Nei processi comanda Penelope
Sant' Alfonso de Liguori e Sant' Ivo di Kemartin si contendono la "carica" di protettore dei giuristi grazie a una storia che ne fa dei paradigmi della giustizia. Nel nostro Paese invece tale "carica" potrebbe essere attribuita a Penelope, perché nessuno meglio di lei può simboleggiare l' andamento della giustizia italiana. Il suo stratagemma della tela tessuta di giorno e disfatta la notte per non arrivare mai al risultato si rinnova un' infinità di volte nel nostro sistema processuale.
Lo dimostra la prescrizione, che ovunque si interrompe con il rinvio a giudizio o la condanna in primo grado, mentre da noi non si interrompe mai. Per cui in centinaia di migliaia di processi finisce per scattare una inesorabile mannaia che distrugge la tela a lungo tessuta, con fatica e costi ingenti, rendendo impossibile rendere giustizia. Tutti lo denunziano, ma poi nulla succede. Tanto da far sospettare che in realtà Penelope si sia ormai trasferita dalla mitologia greca in qualche ufficio legislativo romano… CI SONO POI specifici, importantissimi settori della giustizia italiana che funzionano come un soldo bucato. Significativi esempi li offre il contrasto della criminalità mafiosa. Spesso si pratica la strategia del "doppio binario", affiancando al lavoro di raccolta delle prove per eventuali sanzioni penali personali quello indirizzato al sequestro e alla confisca dei patrimoni illeciti.
L' attacco dei patrimoni è infatti fondamentale, posto che i mafiosi temono sì le limitazioni della libertà personale, ma più ancora che li si tocchi nel portafoglio. Ci si aspetterebbe allora che le cose funzionino al meglio. E invece succede il contrario. Si legge infatti in una relazione della DDA di Torino (frutto di una verifica dall' anno 2011 ad oggi, che la Procura nazionale sta estendendo all' intero territorio) che "praticamente tutti i beni immobili sequestrati e/o confiscati rimangono nel possesso dei proposti/prevenuti (e/o dei loro congiunti)", anche quando "i provvedimenti di confisca siano definitivi".
Sconvolgente! Vuol dire che tutto il lavoro svolto dal 2011 ad oggi in Piemonte e Val d' Aosta è stato inutile. Vuol dire che immobili anche di notevole valore, acquisiti al patrimonio dello Stato, rimangono nelle mani di pericolosi soggetti criminali che li avevano ottenuti illecitamente. E ciò soprattutto perché il governo tarda a dotare l' Agenzia per i beni confiscati dei mezzi necessari per gestire la massa imponente di beni a essa affidati (che "Libera" valuta sui 50mila). Vuol dire che occorre intervenire con urgenza per cancellare questa stortura di un' auto che si blocca all' ultima curva. Altrimenti diventa inarrestabile la sensazione di impunità che rafforza il potere mafioso e comunque si perdono occasioni preziose per incrementare il patrimonio pubblico.
Un altro significativo esempio lo ha fatto il P.G. di Torino Maddalena all' inaugurazione dell' anno giudiziario, confessando di restare "interdetto di fronte alle oscillazioni giurisprudenziali che si registrano addirittura a livello di Corte di Cassazione" in materia di "criminalità mafiosa e di infiltrazioni delle associazioni mafiose in ambiti territoriali diversi da quelli di origine".
Per il P.G. "non è possibile che in alcune pronunzie la c.d.
'mafia silente' o, meglio, la 'associazione mafiosa silente' resti impunita in Piemonte, in Liguria o in Lombardia perché, in buona sostanza, non è riuscita ancora a operare o a imporsi come nelle terre di origine (o è riuscita a nascondere le sue attività criminose), mentre in altre pronunce non è richiesta la esteriorizzazione concreta del metodo mafioso bastando la potenzialità e l' accertata disponibilità all' uso dello stesso".
A MIO AVVISO, per evitare questa situazione (che - absit iniuria - ricorda quella avutasi quando si escludeva lo stupro se la vittima… indossava dei jeans, indumento notoriamente "non sfilabile senza la fattiva collaborazione di chi lo porta"), i supremi giudici dovrebbero sì decidere nel perimetro delle "carte", ma evitando di soppesarle esclusivamente con criteri burocratico-formalistici. Va "sentita" anche la realtà concreta che quelle carte esprime, specie quando si tratta di fatti come la mafia che imbarbariscono la convivenza civile e alterano in profondo le regole di buon funzionamento dell' economia e della politica, con tutto il corredo di violenze, sofferenza e dolore che ne consegue.
RESTARE CHIUSI nel recinto dei distinguo accademici, in un palazzo separato dal mondo reale, ragionando solo "in vitro" senza farsi anche carico dell' esperienza maturata in concreto da investigatori e magistrati "di strada" e della miglior cultura antimafia, può giocare brutti scherzi sul piano sostanziale della giustizia e del buon senso. Ciò che nel caso della mafia è particolarmente pernicioso, perché la forza delle organizzazioni mafiose sta anche fuori di esse, nei regali che vengono fatti con approcci troppo formalistici, sottovalutazioni e miopie. Anche inconsapevoli.
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