Parigi.

Signora, il sindaco Orlando ama la Germania e conosce anche il tedesco, sa?

«Davvero? Non lo sapevo, allora lo farò parlare per controllare il suo accento. Sarà di sicuro migliore del mio quando uso l'italiano: la cadenza tedesca non è bella in nessuna lingua».

Nel 1993 venne a Palermo con Felice Laudadio, che aveva scritto il film: «L'ho voluto con me anche questa volta, sarà qui con la moglie Orsetta Gregoretti». «Il lungo silenzio» è film «fatto tacere» in fretta per interrompere un silenzio ancora più lungo: «Me la ricordo quella sera, eccome. Il tassista che condusse me e Felice al King ci raccontò che quel cinema era stato incendiato due volte dalla mafia perché il proprietario si era rifiutato di pagare il pizzo». «Speriamo che non succeda stasera», commentammo noi. C'erano, in quella sala, le vedove di uomini trucidati dai killer, una serata di grande commozione. Dopo le stragi del '92, ancora sotto choc, io e Felice ci chiedemmo: cosa possiamo fare per mostrare la nostra vicinanza, la nostra tristezza? Siamo gente di cinema, era logico pensare a un film».

In un'epoca, la nostra, in cui la calligrafia fa premio sulla scrittura, l'eleganza formale sulle emozioni, lei sceglie sempre la scrittura, le emozioni e perfino la passione. Le parole che dice, per come le dice, le somigliano: sono pensate ma non ricercate. È allegra, senza sospetti, diffidenze, difese. Continua a nuotare nel suo mare di ricordi palermitani: «Sono stata a Palermo uno o due anni dopo la caduta del Muro di Berlino per una lezione, ospite in un bellissimo palazzo. A un certo punto ho visto un bell'uomo con i baffi: l'ho indicato alla persona che era con me che mi ha risposto: "Ma come, non lo conosci? E' Massimo D'Alema". No, non lo conoscevo. Ho girato la Sicilia e Palermo con la mia amica, la documentarista Monica Mauro, che è ancora qui con me: vogliamo vedere com'è cambiata la città. Allora abbiamo provato una grande gioia: Palermo è bellezza, fascino». Un avvertimento (che non piacerà a molti): dovrà scansare cantieri e immondizia: «Mi dicono che la città è un po' malandata. Voglio vedere se ha conservato il suo charme».

La rassegna dedicata alla regista tedesca ha un titolo che racchiude la sua carriera, «Le donne di Magarethe»: «In oltre quaranta anni di attività, Margarethe von Trotta non ha mai ceduto alle seduzioni dell'industria cinematografica. Il suo cinema è politico, nel senso più alto, non ideologico, né consolatorio. Non è un caso se l'universo che ha voluto raccontare sia costellato da donne irriducibili ai cliché», affermano le curatrici del programma Pina Mandolfo e Heidi Sciacchitano. «Un bel titolo» ride la regista, che nella sua carriera ha un po'… trascurato gli uomini. «Solo dopo il "Leone d'Oro", "Anni di piombo" è stato considerato un film e non, come i precedenti, il film di una donna. Come fosse un genere, un giallo, un western. Ma io sono contentissima di essere donna». Ci ha raccontato i legami tra sorelle, lei che ha scoperto tardi di averne una: «Le donne mi piacciono, tutti dicono che l'amica del cuore può essere solo una, io a scuola ne avevo almeno cinque. Sto bene con loro mentre dagli uomini mi sento giudicata e limitata». Tra le sue protagoniste ci sono terroriste come Gudrun Ensslin, di «Anni di piombo», rivoluzionarie come Rosa Luxemburg del film omonimo, poi la più rivoluzionaria di tutte, per il suo tempo, Hildegard von Bingen, badessa benedettina medievale di «Vision», e «Hannah Arendt», filosofa, una donna eccezionale coraggiosa e controversa: «Donne che usano quel dono che è il pensiero in modo indipendente. Donne di idee, di pensieri ricchi. Quando ho cominciato non erano tante quelle che avevano la possibilità di esprimersi. Eravamo femministe, era quasi un dovere parlare di donne». Lei, fin da bambina, dalla mamma ha ottenuto il diritto di esprimersi anche sulle «cose da uomini»: ecco perché non è mai impaurita. Ma delusa, sì: «Negli anni '70 abbiamo sperato, anche troppo, e poi è arrivata la delusione. Ma noi andiamo avanti, guai a rassegnarci: up and down, dicono gli inglesi. Sono troppo vecchia per farmi scoraggiare, "Anche se muoio domani, oggi pianto ancora un albero", ha detto Lutero. E io, per una volta, lavoro a una commedia, la scrive la mia co-autrice americana che ha uno spirito alla Woody Allen». E pianta così il suo albero. 

 di Antonella Filippi

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