Nifiosi riporta sulla scena Un americano a Parigi
Per fisiologica reazione alla fine del conflitto
mondiale (ma anche per aggirare la ‘caccia alle streghe’ del maccartismo), fu
il musical 'stelle a strisce' il genere cinematografico più in auge negli
anni cinquanta. E se “Cantando sotto la pioggia” di Donen e Kelly ne è
l’esempio più divulgato, divertente, sapidamente umoristico (e “Un giorno a New
York” il più spettacolare e girato anche in ‘esterni’), “Un americano a Parigi”
ne è forse la sintesi compiuta, rinomata, creativamente
inventiva “Di fatto- recensiva Fernaldo Di Gimmatteo, come
scolpendo su durevole pietra- mai si era visto un affiatamento così
creativo fra un regista ispirato come Minnelli, uno straordinario
danzatore come Gene Kelly -brillantemente coadiuvato da Leslie Caron- una
formidabile squadra tecnica (Cedric Gibbons, Irene, John Alton)” unificate da
una perfetta osmosi di musiche, interpreti, balletti, prodigi di artigianato
scenografico: elementi fondanti dell’evento teatrale (trasposto in pellicola
per abilità di montaggio) sin dalla sua ‘primitiva’
aspirazione. Da cui il trionfo hollywoodiano di “Un americano
a Parigi”, cui (nel 1951) furono assegnati, come a pioggia, una sfilza di
(meritati) Oscar, dal miglior film alla migliore colonna sonora, dalla migliore
scenografia ai miglior costumi.
Collante di tanta mirabilia fu, come si diceva,
un maestro della regia intesa quale ‘assoluta direzione e conduzione’ di un
prodotto commissionato dalle Major: Vincente Minnelli (italo-americano
anch’egli) accreditato, già a quel tempo, da una mezza dozzina di
film brillanti e di vistoso successo (tra cui “Ziegfeld follies”, “Il pirata”,
“Il padre della sposa”, “Madame Bovary”), dai quali zampillava, con esuberante
estro, il talento di un ‘metteur en scene’ che ‘pensava alla grande’. La sua
capacità di sintesi ed amalgama espressivi, di cui quel film fu
apoteosi ma anche inizio di increscioso declino, riscattato solo in parte dalla
squisitezza psicologica e leggerezza di stile con cui, in “Tè e simpatia”
(1956), si alludeva e si glissava sul tema (allora impronunciabile)
dell’omosessualità maschile (coinvolgente anche
Minnelli), e dal favolistico “Brigadoom” (1954),
in cui l’indimenticata Chid Charisse affiancava, splendida creatura, la
professionale (accattivante) scioltezza del sempre sodale Gene Kelly.
Tornato recentemente in auge, complice il certosino
lavoro di restauro operato dai Laboratori di Cinematografia di Bologna,
"Un americano a Parigi" (disponibile anche in versione home
video) torna ad essere- come scrive Sauro Borelli- “l’esempio
di un canovaccio dove l’enfasi della trasfigurazione fantastica
prevarica la festosa mediazione evocativa di una vicenda insieme
convenzionale e coloritamente esaltata”. Da suggestioni pittoriche
operanti un formidabile mixaggio di elementi figurativi evocanti
Toulose-Lautrec, Manet, Rousseau, in un tripudio di vorticose
evoluzioni danzanti e fulgori del Technicolor “esaltati sino al
parossismo cromatico, allo stravolgimento della colonna sonora,
come a quel tempo era conosciuta”
Arduo ma non impossibile, quindi, il ‘carico’
(l’inevitabile confronto?) che l’ensemble coreografico diretto da Sonia
Nifiosi porta sulle spalle e conduce a felice esito nella ripresa
teatrale dell’antico canovaccio: forte del particolare che (con diversa
disponibilità di mezzi) l’opera di Minelli venne realizzata, per intero,
usufruendo (anche per le scene di apparente ‘plein air’) del dovizioso apparato
di studi e teatri di posa, ove ricostruire una Parigi ‘fabulosa’, e ogni
suo ambiente o dettaglio cesellato da virtuose mani di
scenotecnici.
Restando comunque intatta la voluta, elaborata
semplicità del plot narrativo e dell’immediatezza del suo universo burrascoso,
bohèmienne, a forte tasso di ottimismo sentimentale. Laddove uno squattrinato
pittore americano e una giovane commessa francese s’infiammano d’amore in una
‘ville lumière’ appena risorta dalla guerra mondiale. Nutrendo, però,
lui un comprensibile senso di colpa (e riconoscenza) verso la
ricca mecenate che lo aveva praticamente ‘adottato’ – e lei qualcosa di simile
verso un signore che, purtroppo, risulta essere molto amico della ‘nuova
fiamma’. Tra le sapienti sinfonie di Gershwin e gli intermezzi
coreografici ispirati- come accennavamo- alla pittura impressionista, è
implicito che la vicenda sia corredata di accomodante lieto fine, essendo ‘ogni
cosa’ al servizio della seduzione favolistica\evasiva necessaria ad un pubblico
appena sortito dalla sventura nazifascista.
Ma anche - dicevamo- dalla scure, dalla ‘caccia
alle streghe’ che, nel dopoguerra, interferiva pesantemente sulle scelte
di un’industria cinematografica psicoticamente (reazionariamente)
“in mano ai comunisti”: da neutralizzare mediante la
sovrapproduzione di opere fantasiose che con sfarzo e fantasmagorie
da Mago di Oz distogliessero dal ricordo –e dal persistere-
di drammi sociali tramandati su altri modelli di geopolitica (arrivati
oggi al ‘redde rationem’ di islamismo e migrazioni)
Per tutto il resto, l’ allestimento della
Nifosi rende esplicito omaggio (dignitosissimo, non reverenziale) a
Kelly e Minnelli dei quali ricorrono, rispettivamente, il
ventennale e il trentennale della morte. Mentre sul piano dell’ ‘impaginazione’,
dell’iconografia scenografica si fa comprensibile ricorso all’uso di ottime
diapositive e complessivi ‘avvolgimenti’ resi impalpabili dalla
computer-grafica: come i boschi dalle calde tonalità
autunnali proiettati su apposito fondale- e poi tra le quinte laterali che
sfoggiano un drappeggio di tonalità azzurre, stagliate sulla nitida
neutralità di uno sfondo\panorama congegnato per
ben ripartire lo spazio scenico tra le necessarie percezioni
di realtà e sogno.
Nel complesso quindi, uno spettacolo di pregevole
fattura, dalla durata direi (un po’ troppo) dilatata, ma supportato da
validi, poliedrici esecutori, in cui l’arte del teatro si
ripartisce (danza, recitativi, sonorità) per un complessivo disegno,
variopinto e articolato, che merita la complicità degli
spettatori presenti e futuri.
****
"Un americano a Parigi". Dall’omonimo film di Vincente Minnelli (soggetto e sceneggiatura di Alan Jay Lerner). Regia, coreografia, ambientazione di Sonia Nifosi. Con Davide Nardi, Vittorio Centone, Miriam Mesturino, Vanessa Costabile, Valeria Bertoni, Chiara Sposito, Davide Buffone, Marco Passarello, Antonio Picciolo, Vincenzo Veneruso, Micaela Viscardi, Anabel Gonzalez, Giulia Olivieri. Roma, Teatro dell’Angelo. In tournée estiva.
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