"Nostro padre, il carabiniere del Giorno della Civetta"

Cultura | 10 novembre 2016
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«Carissimo Nanà, ieri ho ricevuto il tuo Giorno della civetta e ne ho già letto una buona parte e in fretta, ché il racconto - questo bellissimo giallo vero - mi ha preso alla gola, come si dice». È il 6 maggio 1961, il mittente è Renato Candida, il destinatario l'«Illustre Signore Professore Leonardo Sciascia». Riecco il carabiniere di Sciascia, i suoi ricordi custoditi dalle tre figlie, Maria Luisa, Giuliana, Francesca e dalla moglie Fiorenza. «Peccato non avere più le lettere dello scrittore - lamentano -. Abbiamo subito tempo fa un furto, chissà dove sono finite».
Chissà quale «storia semplice» potrebbero suggerire.
Renato Candida, l' ufficiale che ispirò il capitano Bellodi di Il giorno della civetta , una rarità nell' Italia, nella Sicilia Anni 50. Perché non negava l' esistenza di Cosa Nostra, perché la combatteva, con l' uniforme e con la penna. Il bisturi in forma di libro con cui scalfì l' omertà su Questa mafia , apparso nel 1956, ritorna per i tipi di Salvatore Sciascia, l' editore originario (presentazione il 18 novembre al Polo del '900 di Torino, Museo della Resistenza). Torino non a caso. Da qui, il maggiore Candida, nel 1955, fu inviato a Agrigento, dove comanderà il Gruppo provinciale dei Carabinieri. Due anni e riapproderà sotto la Mole. Una sorta di «promoveatur ut amoveatur»? Secondo Sciascia, sì: «...il fatto è che appunto quel libro, che doveva apparire come una ragione per tenerlo ad Agrigento, sarà diventato ragione per allontanarvelo».
«Di sicuro - svela la figlia Giuliana - mio padre patì una profonda ferita. Nel 1964 fu messo a disposizione, praticamente condannato all' inattività. Non solo: lo si invitò, per conservare la pistola d' ordinanza, a prendere il porto d' armi e a pagare la relativa tassa. Lo Stato, di fatto, lo sfiduciava. Preferì smontare l' arma».
«Un uomo simpatico, aperto, spiritoso»: così Sciascia ricordava Candida, conosciuto nel '56. Il maggiore (che scomparirà nel 1988, con il grado di generale) aveva bussato alla sua porta con il manoscritto di Questa mafia . Grazie al maestro di Racalmuto sarà pubblicato di lì a poco. Era nata un' amicizia che si sarebbe rinnovata nelle stagioni. Giuliana non era ancora nata quando Candida andò in Sicilia. È Maria Luisa a ricordare quel tempo: «La domenica si andava a Noce, in casa Sciascia. Le famiglie vi trascorrevano il pomeriggio. L' erba era gialla. Io mi aggrappavo alle gambe di mio padre». Forse lo scrittore pensava a Candida quando evocava Contrada Noce: «...amici non siciliani, che a volte capitano a farmi visita, dicono bellissimo il luogo...».
Un' amicizia intensamente coltivata. Ecco i libri di Sciascia con dedica autografa: «Dal vecchio amico», «Con l' affetto di...», «Con la vecchia amicizia». Era la signora Giuliana ad accompagnare il padre da Platti, quando lo scrittore saliva a Torino: «Ma mi fermavo all' ingresso del Caffè, i loro vis-à-vis avvenivano all' insegna del massimo riserbo. Con Nanà mi intrattenni, ma a casa, durante una sua visita. Volevo laurearmi in Lettere su Leopardi, mi consigliò di leggere i moralisti francesi».
Torino, la città d' adozione di Renato Candida, nato a Lecce un secolo fa. Scomparso un anno prima di Sciascia. Forse - sospettano le figlie - da Sciascia accolto in Il cavaliere e la morte , con le sembianze del Vice, magrissimo, aggredito dal male.

Chissà in quale Caffè il capitano Bellodi e il suo autore, due uomini, due eccezioni nel gran mare di mezz' uomini, ominicchi, quaquaraquà, testimoniano l' intuizione di Tomasi di Lampedusa: «La cortesia piemontese e quella siciliana, le due più puntigliose d' Italia». (La Stampa)
 di Guido Quaranta

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