Ora gli autoassolti azzannano le leggi

Politica | 13 giugno 2015
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La classe politica italiana è specializzata nel seppellire la questione morale sotto un mucchio di ipocrisia. O facendo finta di niente o rinviando ogni intervento alla fine del processo penale. Di fatto perennemente autoassolvendosi. Ma la specie politica dell' autoassoluzione ha subito un' evoluzione degenerativa. È accaduto con le feroci polemiche che hanno segnato la pubblicazione della lista dei cosiddetti " impresentabili". La vicenda comincia il 23 settembre, con l' approvazione da parte della commissione Antimafia - consenzienti tutte le forze rappresentate -di un Codice di autoregolamentazione, con indicazione dei criteri in base a cui individuare le fattispecie da ricomprendervi. L' obiettivo era di far assumere alla politica il ruolo centrale di garante anticipato della collettività. Conseguentemente si reputava necessario verificare la rispondenza della composizione delle liste elettorali alle prescrizioni del Codice. Nelle Regionali le liste sono depositate 30 giorni prima del voto, per cui la commissione non poteva cominciare prima il lavoro di verifica. Esso ha interessato circa 4. 000 posizioni ed è avvenuto incrociando i contributi delle Prefetture, della Procura nazionale antimafia e della banche dati giudiziarie. All' esito della verifica, l' on. Rosy Bindi, presidente della commissione, ha comunicato una lista di nomi, definiti dai media " impresentabili". Subito si è scatenata una velenosa tempesta di attacchi sfrenati, con un crescendo sempre più cupo. Eppure, a me sembra che la Bindi abbia semplicemente applicato le regole che la stessa Commissione aveva fissato, operando con tempi dettati dalle circostanze obiettive e non da scelte in qualche modo discrezionali. Dunque la politica non si limita più ad autoassolversi di fronte all' accusa di irregolarità nella condotta di questo o di quello, evitando -con l' autoassoluzione -antipatiche iniziative di " bonifica". Con il caso Bindi la politica è arrivata al punto di azzannare quella parte di sé che -facendo il suo dovere -osa applicare le regole date perché l' opinione pubblica sia informata di presenze " opache " nelle liste elettorali. Di qui la degenerazione : che consiste nel sostenere apertamente -senza pudore -come le ragioni della politica debbano prevalere su quelle del diritto. NESSUNA forza politica, ormai, resiste -se qualcosa la tocca -all' attrazione fatale di evocare un fantomatico scontro con i custodi delle regole, come se si trattasse di due fazioni contrapposte, animate da differenti interessi. Esattamente quel che è successo anche nel caso Bindi, contro la quale è stata persino scagliata l' infamante e inverosimile accusa di aver agito per un regolamento di conti interno al Pd, facendosi portavoce di una fazione in cerca di rivincita dopo che le vicende del partito l' avevano emarginata. Contro la Bindi sono state persino presentate -con il corredo di sdegnate conferenze stampa -denunzie penali che non definire temerarie e infondate è davvero impossibile : perché se la Bindi si è mossa nel perimetro dei suoi doveri, di rispetto delle regole stabilite, non può esservi reato né sotto il profilo obiettivo né sotto quello soggettivo -e poi perché in ogni caso la Costituzione (art. 67) pacificamente esclude, nel caso di specie, che si possa essere chiamati a rispondere di opinioni espresse e di voti dati nell' esercizio delle proprie funzioni istituzionali. Per cui le denunzie penali presentate e / o minacciate sono più che altro mezzi di lotta politica spregiudicata, posti in essere da chi le regole sembra considerarle un paio di zoccoli da usare quando servono, ma da gettare (possibilmente in testa al " nemico") non appena risultassero scomodi.
 di Gian Carlo Caselli

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