"Nessuno tocchi i rifugiati, ce lo insegna Eschilo"
Moni Ovadia firma la regia de Le Supplici, del greco Eschilo, al teatro antico di Siracusa (il 15 maggio). Ovadia sarà anche in scena, sarà Pelasgo, re di Argo. La tragedia, la prima nella sua struttura più matura, o una delle prime, rivendica a maggior ragione adesso l' inviolabilità di un valore : l'accoglienza. La tragedia parlerà il greco, per militanza politica. Ovadia dichiara : " È un atto politico, la Grecia di ieri è la Grecia di oggi, guardiamo il Partenone e poi la trattiamo come se fosse una deiezione". Le supplici, figlie di Danao, sbarcano in terra greca, dove governa il diritto immutabile all' asilo. Le supplici nella forma registica di Ovadia canteranno, non solo in greco moderno, ma con i suoni e le parole della lingua siciliana, grazie alla collaborazione con il musicista Mario Incudine.
" ABBIAMO scelto una lingua che offrisse una musicalità radicale profonda. I dialetti conservano una loro urgenza, una vitalità pulsante". Non è uno strano gioco del destino -o delle parti in scena -a volere che sia Ovadia a riferire al mondo la saggezza di Eschilo, nel bel mezzo di un passaggio di uomini, un passaggio biblico. E succede in Sicilia, in una cavea greca, con un drammaturgo greco, dentro una storia di immigrazione. " La migrazione -dice Ovadia -è l' effetto del mondo che ha voluto l' Occidente, secondo il suo modello. Il più grande crimine, il più vasto, perdurante, spietato, è stato il colonialismo. Come spiega Franco Cardini, a causa dell' azione devastatrice delle multinazionali che hanno distrutto le autonomie locali ".
Ci sono dunque paure inesatte. I numeri apocalittici ad esempio. Ovadia ricorda che in Libano il numero di migranti è l' equivalente della popolazione. Gli italiani sono stati 30 milioni di scampati in un secolo, 4 milioni di clandestini. " Di cosa stiamo parlando, allora? -aggiunge Ovadia -C' è una falsa coscienza nel sobillare contro questa gente che cerca la vita". Eschilo deve insegnarci ancora una volta il metodo per restare uomini.
" Un gigante come Eschilo, nel caso de Le supplici, ci racconta dell' inviolabilità del richiedente asilo. Il richiedente asilo ne Le Supplici è protetto dalla massima divinità. E il principio torna nel Vangelo, nella Bibbia, nel Corano. Una radicalità dell' accoglienza : non è un dettaglio della civiltà, ne è il punto fondamentale ". Siamo un solo uomo, dice Ovadia. E lo dice pure il genetista Cavalli Sfarza, i nostri antenati sono africani.
" LA NOSTRA è una cecità protervia che non ha limiti -riflette Moni Ovadia -. La questione dell' accoglienza si pone da quando ci sono le civiltà".
Le paure, certo, inesatte. " Sul fenomeno dell' estremismo islamico. Mi chiedo -osserva -perché l' Arabia Saudita ne è il massimo finanziatore e nello stesso tempo è il miglior alleato degli Usa? Ma chi credono di prendere in giro? ". Le supplici saranno accolte nella terra di Argo, il loro aspetto così diverso dagli argivi, non conta, non crea turbamento. Gli argivi mostrano la capacità di un' accoglienza universale, rispettando la sacralità del richiedente. Sono gli argomenti di questi anni, gli alibi di chi non ha fermato le morti, il cero spento nell' abisso-cimitero del Mediterraneo. " C' è anche un proto femminismo in questa opera di Eschilo -realizza Ovadia -. È un ' opera folgorante, sconcerta, ci mette in crisi.
Un' opera di questo genere è in grado di fondare da sé un' intera civiltà, lo diceva Magris di recente, durante una conversazione informale. E noi invece siamo ancora immersi in una dimensione angusta".
Ovadia promette una collaborazione con Mario Incudine che vada oltre le musiche della tragedia. Ha un grande progetto, ammette : " Un affresco della cultura giudaico-spagnola, io vengo da lì. Immagino una narrazione cantata, attraversando la Spagna, il Levante, il Mediterraneo, la Sicilia. Spero di poterlo fare, oggi non è facile. Chiedono solo monologhi. Io sono un outsider, non sono uno yes man. So che non mi devo aspettare niente da questo Paese. Non hanno dato un teatro a Dario Fo, premio Nobel, figuriamoci. Siamo fatti così". (Il fatto quotidiano)
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