Non dimentichiamoci dell’Afghanistan, aiutiamo un popolo affamato e disperato

Società | 22 gennaio 2022
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Il popolo dell’Afghanistan vive una delle più drammatiche tra le sue cicliche tragedie. Stretto tra il fanatismo religioso – gretto, retrivo, ossessivo – dei padroni talebani tornati al potere dopo venti anni nell’agosto 2021, tra il freddo dell’inverno, tra la crisi economica dilagante, tra la povertà galoppante. Non sono bastate le battaglie continue di decenni, le feroci lotte tribali, i capiclan ed i “signori della guerra”, il precipitoso e vergognoso ritiro di Usa ed Occidente dell’anno scorso. Ora, tanto per non farsi mancare nulla, imperversano la fame e il freddo per una popolazione allo stremo. Senza cibo, senza risorse, senza riscaldamento, a corto di aiuti e viveri. L’Afghanistan è travolto da una spaventosa crisi umanitaria.

Non dimentichiamoci degli afghani. Aiutiamo quelle popolazioni. I bambini, le donne, tanti poveri cristi ridotti come straccioni non possono pagare ancora una volta le colpe di politici, militari, capitribù, capiclan. Non possono pagare per gli scontri secolari tra etnie, per il fanatismo violento e medievale dei talebani ora di nuovo in sella al potere. Inviare aiuti alimentari e sanitari alle popolazioni afghane tramite le agenzie dell’Onu preposte e tramite le non molte Ong rimaste ad operare sul campo può comportare che gli aiuti vengano intercettati e dirottati per altri scopi o per propri tornaconti dal governo talebano? Può darsi. Del resto è noto che stiamo parlando di un paese nel quale la corruzione è sempre stata presente, radicata. Ma non abbiamo alternative se non vogliamo che quel girone dell’inferno che è diventato per i suoi abitanti l’Afghanistan sprofondi ancora di più trascinandosi dietro centinaia di migliaia o milioni di morti per stenti, malnutrizione e malattie. Bambini, donne, anziani e soggetti fragili in particolare. Ora che gli aiuti di governi e agenzie bancarie mondiali, con i fanatici talebani al potere, sono stati bloccati. Ora che investimenti e progetti di sviluppo sono stati riposti nei cassetti. Ora che persino la Cina e la Russia – che non spiccano per sensibilità e per essere paladine dei diritti umani nei loro interventi economico-finanziari in stati esteri – sono rimasti alla finestra a guardare in che mondo indietro di quattordici secoli in tema di costumi e di istruzione i nuovi governanti talebani hanno fatto ripiombare il loro popolo. Con i loro divieti alle adolescenti di studiare, alle donne di lavorare. Imprigionate in casa, obbligate per viaggiare e per gli spostamenti persino per le più banali esigenze domestiche o burocratiche o sanitarie per una visita medica a farlo solo se accompagnate da un uomo od un ragazzo della famiglia. E le donne vedove o che non hanno figli maschi? Provvedimenti deliranti. Roba da psicopatici da internare nei manicomi di una volta e non da tenere alla guida governativa ed amministrativa di una nazione di oltre 39 milioni di abitanti.

Per comprendere compiutamente il perché di questo appello a favore della popolazione afghana, per capire le ragioni che devono spingerci a mettere mano al portafoglio – nelle nostre famiglie, da parte dei ragazzi e dei giovani, nelle classi scolastiche, nei nostri uffici e luoghi di lavoro – è necessario aprire uno squarcio informativo sulla attuale situazione economica, sociale, umanitaria in quel disperato e disperante paese asiatico.

Lo facciamo – come siamo spesso soliti fare – componendo un mosaico di contributi, informazioni, reportage, notizie, dichiarazioni, appelli da parte di esponenti di agenzie umanitarie delle Nazioni Unite e di operatori di Organizzazioni non governative (Ong) che ancora, con particolare rischio e sacrificio, continuano ad operare nel territorio. A restare aperte a Kabul e nelle province.

Emerge un quadro aberrante di povertà, disagio, sofferenza. Al quale il demenziale potere dei talebani non solo non riesce a porre argine ma che piuttosto finisce per alimentare. I talebani, in altri termini, non costituiscono la soluzione del problema, ne sono una delle cause principali. Con la loro integralistica dissociazione dalla realtà pur di applicare regole coraniche che altri paesi islamici già da decenni se non da qualche secolo si sono lasciati alla spalle e divieti di ogni sorta. Dettati da una misoginia patologica che vede nella donna nulla più d’una nemica o d’una tentatrice. E, in fin dei conti, nulla più d’un oggetto di cui l’uomo dispone a piacimento nella società afghana. Quello che viene fuori, in breve, potrebbe tranquillamente intitolarsi “Afghanistan, diario dall’inferno”.


Afghanistan, l’inferno e l’inverno


Ci piace iniziare con “Emergency”, l’Ong fondata dal compianto Gino Strada. Rimasta ad operare con le sue strutture sanitarie nel paese. Scriveva il 29 novembre scorso “Emergency” in un suo comunicato (“Crisi umanitaria in Afghanistan: la situazione nel paese oggi”): “Il rischio di attentati e attacchi è ancora elevato. I bisogni della popolazione sono tanti, sono enormi: la crisi economica fa aumentare costantemente il prezzo dei beni primari, non c’è cibo a sufficienza e con l’inverno alle porte i più vulnerabili rischiano di morire di fame.

La movimentazione di farmaci e materiali verso il Paese è sempre più compromessa, il sistema sanitario sta collassando.

Non sembra esserci possibilità di pace per questo Paese, il popolo afgano non ha tregua.”

“Emergency” scrive senza mezzi termini di “disastro umanitario che sta per colpire il popolo afghano”.


Pochi giorni prima, il 22 novembre, “la Repubblica” aveva pubblicato un circostanziato articolo intitolato “Afghanistan, la crisi umanitaria s’aggrava: ora si muore anche di morbillo, mentre metà della popolazione è malnutrita e sarà un inverno di siccità” riprendendo quanto scriveva da Kabul l’agenzia “AsiaNews”: “Almeno 87 bambini in Afghanistan sono morti a causa di una epidemia di morbillo. Lo ha affermato una portavoce dell’Organizzazione mondiale della sanità, Margaret Harris, specificando che mancano i vaccini e che “per i bambini malnutriti, il morbillo è una condanna a morte”. Il direttore esecutivo del World Food Programme, David Beasley, aveva lanciato l’allarme già a fine ottobre: oltre 22 milioni di persone, la metà della popolazione afghana, di cui 3,2 milioni di bambini, sono a rischio malnutrizione acuta. Non è possibile sapere la diffusione del coronavirus, ma nonostante la popolazione dell’Afghanistan sia molto giovane, con un sistema sanitario già collassato e la malnutrizione dilagante, il numero di morti è destinato ad aumentare, avvertono fonti di “AsiaNews” nel Paese. Al momento le persone più a rischio sono gli sfollati interni: si tratta di 3,5 milioni di persone che hanno abbandonato le loro case durante i mesi dell’avanzata talebana; sono loro ora a morire con più frequenza nei campi profughi o nei loro spostamenti.

Quei 9 miliardi di dollari bloccati nelle banche USA. Quelli lanciati nei giorni scorsi non sono quindi generici appelli delle organizzazioni internazionali ad aiutare la popolazione afghana, la situazione umanitaria è veramente drammatica e legata a doppio filo allo stallo diplomatico ed economico. Il ministro degli Esteri dell’Emirato islamico Amir Khan Muttaqi ha inviato una lettera al Congresso americano chiedendo che vengano messe a disposizione le riserve della Banca centrale afghana bloccate nelle banche statunitensi, che ammontano a circa 9 miliardi di dollari. Muttaqi ha scritto che se non arriveranno aiuti dall’estero l’inverno sarà catastrofico.

Il dubbio: aiutare i talebani e quindi la popolazione, o no? Il governo statunitense non sa che cosa fare: aiutare i talebani per aiutare la popolazione vorrebbe dire finanziare un governo di fanatici che non hanno idea di come amministrare un Paese grande e complesso come l’Afghanistan. Proibendo alle donne di lavorare e vietando le transazioni in valuta straniera, i talebani non hanno fatto altro che complicare la situazione economico-finanziaria. E, come ha dimostrato ieri l’ennesimo attacco al quartiere sciita della capitale, gli “studenti coranici” non sono nemmeno in grado di arginare il problema dello Stato islamico.

Nessuno più vuole investire nello sviluppo. Nessun altra nazione al momento vuole investire nei progetti di sviluppo: i donatori temono di incappare nelle sanzioni delle Nazioni Unite perché i nuovi ministri dell’Emirato islamico sono personaggi ricercati per terrorismo o legati ad al-Qaida. I grandi donatori ora stanno quindi finanziando gli interventi di emergenza e di distribuzione di aiuti alimentari (come è giusto che sia in questo momento) ma se ci si dimentica di salvaguardare i mezzi di sussistenza delle popolazioni locali e la produzione di cibo a livello di Paese - dicono le fonti in loco di AsiaNews - fra un anno le persone che avranno bisogno di aiuti alimentari saranno il doppio di quelle attuali.

Ancora siccità e la dipendenza dalla Banca Mondiale. Si prevede un altro inverno secco, ed è un grosso problema per la produzione alimentare. L’irrigazione dei pascoli in primavera si basa sull’accumulo di neve nei ghiacciai durante l’inverno: se nevica poco adesso non ci sarà acqua per la coltivazione dei campi in primavera. Le imprese agricole locali, che dipendevano per almeno il 70% dai soldi del governo afghano e della Banca mondiale, rischiano di chiudere e così i progressi ottenuti in vent’anni di lavoro potrebbero venire spazzati via in poco più di un anno.

Tutto non fa che incoraggiare il terrorismo. Oltre al disastro umanitario, la crisi economica ha tutti i numeri per incoraggiare il terrorismo, ha detto ieri l’inviata delle Nazioni Unite per l’Afghanistan Deborah Lyons: “L’attuale paralisi del settore bancario spingerà una parte del sistema finanziario a favorire gli scambi informali di denaro, che a loro volta facilitano il terrorismo e il contrabbando di droga”, ha avvertito Lyons. “Questi problemi colpiranno l’Afghanistan ma poi si diffonderanno alla regione” ”.

Del 28 dicembre sul quotidiano fiorentino “La Nazione” un documentato articolo di Marianna Grazi intitolato “Afghanistan, conto alla rovescia per la catastrofe: la crisi sotto gli occhi del mondo” allarga ulteriormente l’analisi alla situazione politico-internazionale, sociale ed economica nel paese governato dai talebani. Un racconto che fa comprendere appieno quanto la situazione sia scoraggiante: “Attualmente la situazione lungo la frontiera con l’Afghanistan è motivo di inquietudine e di preoccupazione”, ha affermato il presidente russo Vladimir Putin durante un incontro con il suo omologo tagiko, Emomali Rahmon, in cui si è trattato, tra le altre cose, della situazione al confine tra i due Paesi mediorientali. Occhi puntati sullo Stato, quindi, non solo da parte dei Paesi vicini, ma anche di tutta la comunità internazionale, che osserva preoccupata il disgregarsi dei rapporti diplomatici con il governo di Kabul. Un lento –ma non troppo– declino che ha preso il via a metà agosto quando gli studenti coranici hanno invaso la capitale per (ri)prendere il controllo di un Paese le cui autorità non hanno saputo difendersi dopo la partenza annunciata degli Usa e dei loro alleati. Dalla caduta del presidente Ashraf Ghani, la pressione internazionale ha congelato i fondi delle autorità afghane all’estero e ha posto come condizione per gli aiuti umanitari la messa in atto di progressi significativi in materia di inclusione e diritti umani, in particolare per quanto riguarda le bambine e le donne afghane. Proprio queste ultime, il 28 dicembre, sono tornate a protestare lungo le strade di Kabul, chiedendo lavoro, cibo, istruzione e migliori condizioni di vita sotto il dominio dei talebani.

I bambini sono tra le principali vittime della crisi umanitaria che sta colpendo l’Afghanistan

Perché di progressi, finora, non se ne sono visti, nonostante le promesse, ma anzi la situazione appare drammatica: quando si torna a parlare di Afghanistan quelle che si riportano sui media di tutto il mondo sono spesso storie strazianti che raccontano di bambine e bambini che pagano il prezzo più alto in un Paese ridotto allo stremo. A quattro mesi dalla presa della Capitale la nazione si trova nel bel mezzo di una delle peggiori crisi umanitarie a livello mondiale: distrutta dal punto di vista economico e sociale a causa di un repentino rialzo dell’inflazione e dalla preoccupante scarsità dei beni di prima necessità, ad aggravare il tutto ci sono servizi minimi non garantiti, stipendi per i dipendenti che non arrivano anche per mesi e le casse dello Stato ormai vuote.

A ottobre la Fao aveva lanciato l’allarme su quello che sarebbe successo a partire dal mese dicembre: con l’arrivo dell’inverno il 55% della popolazione, ovvero quasi 23 milioni di persone, si sarebbe trovato ad affrontare pesantissime carenze alimentari, oltre al fatto che circa 3 milioni di minori sotto i cinque anni stanno già soffrendo di malnutrizione acuta. Se alla fame si aggiunge l’abbassamento delle temperature il risultato potrebbe essere la morte di circa un milione di persone: il numero più alto mai registrato nei 10 anni in cui l’Onu ha iniziato a monitorare la situazione in Afghanistan. Per questo diventano di vitale importanza gli interventi umanitari. David Beasley, Direttore Esecutivo del Programma alimentare mondiale (WFP), alcuni mesi fa aveva dichiarato: “L’Afghanistan sta vivendo una delle peggiori crisi umanitarie del mondo, se non la peggiore, e la sicurezza alimentare è quasi crollata. Quest’inverno, milioni di afghani saranno costretti a scegliere tra migrazione e fame, a meno che non si intensifichino i nostri aiuti e l’economia non si rianimi. È iniziato il conto alla rovescia di una catastrofe e se non agiamo ora ci scoppierà un disastro totale tra le mani”. “La fame aumenta e i bambini muoiono. Non possiamo nutrire le persone con le promesse – aveva avvertito – gli impegni finanziari devono trasformarsi in denaro contante e la comunità internazionale deve unirsi per affrontare questa crisi che sta rapidamente andando fuori controllo”.

Pochi giorni fa, il 22 dicembre il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato all’unanimità una risoluzione affinché gli aiuti umanitari arrivino in Afghanistan senza che passino per i talebani. Con questa delibera, in particolare, “sono consentiti il pagamento di fondi, altre attività finanziarie o risorse economiche, nonché la fornitura di beni e servizi necessari per garantire la tempestiva erogazione di tale assistenza o per supportare tali attività” e “i bisogni umani fondamentali in Afghanistan” verranno sostenuti senza che vengano violati le sanzioni imposte ai talebani – che non sono riconosciuti come legittimi detentori del potere – e i provvedimenti assunti dalla comunità internazionale. Già in precedenza la Banca Mondiale – pur avendo interrotto l’erogazione degli aiuti a Kabul – aveva annunciato lo stanziamento di 280 milioni di dollari in aiuti umanitari all’Unicef e al Programma alimentare mondiale entro la fine del mese e l’Organizzazione per la Cooperazione Islamica (OIC) si era impegnata a creare un fondo fiduciario umanitario per alleviare la sofferenza di milioni di persone che stanno affrontando fame e povertà.

Da agosto, infatti, l’assistenza finanziaria è stata sospesa in attesa di provvedimenti da parte del governo talebano affinché le libertà individuali della popolazione siano rispettate, in particolar modo quelle delle donne. Ma la condizione femminile è forse quella maggiormente colpita (in modo diretto, perlomeno) dal ritorno dei talebani al potere. Ad esempio pochi giorni fa, è stato deciso di vietare viaggi e spostamenti alle donne che non siano accompagnate da un uomo. Il provvedimento è solo l’ultimo di una lunga serie con cui il governo ha scelto di limitare il più possibile i diritti e le libertà personali delle donne che, nella maggior parte dei casi, non possono non solo lavorare ma nemmeno proseguire gli studi dopo i 12 anni. E ancora, assolutamente vietato fare sport, a meno di non rischiare la fine di Mahjabin Hakimi, e tutte coloro che in passato avevano praticato un’attività sportiva sono state costrette – o perlomeno hanno provato – a scappare, anche grazie all’aiuto di personaggi famosi o di organizzazioni umanitarie. Insomma una situazione, per donne e bambine, che si prospetta a dir poco tragica e che richiede ben più di vane minacce e ammonizioni da parte dei Paesi occidentali perché si risolva.

Nel frattempo gran parte della popolazione, affamata e in balia di temperature estreme, che in inverno arrivano anche a -10°, con carenza di beni essenziali, elettricità e riparo, attualmente è disoccupata o non retribuita. E nelle provincie lo stato delle cose, se possibile, è ancora peggiore. In un ospedale provinciale della regione del Badakhshan, riporta il sito Valigia Blu, centinaia di madri e bambini piccoli hanno riempito il reparto pediatrico in cerca di aiuto, ma in pochissimi possono essere accolti. È il caso di Usman, un bambino di 9 mesi che è stato ricoverato in ospedale per 16 giorni a causa di grave malnutrizione e disidratazione. Il suo papà non lavora da molto tempo e non può permettersi di sfamare la famiglia. Una condizione ormai comune per migliaia di persone, tanto che il direttore della struttura ospedaliera della capitale Faizabad, Mohammad Akbar, sostiene che quest’anno sono stati ricoverati il 50% in più di bambini malnutriti rispetto al 2020, un numero senza precedenti nei suoi 35 anni di carriera. Secondo il medico tutto questo “Dipende dalla comunità internazionale. Se vogliono cambiare qualcosa possono. La nostra comunità non può” ”.


Non meno efficace l’ultimo giorno del 2021 la narrazione di Giuliano Battiston sulle pagine del quotidiano “Il Manifesto” (“Afghanistan, la crisi umanitaria porterà più vittime della guerra”) al quale non sfugge la complessità del già rilevato dilemma: con il congelamento degli aiuti finanziari internazionali da parte di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale (FMI) si colpisce il regime oscurantista dei talebani. Non meritano altro trattamento, non meritano che contrasto e misure dure. Ma come la mettiamo con l’esigenza prioritaria di salvare la popolazione dal disastro umanitario?

Scrive Battiston: “«So che i miei figli dovrebbero andare a scuola, ma non abbiamo niente, né casa, né terra, né soldi. Devo mandarli ogni giorno per strada a raccogliere qualche spicciolo», racconta Mohammad Agha, 39 anni, fuori dalla tenda in cui si è trasferito da qualche mese a Jalalabad, nella provincia orientale di Nangarhar, dove la temperatura è più mite che nel resto dell’Afghanistan, alle prese con un rigido inverno.

«I commerci si sono ridotti del 50 per cento. Prima qui era un continuo via vai di camion, ora ci sono pochi mezzi al giorno», nota Abdullah, responsabile a Mazar-e-Sharif, nella provincia settentrionale di Balkh, di un grande parcheggio per i camion provenienti dall’Asia centrale e dalle province settentrionali.

«Abbiamo tante competenze ma anche tante necessità. Per questo c’è bisogno dell’aiuto della comunità internazionale», conferma il ministro di fatto della Salute, il dottor Qalandar Abad, all’ospedale Mirwais di Kandahar, nel profondo sud del Paese, prima di una visita al reparto pediatrico in cui è accolta una parte di quel milione di bambini sotto i 5 anni che secondo l’Onu rischiano di morire per malnutrizione. «Non c’è più lavoro e ogni cosa, dal riso alla farina al pane alle uova, costa più di prima: me ne torno al villaggio dai miei, a Ghazni», racconta Yahya a Kabul.

«Sono costretta a vendere mia figlia più grande per far sopravvivere le altre tre», spiega Marziah, gli occhi bassi, nel suo appartamento di Ghazni, mentre poco più in là un funzionario dei Talebani accusa un attivista locale di aver fatto propaganda contro l’Emirato, per aver portato all’attenzione pubblica il caso della donna, poi risolto, provvisoriamente, grazie alla solidarietà di tanti e tante, fuori e dentro il Paese. Sono cinque dichiarazioni raccolte nel nostro ultimo viaggio in Afghanistan tra la fine di ottobre e la fine di novembre del 2021. Cinque tra tante. Sufficienti a rendere l’idea della profondissima crisi in corso.

Una crisi che ha radici lontane. Non nasce il 15 agosto, quando i Talebani conquistano Kabul, portando al collasso della Repubblica islamica e alla fuga del presidente Ashraf Ghani, che proprio ieri è tornato a farsi vivo con un’intervista alla Bbc in cui difende la sua scelta. «Non avevo alternative». Ci sono alternative, invece, alla crisi afghana. Perché è una crisi che dipende in buona parte dalle recenti scelte politiche dei governi occidentali, incluso quello italiano.

Per capirle meglio, occorre partire dal dato di fondo, strutturale: dal 2001, la comunità internazionale ha edificato un sistema statuale completamente dipendente dalle risorse esterne. Nell’estate 2021 gli aiuti dei donatori stranieri rappresentavano ancora il 43% del Prodotto interno lordo e ben il 75% della spesa pubblica. In Afghanistan – uno Stato-rentier – i servizi fondamentali, a partire da istruzione e sanità, dipendono dunque dai donatori internazionali. In questi anni i bisogni statuali sono stati sostenuti da una media di 8,5 miliardi di dollari all’anno in aiuti.

Scegliendo l’opzione militarista anziché quella negoziale, a metà agosto i Talebani hanno messo a repentaglio il legame tra lo Stato afghano e i governi che ne alimentavano la sopravvivenza, in particolare quello con Washington, peso massimo in ambito militare e finanziario. E i governi euro-atlantici non hanno perso tempo: Washington ha congelato alla Federal Reserve di New York circa 9 miliardi di dollari di riserve della Banca centrale afghana; le sanzioni precedenti contro singoli Talebani sono diventate sanzioni contro il governo di fatto; gli aiuti allo sviluppo sono stati perlopiù interrotti; Banca centrale e Fondo monetario internazionale hanno congelato i trasferimenti previsti.

Da qui, il tracollo economico, il collasso del sistema bancario, la mancanza di liquidità nel Paese, gli stipendi non pagati a insegnanti, medici, la contrazione dell’economia.

E l’aggravarsi della crisi umanitaria: 23 milioni di persone (60 per cento della popolazione) soffre di insufficienza alimentare, il 95 per cento è sotto la soglia di povertà. In poche parole, come ricordato nell’ultimo rapporto dell’International Crisis Group: le vittime di questa fase rischiano di essere superiori a quelle del conflitto in sé.

La strada scelta finora dalle cancellerie è la più facile. Salvarsi la coscienza con qualche aiuto umanitario, che non implica rischi politici, soprattutto in ambito domestico: chi vorrebbe essere accusato di aiutare i Talebani? Così, il Dipartimento del Tesoro degli Usa ha adottato delle «licenze», valide solo per l’ambito umanitario, rispetto alle sanzioni in vigore. Il 22 dicembre lo stesso ha fatto il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Mentre la Banca Mondiale ha reso disponibile una parte del miliardo e mezzo di dollari dell’Afghanistan Reconstruction Trust Fund, limitandone l’uso al settore sanitario e alimentare. E l’Onu fa sapere che l’appello-richiesta fondi per il 2022 sarà il più ingente della storia: 4,5 miliardi di dollari.

La strada scelta è però insufficiente. L’aiuto umanitario non libera l’economia afghana dallo strangolamento finanziario voluto dai governi occidentali. E non li svincola dalla responsabilità di compiere scelte politiche difficili ma necessarie, a partire da una domanda: è più importante salvare la popolazione afghana o colpire il regime dei Talebani?”.


Gli appelli delle Nazioni Unite e delle Ong


Un racconto determinante sulla crisi umanitaria afghana può senz’altro considerarsi quello costruito dalle agenzie dell’Onu e dalle Ong in genere. Perché chiedono motivatamente soldi alle famiglie spiegando le ragioni e le destinazioni. Perché riescono ad entrare, ancora più direttamente degli articoli di giornale, in milioni di case. Il 30 dicembre il Comitato Italiano per l’Unicef (“In Afghanistan i bambini rischiano di non sopravvivere. Salviamoli subito!”) chiede alla sua rete di donatori sostegno finanziario per intervenire tempestivamente nelle emergenze più gravi. “Come quella dell’Afghanistan che, dopo essere stato teatro di guerra per ben 20 anni, sta ora attraversando un periodo di inasprimento delle violenze. Migliaia di famiglie fuggono dalle loro case affrontando disagi estremi. Il sistema sanitario è al collasso e sono in pericolo soprattutto i bambini che spesso muoiono perché mancano cure mediche e farmaci.

Sono circa 342.000 i bambini sfollati all’interno del paese, tristemente noto come uno dei posti peggiori al mondo per essere un bambino. E i bambini più fragili che corrono più rischi sono proprio quelli feriti, malati, malnutriti o nati prematuramente. (…) Insieme potremo fornire farmaci essenziali, antibiotici, strumentazioni mediche chirurgiche agli ospedali dell’Afghanistan e garantire le cure mediche di cui la popolazione ha bisogno”:

Dello stesso tenore l’appello di un’altra Ong, “Intersos” – (“Afghanistan, è crisi umanitaria”): “Di fronte alla rapida evoluzione della situazione interna in Afghanistan,
i nostri operatori umanitari stanno continuando a garantire assistenza umanitaria e a rispondere ai gravi bisogni della popolazione coinvolta nell’escalation di combattimenti e violenze.
Secondo i dati diffusi dalle Nazioni Unite lo scorso 13 agosto, quasi 400mila persone sono state costrette a lasciare le loro case dall’inizio dell’anno, unendosi a 2,9 milioni di sfollati interni già presenti nel paese.

Tutto ciò si aggiunge ad una situazione già drammatica: all’inizio del 2021, la popolazione bisognosa di assistenza umanitaria ammontava a 18,4 milioni di persone, tra cui oltre 7 milioni di minori, mentre oltre 10 milioni di persone vivono in condizioni di grave insicurezza alimentare”.


L’Agenzia dell’Onu per i rifugiati l’11 gennaio lancia il suo appello che leggiamo su “UNHCR Italia” (“L’Onu e i partner lanciano nuovi piani per aiutare 28 milioni di persone in grave difficoltà in Afghanistan e nella regione”): “Le Nazioni Unite e le organizzazioni non governative lanciano oggi nuovi piani di intervento congiunti con l’obiettivo di fornire aiuti umanitari salvavita a 22 milioni di persone all’interno dell’Afghanistan e a sostenere 5,7 milioni di rifugiati afghani e le comunità locali in cinque paesi vicini.

I piani di risposta umanitaria e per i rifugiati insieme richiedono oltre 5 miliardi di dollari di finanziamenti internazionali nel 2022.

La popolazione dell’Afghanistan sta affrontando una delle crisi umanitarie in più rapida crescita al mondo. Metà della popolazione soffre la fame, mentre oltre 9 milioni di persone sono state costrette a fuggire, milioni di bambini non vanno a scuola, i diritti fondamentali delle donne e delle ragazze sono sotto attacco, gli agricoltori e i pastori sono alle prese con la peggiore siccità degli ultimi decenni e l’economia è in caduta libera. Senza sostegno, decine di migliaia di bambini rischiano di morire per malnutrizione, poiché i servizi sanitari di base sono al collasso.

Il conflitto si è placato, ma la violenza, la paura e le privazioni continuano a spingere gli afghani a cercare sicurezza e asilo oltre confine, in particolare in Iran e Pakistan. Più di 2,2 milioni di rifugiati registrati e altri 4 milioni di afghani con status diversi sono ospitati nei paesi vicini. Questa situazione ha messo a dura prova la capacità delle comunità ospitanti, e anche loro hanno bisogno di sostegno.

“Gli eventi in Afghanistan nell’ultimo anno hanno avuto un’evoluzione vertiginosa, con conseguenze drammatiche per il popolo afghano. Il mondo guarda all’Afghanistan con sconcerto e cerca il modo giusto per reagire. Nel frattempo, si sta profilando una vera e propria catastrofe umanitaria”, ha detto il sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari e coordinatore dei soccorsi di emergenza, Martin Griffiths.

“Il mio messaggio è urgente: non chiudete la porta al popolo afghano. I partner umanitari sono sul posto e stanno fornendo assistenza, nonostante le sfide. Aiutateci ad aumentare la risposta e ad evitare la fame diffusa, le malattie, la malnutrizione e in ultima analisi la morte, sostenendo i piani umanitari che lanciamo oggi”.

“La comunità internazionale deve fare tutto il possibile per evitare una catastrofe in Afghanistan, che non solo aggraverebbe la sofferenza, ma provocherebbe ulteriori spostamenti di persone sia all’interno del paese che in tutta la regione. Allo stesso tempo, dobbiamo anche rafforzare urgentemente la risposta a sostegno dei rifugiati e delle comunità che li hanno ospitati per generazioni. I bisogni dei rifugiati non possono essere ignorati, né la generosità dei paesi ospitanti può essere data per scontata. Hanno bisogno di sostegno e ne hanno bisogno oggi”, ha detto l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati Filippo Grandi.

Il Piano di Risposta umanitaria per l’Afghanistan (HRP) richiede 4,44 miliardi di dollari, il più grande appello umanitario mai lanciato. Se finanziato, le organizzazioni umanitarie potranno aumentare la fornitura di supporto alimentare e agricolo salvavita, servizi sanitari, cure per la malnutrizione, alloggi di emergenza, accesso all’acqua e ai servizi igienici, protezione ed istruzione di emergenza.

Il Piano Regionale di Risposta per i Rifugiati della situazione in Afghanistan (RRP) richiede 623 milioni di dollari di finanziamenti per 40 organizzazioni che lavorano nei settori della protezione, della salute e della nutrizione, della sicurezza alimentare, degli alloggi e dei beni non alimentari, dell’acqua e dei servizi igienici, dei mezzi di sussistenza e della resilienza, dell’istruzione, della logistica e delle telecomunicazioni”.

L’appello reca la firma di Andrew McConnell, rappresentante dell’UNHCR a Kabul.


La più importante richiesta di aiuti che sia mai stata lanciata


La richiesta dell’Onu è la più importante che sia mai stata lanciata. Senza precedenti quanto ad importo. Come senza precedenti è la crisi umanitaria che si rischia nell’intera nazione afghana. “RaiNews” l’11 gennaio la riassume così: “Cinque miliardi di dollari per l’Afghanistan, appello dell’Onu per salvare il paese. Il più grande appello umanitario: senza gli aiuti non c’è futuro”. Leggiamo: “L'Onu ha chiesto oggi la cifra record di cinque miliardi di dollari per cercare di evitare che l'Afghanistan sprofondi in uno dei disastri umanitari più gravi della storia.

Questo piano di aiuti umanitari è solo una soluzione di emergenza, ma "il fatto è che senza non ci sarà futuro" per questo paese, ha detto Martin Griffiths, sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, durante una conferenza stampa a Ginevra.

Il mio messaggio è urgente: non chiudete la porta al popolo afghano. I partner umanitari sono sul posto e stanno fornendo assistenza, nonostante le sfide. Aiutateci ad aumentare la risposta e a evitare la fame diffusa, le malattie, la malnutrizione e in ultima analisi la morte, sostenendo i piani umanitari che lanciamo oggi".

Servono 4,4 miliardi di dollari dai paesi donatori per finanziare i bisogni umanitari per il 2022, ossia ampliare la fornitura di cibo e sostenere l'agricoltura, finanziare servizi sanitari, cure contro la malnutrizione, rifugi di emergenza, accesso all'acqua e ai servizi igienici e all'istruzione. Circa 22 milioni di persone, più della metà della popolazione del paese, hanno urgente bisogno di assistenza.

L'Onu ha anche chiesto ulteriori 623 milioni di dollari per aiutare i 5,7 milioni di rifugiati afgani in cinque paesi vicini, principalmente Iran e Pakistan.

A Kabul, i talebani hanno accolto l'appello delle Nazioni Unite. "Abbiamo bisogno di cibo e altri tipi di aiuti umanitari per il popolo afgano, oltre il 90% delle persone vive al di sotto della soglia di povertà", ha detto all'AFP Suhail Shaheen, alto funzionario talebano.

Metà della popolazione soffre la fame, mentre oltre 9 milioni di persone sono state costrette a fuggire, milioni di bambini non vanno a scuola, i diritti fondamentali delle donne e delle ragazze sono sotto attacco, gli agricoltori e i pastori sono alle prese con la peggiore siccità degli ultimi decenni e l'economia è in caduta libera. Senza sostegno, decine di migliaia di bambini rischiano di morire per malnutrizione, poiché i servizi sanitari di base sono al collasso.

Il conflitto si è placato, ma la violenza, la paura e le privazioni continuano a spingere gli afghani a cercare sicurezza e asilo oltre confine, in particolare in Iran e Pakistan.

Filippo Grandi, Alto Commissario per i Rifugiati, ha messo in guardia senza mezzi termini: "Se il Paese crolla, implode, allora assisteremo a un esodo di persone molto più grande. E questo movimento di popolazione sarà difficile da gestire nella regione ma anche oltre".

Gli Stati Uniti hanno annunciato una donazione di 308 milioni di dollari. Questo denaro sarà destinato prioritariamente a cibo, salute e protezione dal rigido inverno, ha affermato l'Agenzia degli Stati Uniti per l'assistenza internazionale (USAID) in un comunicato stampa. La portavoce del Nsc della Casa Bianca, Emily Horne, ha dichiarato che "il totale degli aiuti in Afghanistan e per i rifugiati afghani dallo scorso ottobre è di 782 milioni di dollari". Inoltre, gli "Stati Uniti stanno fornendo al popolo afghano un altro milione di dosi di vaccino anti Covid, attraverso Covax, portando il totale a 4,3 milioni di dosi".

Il Fondo umanitario per l'Afghanistan (Ahf) dell'ufficio Onu per gli Affari umanitari (Ocha) ha ricevuto 10,7 milioni di euro dall'Italia. "Grazie Italia", scrive su Twitter Ocha Afghanistan, "il vostro sostegno consente azioni umanitarie salva-vita e rapide in un momento critico per milioni di afghani".


Per finire, un reportage sul tema dell’emittente “Euronews” del 12 gennaio (“Appello Onu: “in grave pericolo 13 milioni di bambini afghani”): “Tredici milioni di bambini afghani hanno urgente bisogno di cibo, alloggi e cure mediche per sopravvivere. Lo denunciano le Nazioni Unite e le Ong umanitarie, secondo cui il paese si trova sull'orlo di una grave crisi umanitaria, e rischia un vero e proprio collasso economico.

Secondo l'ONU, per una risposta umanitaria adeguata sarebbero necessari almeno 4,4 miliardi di dollari con cui garantire le risorse agli operatori socio-sanitari locali. Fiona McSheehy, Afghanistan Save the Children: "Due bambini su tre hanno bisogno di urgenti aiuti umanitari, e si tratta di un terzo in più rispetto all'anno scorso... Ai nostri ambulatori mobili arrivano sempre più pazienti con malnutrizione e malattie polmonari, e sono sempre più anche gli adulti".

Dopo la precipitosa ritirata delle truppe statunitensi e l'arrivo al potere dei talebani, la situazione finanziaria del paese si è aggravata ulteriormente, anche in conseguenza del congelamento dei beni afghani all'estero.

Per adesso la sola assistenza arriva da alcune Ong che distribuiscono piccole somme di contante, vestiti e coperte alle fasce più povere della popolazione. Secondo le agenzie ONU metà della popolazione afghana è letteralmente alla fame, oltre 9 milioni di persone sono diventate profughi interni e diversi milioni di bambini non hanno accesso all'istruzione.

Gran parte del sistema sanitario afghano è sull'orlo del collasso a causa delle sanzioni occidentali imposte ai talebani. E' l'allarme lanciato dagli esperti internazionali mentre il paese si trova ad affrontare focolai di malattie e una crescente crisi di malnutrizione. L'Afghanistan sta attraversando una crisi umanitaria sempre più profonda dopo la presa del potere da parte dei talebani lo scorso agosto, oltre al livello crescente di carestia e collasso economico. Molti operatori sanitari non vengono pagati da mesi e nelle strutture sanitarie mancano anche le attrezzature di base per curare i pazienti.

Il dottor Paul Spiegel, direttore del Center for Humanitarian Health presso la Johns Hopkins University, ha affermato che durante un recente viaggio di 5 settimane nel Paese ha visitato gli ospedali pubblici che sono "privi di carburante, farmaci, prodotti per l'igiene e persino degli articoli di base come le sacche per colostomia. È davvero una brutta situazione e andrà molto peggio. Ci sono sei epidemie simultanee: colera, morbillo, poliomielite, malaria e febbre dengue, e questo si aggiunge alla pandemia di coronavirus", ha aggiunto sostenendo che l'ospedale di riferimento per le malattie infettive a Kabul è "in ginocchio".

"Il personale non riceve lo stipendio da mesi. Non ci sono quasi più medicine e stanno tagliando gli alberi nel cortile per riscaldare le stanze perché non c'è il gas". Fuori da Kabul la situazione è ancora peggio: "C'è un ospedale provinciale a Sarobi, fuori dalla capitale che ho visitato. Non c'erano acqua e sapone sufficienti per i protocolli di igiene", ha detto ancora Spiegel. Secondo il medico, l'Occidente deve trovare un approccio diverso all'imposizione delle sanzioni”.


Conclusioni


Come finirà? Nel mondo alle prese con la pandemia, con i crescenti rischi addirittura di conflitto armato tra Occidente e Russia sull’Ucraina (impensabile fino ad appena qualche anno fa: siamo di nuovo alla follia d’un possibile grande scontro armato in Europa!) e di conflitto per Taiwan tra Cina da una parte e Usa ed alleati asiatici ed oceanici dall’altra, che ascolto avranno questi appelli per salvare dalla morte per stenti e malattie migliaia e migliaia di bambini e adulti fragili afghani? Ridotti ormai – guardate i loro abbigliamenti, i loro sandali anche per camminare sulla neve – come straccioni e reietti della società. Che colpe hanno queste bambine e questi bambini? Che colpe hanno le ragazze e le calpestate donne afghane? Mettiamo mano al portafoglio. Aiutiamoli concretamente. Anche se quella di ognuno di noi potrà essere solo la classica goccia in un oceano di bisogni. Anche se i pochi euro che potremo mandare loro corrono il rischio, arrivando a destinazione, sì di aiutare i deboli ma anche di essere azzannati e depredati da quel rigurgito, da quel vomito della storia che sono gli oscurantisti e fanatici governanti talebani del paese. Tornati dopo venti anni ad angariare il prossimo ed a rendere un inferno la vita a milioni di persone. In particolare a donne e bambine (da quelle parti addirittura ad 8-10 anni a volte vendute in sposa a vecchi pervertiti pedofili che possono comprarle!). Alle quali vengono sottratte dignità, istruzione, libertà, ogni speranza d’un futuro migliore.

 di Pino Scorciapino

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