Opportunità e trappole dell'e-democracy
Approcciare, da profano, il tema dell'e-democracy obbliga innanzitutto ad alcune definizioni, per forza di cose assai semplificate. Cos'è la democrazia? Tra le innumerevoli definizioni, scelgo quella di Amartya Sen, il quale l'ha definita “governo per mezzo del dibattito” ed ha contestato che essa possa essere intesa “in termini di urne ed elezioni anziché inquadrarla nella prospettiva più ampia del governo per mezzo del dibattito”. In questo senso, il premio Nobel indiano supera l'idea che la democrazia sia un prodotto esclusivo della cultura occidentale e ne afferma il valore universale, rintracciandola anche in esperienze asiatiche ed africane”[1].
Naturalmente la democrazia ha bisogno per essere praticata di strumenti che assicurino la partecipazione e la rappresentanza degli interessi di gruppi e classi sociali . Nella concreta esperienza delle democrazie occidentali, l'evoluzione delle forme di rappresentanza riguarda innanzitutto la vicenda dei partiti politici che sono i canali attraverso cui vengono selezionati e scelti i candidati alle cariche pubbliche. E' opinione diffusa che la crisi attuale della democrazia sia innanzitutto crisi della rappresentanza e perciò, innanzitutto, crisi degli strumenti di costruzione del consenso, i partiti politici. Nell'evoluzione dalla democrazia dei notabili, alla democrazia dei partiti, a quella che viene chiamata democrazia del pubblico si è infatti smarrito il filo che lega rappresentanti e rappresentati[2] In Italia la democrazia del pubblico coincide con l'affermazione del partito personale inventato da Berlusconi, ma progressivamente- seppur in forme diverse – imitato dal complesso delle forze presenti nel sistema politico.
Con una singolare antinomia, la sinistra italiana ha demonizzato la personalizzazione del comando proprio mentre la praticava, con la distorsione di prospettiva descritta dal politologo napoletano Mauro Calise “Da un lato i post comunisti non erano preparati a gestire in prima persona...il passaggio dalla leadership interna a quella che si innestava sul governo ...al tempo stesso l'incrocio con un pezzo d'élite democristiana superstite non poteva che rafforzare la tendenza ad andare avanti secondo il modello con cui la DC per quarantanni aveva gestito il potere : con la legge – e il pugno di ferro- dell'oligarchia”.[3] Come fa notare Diamanti, la democrazia del pubblico è stata coinvolta e trasformata dalla profonda innovazione dei mezzi di comunicazione e dall'avvento della Rete[4].
Da qui nasce il modello di partecipazione politica che ha condotto al successo di Beppe Grillo, pur con la contraddizione- sulla quale conviene riflettere- che lo vede arretrare di diverse decine di punti percentuali nelle competizioni locali e regionali rispetto agli appuntamenti politici nazionali. Il nodo più complesso riguarda la possibilità di dare concreta attuazione alla democrazia deliberativa, che richiede per le decisioni politico-amministrative- la formazione di assemblee alle quali possa partecipare ogni cittadino. Può, in una società complessa come la nostra, essere la Rete lo strumento per realizzare quest'antica e mai sopita aspirazione?[5] Qual è il nesso di causalità tra i nuovi media, in particolare gli strumenti di interazione a distanza resi disponibili da Internet e l'evoluzione della vicenda politica?[6] E' interessante, a tal proposito la tesi di un giovane studioso di origine bielorussa, Evgeny Morozov, che sottolinea la necessità di cautela nell'attribuire ad Internet il successo grillino, che avrebbe a che fare con “i problemi strutturali della politica e dell'economia italiane, più che con le trasformazioni rivoluzionarie suscitate da Internet”.[7] A conferma del fatto che la e-democracy non appare capace di eliminare e sostituire le altre forme di partecipazione, basti ricordare che Podemos, il partito spagnolo che i sondaggi danno in continua crescita, ha realizzato primarie aperte per le candidature alle elezioni ed interessanti esperimenti di democrazia elettronica (nel giro di pochi mesi ha ottenuto un numero di followers sui social media nettamente superiore a quello delle altre formazioni politiche), ma contemporaneamente mantiene una rete di oltre 400 circoli locali realizzando una sorta di triangolazione tra televisione, Rete e territorio..
Ciò che qui interessa è la capacità dei nuovi media ed in particolare della Rete, di influenzare linguaggi e comportamenti della politica; torno perciò alle definizioni per ricordare che Internet è una risorsa in cui predomina la casualità, dato che nessun centro decisionale l'ha mai programmata e che essa si presenta come il paradigma di un modello di democrazia nuova, senza riferimenti al centro, non più riconducibile alla forma dello Stato-nazione ma neanche alla forma globale di decisione. Insomma la democrazia elettronica origina dal nuovo ambiente elettronico ogni volta che l'agire collettivo diventa agire politico e attraverso le diverse pratiche partecipative gli attori sociali cercano di influenzare i processi politici e di governo. [8] Qualche autore individua nei nuovi media la realizzazione dello zoon politikon di Aristotele, cioè addirittura “la riunificazione tra “politica e socialità.. così che i partiti si sono ritrovati a spartire la politica con la socialità diffusa perdendo, forse definitivamente, il controllo monopolistico dello spazio pubblico a favore di un popolo nuovo che avoca a sé spazi crescenti di autodeterminazione”[9] La visione a me pare eccessivamente ottimistica e sottovaluta limiti e rischi di un processo che si è evoluto in modo disordinato; tuttavia essa segnala giustamente l'importanza crescente della Rete nell'attivazione di importanti processi politici e movimenti di massa. Non a caso la primavera araba segnò il momento nel quale la e-democracy si affacciò all'attenzione dell'opinione pubblica mondiale.
Mi limiterò ad alcune osservazioni riguardanti l'argomento specifico, anche se ad oltre tre anni di distanza sarebbe utile una riflessione approfondita su quegli eventi. Gli attentati di Parigi e Copenaghen e l'avanzata dell'Isis fino alla vicina Libia ne rappresentano l'esito? Chi lo sostenesse peccherebbe, a mio avviso, di miopia, non coglierebbe lo scontro in atto nel mondo islamico e rischierebbe di consegnare alla necessità di regimi “forti”, come purtroppo nella vicenda egiziana, movimenti e tensioni assai più complessi. Ritengo perciò abbia ragione lo storico Giuseppe Giarrizzo quando afferma che “la vera minaccia dell'Isis non è ideologica, religiosa, di califfato universale, ma consiste nell'assunzione della bandiera e dei simboli da parte di etnie, fazioni tribali, associazioni criminali”[10], cui va aggiunta la condizione di crescente insofferenza tra le fasce estreme delle seconde e terze generazioni di immigrati musulmani nelle periferie delle metropoli d'Europa. Quanto al rapporto tra la primavera araba e i nuovi media, è stato sottolineato che in paesi caratterizzati da regimi autoritari, la diffusione attraverso Internet di idee critiche verso il potere ebbe un ruolo decisivo .[11] Internet, i telefoni cellulari, e le applicazioni di social networking avevano trasformato la politica in tutto il Nord Africa e il Medio Oriente, ma l'uso delle tecnologie non si collocò nel vuoto.
Esisteva una larga rete di attori della società civile: molti gruppi furono spinti on line perché altre forme di comunicazione politica risultavano inaccessibili; in secondo luogo Internet consentiva di essere ospitati su server al di fuori dei controlli dei censori di stato e garantiva l'anonimato a coloro che esprimevano critiche. La primavera araba trova il suo maggior sviluppo in paesi governati da regimi autoritari di lunga durata, nei quali il deficit di democrazia delle istituzioni e l'arretratezza delle infrastrutture tradizionali, era stata in qualche modo compensata da un rapido sviluppo di Internet che, tra l'altro, per le sue caratteristiche sfuggiva al controllo statale. Ma c'è anche un motivo economico dietro la diffusione di Internet: il crollo dei costi. Nel 2000 il residente medio del Cairo avrebbe dovuto spendere un quarto del suo reddito giornaliero per un'ora di accesso in un cyber cafè; nel 2010 un'ora di accesso costava solo il 5% del reddito medio giornaliero dello stesso abitante della capitale egiziana . I protagonisti dei movimenti sono in genere giovani imprenditori, lavoratori dell'amministrazione pubblica, gruppi femminili, soprattutto classi medie urbane.
Anche se una porzione relativamente piccola della popolazione generale di quei paesi ha un accesso Internet, la porzione che sta in rete è politicamente assai significativa: gli utenti della rete sono la parte più avanzata socialmente e le elìtes più colte. Sono in genere giovani e vivono nelle città capitali e nelle aree urbane e tendono ad essere tra i più politicamente attivi. La tavola 1.1, tratta dal volume di Howard e Mussain, compie un'interessante comparazione tra durata dei regimi autoritari, ampiezza della società civile, età media della popolazione e livello delle proteste e risultati politici. Leggendo la parte inferiore della tabella, non risulta difficile stabilire una correlazione tra durata dei regimi e collasso sotto la spinta dei movimenti di massa della “primavera”. Le condanne all'ergastolo inflitte all'inizio di febbraio di diversi dissidenti, tra cui Ahmed Douma portavoce della Coalizione dei giovani della rivoluzione e del movimento di piazza Tahir, testimoniano quanto l'ascesa al potere dei fratelli musulmani prima e il pronunciamento dei militari che ha portato l'elezione alla presidenza di Al Sisi, dopo, abbiano frustrato il tentativo delle forza laiche egiziane di costruire una vera democrazia nel più grande paese arabo del Medio Oriente. Anche al Cairo, come in altri paesi arabi, la borghesia laica e progressista e i giovani che avevano costruito la rete dei bloggers che animò e sostenne la grande mobilitazione della “primavera” sono finiti schiacciati nello scontro tra radicalismo religioso e restaurazione militare. Temo, purtroppo, che la “quarta ondata della democrazia” non sia una profezia destinata ad avverarsi nel breve periodo. Infine, l'esperienza americana.
Alcuni studiosi hanno evidenziato come l'uso delle tecnologie digitali di rete per modellare le politiche pubbliche sia stato accolto generalmente con incredulità da molti politici, funzionari pubblici di alto livello e cittadini. Per contro, ancora la De Rosa ci ricorda che Obama ha puntato sulla costruzione di un legame tra candidato ed elettore in Rete che ha notevoli tratti di originalità.[12] Un'originalità che si tradusse anche in innovative iniziative dell'Amministrazione di Washington. Nel primo anno di governo dopo l'elezione (2009) la nuova Amministrazione sviluppò i suoi impegni per la e-democracy su una varietà di fronti. Sul fronte della trasparenza fu creato un Website Usa spending.gov per permettere al pubblico di seguire le tracce della spesa governativa con una facilità senza precedenti, ma la maggiore innovazione fu un nuovo ITDashboard che permetteva alla pubblica opinione di essere informata sui dettagli degli investimenti federali in tecnologie informatiche Nel maggio 2009 fu lanciato Data.gov per espandere l'accesso pubblico ai dati governativi di ogni genere. In termini generali, lo sforzo più ambizioso dell'amministrazione puntava ad una consultazione on line con il pubblico per sviluppare le policy amministrative sull'apertura e la trasparenza del governo. In conclusione, e-government ed ICT affiancano e diventano elemento sempre più centrale della pubblica amministrazione sia negli USA che in Europa, ma anche nei paesi emergenti e – inaspettatamente- in alcuni dei paesi più poveri del mondo.
[13] Non di democrazia deliberativa si tratterebbe in questo caso, ma di “a new and inclusive form of many-to-many public dialogue”.[14] Nell'esperienza americana è l'e-government che si accompagna a qualche gradazione di e-democracy. Quest'ultima, qualche volta definita democrazia digitale o cyberdemocrazia, riguarda la progettazione e l'uso di informazioni digitali e tecnologie della comunicazione per rafforzare la pratica democratica. Un certo ottimismo per il potenziale democratico di Internet sembra garantito non solo in ragione della disponibilità di nuovi strumenti, ma anche perché un gran numero di persone stanno adottando i comportamenti dei nuovi media che sono generalmente indirizzati alla partecipazione e quindi si stanno impegnando nella sfera pubblica in una maniera che potrebbe condurre ad una più profonda cultura democratica.[15] Internet potrà costituire una base tecnologica per una visione più deliberativa e per una cittadinanza attiva e le consultazioni on line sono un'esperienza che comincia a diffondersi, anche se attraggono ancora un numero relativamente piccolo di partecipanti. Va qui ricordato che le consultazioni on line vanno prendendo piede anche in Europa e sono diventate prassi comune per le decisioni ed i programmi lanciati dalla Commissione Europea. Anche nella dimensione nazionale il ricorso alla consultazione on line comincia a farsi meno raro, come quella recentemente proposta dal governo nazionale sull'agenda digitale. Il rischio è che, qualche volta, questo metodo possa essere utilizzato per saltare i momenti di confronto di merito con i corpi intermedi e le rappresentanze sociali, come è accaduto per la riforma della pubblica amministrazione italiana. A dimostrazione, ancora una volta che la tecnologia è sempre buona; cattive sono a volte le intenzioni di chi la utilizza.
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[1]A. Sen “L'idea di giustizia” 2009 edizione italiana 2010 pagg.328 e sgg.; ma sull'evoluzione della democrazia vedi anche J. Dréze, A. Sen “Una gloria incerta” pag 257
[2]E' il modulo interpretativo proposto da I. Diamanti, “Democrazia ibrida” 2014 “Negli ultimi trent'anni subentra- e si afferma – la democrazia del pubblico. I partiti si riducono a comitati di dirigenti e funzionari....per mantenere il consenso attribuiscono spazio crescente alla personalizzazione ed alla comunicazione, mentre le identità collettive si indeboliscono e vengono compensate dalla fiducia personale diretta.” pag 8
[3]M. Calise “Fuorigioco” 2013
[4]I. Diamanti, cit. “ I nuovi media in particolare hanno permesso ad esperienze locali e sociali periferiche di connettersi al di fuori del controllo verticale dei soggetti politici e dei media tradizionali.
[5]Nell'assemblea i cittadini vengono informati da esperti riguardo al problema in gioco e discutono tra loro. Almeno in teoria, una decisione può essere presa solo quando tutti i partecipanti trovano un accordo. In alcuni paesi del Sud America questo tipo di democrazia viene utilizzata per la gestione delle amministrazioni locali. La teoria è fondamentale per Habermas e Mortati, ma è presente anche nel pensiero di John Rawls, John Dewey e Hanna Arendt (fonte Wikipedia consultata il 18/02/2015 alle 00,46
[6] M. Calise, cit. individua la causa del successo del comico genovese nel fatto che “accanto al circuito di comunicazione orizzontale peer to peer, tipico del web 2'0, l'altro canale del M5S è top down . Fa perno sul leader, sulla sua gestione del sito ma anche...sulla sua straordinaria capacità di arringare...le piazze” pag 40
[7]Repubblica.it, 5/3/2013 intervista di Raffaella Menichini
[8]Berardi 1996 citato da Rosanna De Rosa
[9]R. Di Rosa, Cittadini digitali. L'agire politico ai tempi dei social media 2014
[10]La Sicilia, 17/2/2015
[11]P. N. Howard e M.M. Mussain “Democracy's fourth wave? Oxford 2013 “The early months of the Arab Spring were not about traditional political actors such as unions, political parties or radical fondamentalists. These protests drew out network of people, many of whom had not been as successful at political organisation before: young entrepreneurs, government workers, women's groups, and the urban middle class”
[12]R. De Rosa, Cittadini digitali..., cit. “sia la campagna elettorale del 2008 che quella del 2012 evidenziano come la professionalizzazione della politica stia valicando nuovi confini nei quali le expertise richieste hanno caratteristiche di sofisticazione senza precedenti; e hanno dimostrato che le tecnologie possono essere calde, anzi caldissime e che la Rete è una Polis attraversata da forti legami di solidarietà, condivisione e voglia di progettualità”
[13]Chiara Spedicato, Tesi di laurea in Scienza delle Comunicazioni
[14]P. M. Shane, “On line consultations and political communication in the era of Obama” ING in on line consultations and public policy making. Scopo principale de
[15]Il Centro Universitario Americano per i nuovi media ha catalogato cinque di questi comportamenti: 1) scelta, ) 2) conversazione,3) cura, 4)creazione , 5) collaborazione
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