"Nostro padre, il carabiniere del Giorno della Civetta"
«Carissimo Nanà, ieri ho
ricevuto il tuo Giorno della civetta e ne ho già letto una buona
parte e in fretta, ché il racconto - questo bellissimo giallo vero -
mi ha preso alla gola, come si dice». È il 6 maggio 1961, il
mittente è Renato Candida, il destinatario l'«Illustre Signore
Professore Leonardo Sciascia». Riecco il carabiniere di Sciascia, i
suoi ricordi custoditi dalle tre figlie, Maria Luisa, Giuliana,
Francesca e dalla moglie Fiorenza. «Peccato non avere più le
lettere dello scrittore - lamentano -. Abbiamo subito tempo fa un
furto, chissà dove sono finite».
Chissà quale «storia
semplice» potrebbero suggerire.
Renato Candida, l' ufficiale che
ispirò il capitano Bellodi di Il giorno della civetta , una rarità
nell' Italia, nella Sicilia Anni 50. Perché non negava l' esistenza
di Cosa Nostra, perché la combatteva, con l' uniforme e con la
penna. Il bisturi in forma di libro con cui scalfì l' omertà su
Questa mafia , apparso nel 1956, ritorna per i tipi di Salvatore
Sciascia, l' editore originario (presentazione il 18 novembre al Polo
del '900 di Torino, Museo della Resistenza). Torino non a caso. Da
qui, il maggiore Candida, nel 1955, fu inviato a Agrigento, dove
comanderà il Gruppo provinciale dei Carabinieri. Due anni e
riapproderà sotto la Mole. Una sorta di «promoveatur ut amoveatur»?
Secondo Sciascia, sì: «...il fatto è che appunto quel libro, che
doveva apparire come una ragione per tenerlo ad Agrigento, sarà
diventato ragione per allontanarvelo».
«Di sicuro - svela la
figlia Giuliana - mio padre patì una profonda ferita. Nel 1964 fu
messo a disposizione, praticamente condannato all' inattività. Non
solo: lo si invitò, per conservare la pistola d' ordinanza, a
prendere il porto d' armi e a pagare la relativa tassa. Lo Stato, di
fatto, lo sfiduciava. Preferì smontare l' arma».
«Un uomo
simpatico, aperto, spiritoso»: così Sciascia ricordava Candida,
conosciuto nel '56. Il maggiore (che scomparirà nel 1988, con il
grado di generale) aveva bussato alla sua porta con il manoscritto di
Questa mafia . Grazie al maestro di Racalmuto sarà pubblicato di lì
a poco. Era nata un' amicizia che si sarebbe rinnovata nelle
stagioni. Giuliana non era ancora nata quando Candida andò in
Sicilia. È Maria Luisa a ricordare quel tempo: «La domenica si
andava a Noce, in casa Sciascia. Le famiglie vi trascorrevano il
pomeriggio. L' erba era gialla. Io mi aggrappavo alle gambe di mio
padre». Forse lo scrittore pensava a Candida quando evocava Contrada
Noce: «...amici non siciliani, che a volte capitano a farmi visita,
dicono bellissimo il luogo...».
Un' amicizia intensamente
coltivata. Ecco i libri di Sciascia con dedica autografa: «Dal
vecchio amico», «Con l' affetto di...», «Con la vecchia
amicizia». Era la signora Giuliana ad accompagnare il padre da
Platti, quando lo scrittore saliva a Torino: «Ma mi fermavo all'
ingresso del Caffè, i loro vis-à-vis avvenivano all' insegna del
massimo riserbo. Con Nanà mi intrattenni, ma a casa, durante una sua
visita. Volevo laurearmi in Lettere su Leopardi, mi consigliò di
leggere i moralisti francesi».
Torino, la città d' adozione di
Renato Candida, nato a Lecce un secolo fa. Scomparso un anno prima di
Sciascia. Forse - sospettano le figlie - da Sciascia accolto in Il
cavaliere e la morte , con le sembianze del Vice, magrissimo,
aggredito dal male.
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